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Panama: il canale delle meraviglie, da un oceano all’altro

Panama

Al di là di aver rivoluzionato il commercio marittimo aprendo una via che separa il continente americano, il Canale di Panama resta un’opera grandiosa che oggi sente il peso dei cambiamenti climatici.

Magellano
Magellano, immortalato in innumerevoli
monumenti, fu il primo a raggiungere
l’Oceano Pacifico navigando verso
occidente.

Molte grandi scoperte geografiche dei secoli scorsi non nacquero, come spesso racconta la storia, dall’avventurosa voglia di conoscenza ed esplorazione di grandi navigatori, ma più semplicemente e banalmente dalla spinta di richieste commerciali sempre più esigenti da parte di committenti e finanziatori, ovvero per lo più re e regine, assetati di oro e di spezie, che a quel tempo avevano analogo valore. Così fu per Cristoforo Colombo e così fu per Ferdinando Magellano, all’anagrafe Fernão de Magalhães, navigatore portoghese che, finanziato da Carlo V, partì per raggiungere le Molucche, gran paradiso delle spezie, navigando verso occidente.

Il primo scoprì l’America, anche se forse qualcuno arrivò prima di lui.

Il secondo diede ai suoi contemporanei una certezza, in realtà già ipotizzata anche se mai provata fin dai tempi di Erodoto: quella che, con buona pace degli odierni terrapiattisti, la Terra fosse rotonda.

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L’Ancon, la prima nave nel 1920 a passare tra due oceani attraverso il Canale di Panama

Una certezza testimoniata dal fatto che, dopo una tutt’altro che facile navigazione scendendo lungo le coste dell’America del Sud, per poi passare 38 giorni in quel dedalo di 43.000 isole, isolette, scogli, fiordi e canali che ne orlano l’estremità meridionale, le sue navi sbucarono in un altro oceano. Era il 1° novembre del 1520, e quello che al tempo divenne l’unico modo per raggiungere l’Oriente navigando verso occidente, in omaggio alla data che li celebrava fu chiamato da Magellano “Estrecho de los Santos”, ovvero un canale di oltre 200 chilometri che unisce l’Atlantico al Pacifico. Certo un po’ più a Sud ci sarebbe stato il canale di Drake, quello per capirci che separa Capo Horn dall’Antartide, ma all’epoca nessuno ci aveva ancora messo la prua. Per loro fortuna, dato che ancor oggi questo è considerato il mare più pericoloso al mondo.

Per la cronaca, le navi di Magellano proseguirono poi il viaggio in quell’oceano che lui stesso chiamò Pacifico e che, in realtà, si scoprì poi essere lo stesso unico mare che unisce tutte le terre emerse. Al comando di Sebastiano del Cano, le navi di Magellano riapprodarono dopo quasi un anno a Siviglia l’8 settembre del 1522 dopo aver attraversato l’Oceano Indiano, doppiato il capo di Buona Speranza e aver risalito l’Atlantico lungo il versante orientale. Magellano però non c’era più, essendo rimasto vittima di una guerra fra tribù nelle Filippine, il 27 aprile del 1521.

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Una fase dei lavori di costruzione.

Un’opera straordinaria

A questo lungo prologo spetta unicamente il compito di far capire l’importanza di quanto avvenne il 14 agosto 1914, quando, dopo 7 anni di lavori, una nave di 8.000 tonnellate, l’Ancon, riuscì per la prima volta a passare dall’Atlantico al Pacifico attraverso un complesso sistema di chiuse che consentiva di superare un dislivello di ben 27 metri. Va ricordato che, per cause belliche, il canale fu tuttavia ufficialmente inaugurato il 21 giugno 1920.

L’apertura del Canale di Panama era ed è una straordinaria opera ingegneristica. In pratica, permettendo di evitare la circumnavigazione del continente americano, gli 82,1 chilometri di lunghezza del canale consentono un enorme risparmio di tempo con importanti risvolti economici ed ecologici.

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Le chiuse del canale diventate poi operative

Considerando infatti l’accorciamento del percorso e, conseguentemente, il minore consumo di carburante, dall’anno della sua apertura il canale ha contribuito alla riduzione di oltre 850.000.000  di tonnellate di CO2. Cifre comprensibili, calcolando che il tragitto dalle coste orientali degli Stati Uniti ai porti dell’Asia prenderebbe più di 43 giorni doppiando Capo Horn, 37 doppiando il Capo di Buona Speranza, 33 sfruttando il Canale di Suez, mentre attraversando il Canale di Panama ce ne vogliono “soltanto” 26.

Opera assolutamente titanica, prima di altre difficoltà tutt’altro che secondarie, il canale dovette superare il problema di una zona collinare interna che, per motivi tecnici ed economici, oltre a quelli ambientali, non poteva essere spianata a livello del mare. Da qui la realizzazione di una serie di chiuse che portano le navi in transito a salire fino a livello di un bacino artificiale, il Lago Gatùn, livello intermedio fra i due oceani, per poi discenderne con lo stesso sistema.

L’idea primigenia del canale risale a un primo studio di fattibilità da parte un ingegnere inglese, John Lloyd, a cui seguirono altri progetti che non trovarono seguito, mentre è curioso che nel 1879 il francese Ferdinand de Lesseps fondò una società per la realizzazione del canale, che in quel caso non comprendeva però un sistema di chiuse, progetto che ebbe successivamente  alla guida Gustave Eiffel ma che finì poi in un fallimento. La curiosità sta nel fatto che il primo – cosa di non poco conto – aveva già realizzato il Canale di Suez su disegno dell’ingegnere italiano Luigi Negrelli, mentre il secondo, dopo il fallimento della società causato anche dalle difficoltà geologiche del territorio, preferì dedicarsi a quella torre che ancor oggi porta il suo nome.

La vera e propria realizzazione del canale avvenne solo con la nomina a capo del progetto dell’americano John Stevens, che ideò il sistema di chiuse per superare lo sbarramento del Monte Culebra, e che arrivò poi al totale completamento con la nomina del suo successore George Goethals. Da notare che fra le varie difficoltà del progetto c’era anche quella di ordine ambientale, dato che si trattava di attraversare una foresta pluviale infestata di animali poco raccomandabili come giaguari, serpenti  e coccodrilli, ma soprattutto di zanzare, con la conseguente diffusione di malaria e febbre gialla, situazione che contribuì al pesante costo di vite umane che, alla fine, raggiunse il totale di 22.000 vittime.

Questo solo per dire quanto la storia del canale sia complessa, ma anche ricca di aneddoti e curiosità. Fra le tante una, più attuale, ricorda che tutte le navi in transito devono obbligatoriamente cedere il comando a un pilota ufficiale del canale, che le guida attraverso le chiuse. In quest’ottica ricordiamo che, in occasione del centenario del canale, la “Autoridad del Canal de Panamà” ha nominato pilota onorario anche il nostro Raffaele Minotauro, Comandante Superiore CSLC, per anni imbarcato sulle grandi navi della storica “Italia” di Navigazione. A conferma del legame dell’Italia con il Canale di Panama si può anche aggiungere che il progetto finale per la sua espansione – leggi raddoppio, inaugurato nel 2016 – ha visto alla guida la nostra Salini Impregilo (oggi Webuild S.p.A.) che, fra l’altro, ha realizzato in Italia le 16 gigantesche paratoie scorrevoli da 4000 tonnellate ciascuna che gestiscono il passaggio delle chiuse.

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Le chiuse

Conosciamolo meglio

Lo sviluppo del traffico marittimo commerciale, e conseguentemente quello delle navi addette al trasporto merci, container e carburanti, aveva reso nel recente passato il Canale di Panama sempre più inadeguato. L’inevitabile scelta, per altro approvata da un referendum proposto alla popolazione, è stata allora quella di ampliare il canale o, per essere più precisi, di costruirne uno nuovo che andasse a supportare il primo (che consentiva lunghezze massime di 294 metri per 32 di larghezza e 12 di pescaggio), essendo in grado di accettare anche gli attuali colossi del traffico marittimo: navi lunghe fino a 366 metri per 49 di larghezza, 15,20 di pescaggio  e con capacità di carico triplicata. Le cosiddette Post-Panamax, per segnare l’avvio di una nuova era di navigazione.

Con il suo “Progetto Terzo Set di Chiuse”, il nuovo canale è una delle più straordinarie opere degli ultimi decenni: offre alle navi la possibilità di passare da oceano a oceano in circa 8-10 ore superando quello stesso dislivello di 27 metri, fino al lago Gatùn, per poi farle ridiscendere a livello oceano. L’operazione, condotta con precisione millimetrica e assistita nelle chiuse da due locomotive elettriche che garantiscono il corretto posizionamento delle navi, non è cosa di poco conto. Anzi…il conto è piuttosto salato. In linea di massima il pedaggio può andare dai 60.000 ai 300.000 dollari, a seconda della dimensione della nave, ma a titolo di curiosità citiamo i due estremi.

Quello meno costoso in assoluto fu quello pagato nel 1928 da Richard Halliburton, un americano che dopo aver attraversato le Alpi su un elefante – proprio come Annibale – volle attraversare il Canale di Panama a nuoto in barba a coccodrilli e altri possibili pericoli, a partire dalle infezioni batteriche. Il costo del pedaggio – qui sta il bello – fu di 0,36 dollari, e l’impresa fu compiuta in dieci giorni con l’appoggio di una barchetta a remi.

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La costruzione del nuovo Canale di Panama, che affianca il vecchio consentendo il passaggio di navi di maggiore grandezza, è stata possibile solo grazie alle moderne tecnologie.

La cosa più curiosa fu però che, per evitare complicazioni burocratiche, Halliburton dovette registrarsi come nave, la S.S. Halliburton, stazza 63 chilogrammi! Meno romantico l’estremo opposto, dove troviamo il pedaggio al momento più costoso della storia, ovvero gli 829.458 dollari pagati dal portacontainer cinese Mol Benefactor, di 337 metri. In linea generale, per quanto costoso, il pedaggio è tutt’oggi ritenuto comunque più conveniente della circumnavigazione del continente doppiando Capo Horn, tant’è che, dal giorno dell’inaugurazione del nuovo canale, nel 2016, già più di 20.600 navi lo hanno attraversato, rendendolo la principale fonte di reddito del Paese.

Tradotta in cifre, la costruzione del nuovo canale che ha dato nuovo lustro a Panama ha significato 74 milioni di metri cubi di scavi, 5  milioni di metri cubi di calcestruzzo, 1,6 milioni di tonnellate di cemento, 7,1 milioni di metri cubi di dragaggi, 290.000 tonnellate di acciaio per l’armatura e altre 71.000 per valvole e paratie. Paratie a scorrimento orizzontale – costruite come detto in Italia – che, grazie a potenti argani elettrici, consentono il gioco delle chiuse con apertura/chiusura in non più di 4 minuti e che, con le loro dimensioni (altezza da 23 a 33 metri, larghezza circa 58, spessore 10, ciascuna del peso di circa 4.000 tonnellate), testimoniano le ciclopiche proporzioni del canale.

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Il Canale di Panama è aperto anche al passaggio di motoryacht e barche a vela, ma le procedure sono tutt’altro che rapide, comportando a volte attese di oltre una settimana, necessarie ad accorpare il passaggio di più unità insieme

Ovviamente, quest’opera comporta importanti problematiche di traffico, soprattutto in prossimità delle due imboccature, dove infatti vigono le regole TSS (Traffic Separation Schemes) finalizzate a limitare il rischio di collisioni. Fortunatamente, queste procedure – che tra l’altro impongono alle navi una velocità più o meno moderata, a seconda dei tratti – risultano estremamente utili per salvaguardare l’ambiente marino, che presenta alcune situazioni particolari come quella, ad esempio, dei grandi cetacei in rotta migratoria. Le fasi di avvicinamento e allontanamento delle navi dal canale possono infatti sovrapporsi alle rotte riproduttive di migrazione di balene, in particolare delle megattere (Megaptera novaeangliae), delfini e altri grandi mammiferi marini. Non ultimo, queste regole consentono pure un sensibile risparmio di carburante e, conseguentemente, un abbattimento delle emissioni nocive: le autorità del canale hanno calcolato che fra il 2017 e il 2021 sono state risparmiate circa 30.000 tonnellate di CO2.

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Fra le tecnologie adottate, l’adozione di gigantesche paratie orgogliosamente Made in Italy

Con un occhio all’ambiente

Per la sua posizione Panama è un naturale corridoio biologico che mette in comunicazione il Sud e il Nord America, e i pressoché inaccessibili 430.000 kmq di foresta pluviale che circondano il canale costituiscono un vero e proprio santuario che ospita circa 160 specie di piccoli mammiferi, 33 dei quali minacciati di estinzione come ad esempio giaguari e tapiri, a cui si aggiungono rettili, uccelli, insetti, pesci e via dicendo. Un ambiente che, come lo stesso canale, dipende fortemente da un regolare apporto di acqua, ed è per questo che le più moderne tecnologie vengono utilizzate per garantire i giusti livelli idrici e la qualità stessa dell’acqua dell’intero bacino.

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Tuttavia, nonostante l’attenzione con cui le autorità del canale hanno sempre operato, gli attuali cambiamenti climatici stanno mettendo a dura prova la salute e lo stesso funzionamento del canale. Per altro, la destabilizzazione in atto, già iniziata da un paio d’anni, ha avuto nel 2023, anno ormai considerato il più caldo di sempre della nostra era, una forte accelerazione.

Pur considerando che Panama è uno dei cinque Paesi più piovosi al mondo, le conseguenze della siccità in atto hanno costretto le autorità del canale a porre una tassa alle compagnie di navigazione in base al livello dell’acqua utilizzata per alimentare le chiuse, senza dimenticare che ci sono state navi costrette a ridurre il proprio carico per poter affrontare il ridotto pescaggio delle chiuse.

Del resto il cambiamento climatico, solo in parte addebitato alla deforestazione, ha dato segni molto preoccupanti già dal recente passato, se si considera che negli ultimi due decenni si sono verificati tre degli anni più siccitosi in assoluto e dieci delle peggiori tempeste mai registrate fin dal 1879. Il che vuol anche dire che, non bastasse la siccità, sulla situazione pesa anche il problema di eventi estremi che hanno poche analogie con il passato, un discorso per altro anomalo che riporta a momenti di piogge torrenziali che inondavano parte del Paese lasciando però all’asciutto la zona del canale, che oggi subisce anche il progressivo innalzamento dell’oceano: ai Caraibi il mare sale tra i 3 e i 6 millimetri l’anno; sulla costa pacifica di “soli” 1,5mm.

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La realizzazione del nuovo Canale di Panama è un’opera di straordinaria capacità ingegneristica che oggi consente il passaggio degli attuali giganti del mare, ovvero navi di oltre 360 metri di lunghezza. Il progetto sfrutta inevitabilmente lo stesso sistema di chiuse, alimentate da bacini laterali, che consentono il superamento di un dislivello di ben 27 metri. Sopra, il passaggio di un cargo cipriota di 294 metri alle chiuse del lago di Gatùn.

Il governo panamense ha varato un impegnativo Water Program volto sia a garantire al canale il fabbisogno idrico necessario anche in caso di momenti di forte siccità, sia ad assicurare alla popolazione quanto basta per evitare difficoltà.

Attraverso l’utilizzo di bacini ausiliari, il sistema consente oggi il parziale recupero dell’acqua dolce utilizzata per la gestione delle chiuse (circa il 60%) e protagonista della situazione resta il Lago Gatùn, specchio d’acqua di scambio fra salita e discesa del canale, considerato con i suoi 436 kmq il più grande lago artificiale al mondo. Il Gatùn ha la funzione di bacino per far confluire nel canale l’acqua piovana e quella proveniente dalle foreste pluviali circostanti e, allo stesso tempo, fornisce acqua a metà del Paese, sostentamento ai pescatori locali e divertimento per quelli sportivi, data la ricchezza delle sue acque.

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Il Canale di Panama attraversa un ambiente di grande ricchezza biologica, oggi in parte parco nazionale. Anche le fasce di mare antistanti i due versanti hanno grande rilevanza naturalistica, soprattutto per l’incrocio con le rotte migratorie dei grandi cetacei, megattere in primis.

Canale fai da te

Se il canale costituisce già di per sé un’attrazione turistica per la spettacolarità delle sue strutture, non bisogna dimenticare l’interesse naturalistico della foresta pluviale che circonda i vari bacini. E ovviamente l’industria di settore si è organizzata per offrire al turista varie possibilità, grazie anche al fatto che le chiuse sono raggiungibili in auto da Panama City in non più di mezz’ora. La conoscenza della storia e degli aspetti ingegneristici del canale sono comunque imprescindibili e, da questo punto di vista, niente di meglio del centro visitatori delle chiuse di Miraflores, dove una piattaforma panoramica consente di ammirare il passaggio delle navi, mentre una serie di video e moduli interattivi illustrano il funzionamento del canale e la sua storia, che può poi essere approfondita nel piccolo museo del centro.

L’offerta turistica va tuttavia ben oltre, ad esempio offrendo mini crociere ecologiche lungo il Lago Gatùn durante le quali è possibile interagire con la fauna locale: scimmie, bradipi, iguane e farfalle meglio dei coccodrilli. È anche possibile attraversare l’intero canale in chiave turistica navigando fra le varie chiuse, o organizzare battute di pesca nel lago Gatùn, senza dimenticare che Panama City è a un passo e val bene una visita.

Panama
Oltre ad ospitare un museo interattivo che illustra la storia del canale, il centro visitatori di Miraflores offre una
vista spettacolare sull’omonima chiusa, l’ultima prima di raggiungere il Pacifico.

Il modo più emozionante per vivere il canale è però indubbiamente quello di attraversarlo con la propria barca. D’accordo, non è sicuramente cosa che accade tutti giorni, ma se fosse che dopo aver attraversato l’Atlantico con la vostra barca voleste dedicarvi al Pacifico, tenete conto che, forse soprattutto per voi, attraversare il canale di Panama potrebbe essere meglio che circumnavigare il Sud America, magari dovendo affrontare anche Capo Horn. Tutt’al più con la vostra barchetta di dieci metri potreste trovarvi a dividere una chiusa con un colosso di oltre 300 metri, ma poco male perché le autorità del canale sanno gestire queste situazioni con la massima professionalità ed efficienza.

Il problema magari potrebbero essere le procedure, le attese, i costi e le scartoffie varie capaci di prendersi anche più di una settimana. Esaurita la presentazione dei documenti, la barca va infatti accuratamente misurata dal personale della locale autorità, va quindi pagato il passaggio e poi, una volta assegnata la data di transito, non resta che aspettare, magari facendo una mini crociera nei paraggi, ad esempio nello splendido arcipelago delle San Blas, a Est di Colòn, dato che le possibilità di ancoraggio almeno sul versante caribico sono scarse e poco consigliabili. Del resto i tempi di attesa possono essere molto lunghi, anche ben più di una settimana, tempo che, causa le dimensioni generalmente piccole delle barche da diporto, è necessario per accorpare più unità in ogni singolo passaggio. 

I costi del pedaggio dipendono ovviamente dalle dimensioni della barca, che in questo caso comprende tutte le varie appendici, dall’eventuale bompresso alla plancetta poppiera, e come termine generico di riferimento possiamo dire che per un 50 piedi si pagano circa 900 dollari, che salgono a 1.300 per barche di 80 piedi. A questa cifra bisogna però aggiungere il costo dell’ispezione, il permesso di crociera, una tassa di sdoganamento e una caparra a garanzia di danni e possibili multe che, tuttavia, salvo incidenti, viene restituita alla fine del passaggio.

Panama
Panama City, a breve distanza dal canale, è una città viva e interessante che merita una visita.

Per quanto riguarda il passaggio vero e proprio non ci sono particolari difficoltà, salvo l’obbligatorietà di avere a bordo, oltre a un consulente del canale, quattro cavi lunghi secondo regolamento almeno 38 metri e con diametro di circa 30 mm, oltre ovviamente a quattro persone in grado di gestirli durante la traversata. Nel caso più che probabile che questi cavi non facessero parte delle dotazioni di bordo, è possibile noleggiarli in loco.

Certo l’emozione di passare con la propria barca da un oceano all’altro dev’essere grande e, se non ci fosse di mezzo l’Atlantico, siamo certi che sarebbero in molti a volerla vivere, anche se poi una volta dall’altra parte, avendo di fronte l’Oceano Pacifico resterebbe il dubbio: e adesso?  Meditate gente, meditate. 

Intervista al capitano Federico Costantini

Il capitano Federico Costantini ha attraversato il Canale di Panama da 3° Ufficiale di coperta su una nave appena acquistata dalla compagnia di navigazione per la quale, attualmente, è Ispettore alla Sicurezza con il grado di 1° Ufficiale.

Di che viaggio si trattava?

Era il trasferimento da Balboa a Genova, per lavori e inizio linea.

Quali mansioni ebbe in quella specifica circostanza?

Mi alternavo con il 2°Ufficiale di Coperta al posto di manovra di poppa ed ero responsabile della pianificazione del viaggio per l’attraversamento del canale e la traversata atlantica.

Quanto avete atteso per il “via”?

Durante la nostra permanenza alla fonda, fuori Balboa, abbiamo atteso circa dieci giorni, periodo che abbiamo impiegato per svolgere tutte le formalità di cambio bandiera e visite iniziali al fine di ottenere le certificazioni nave per effettuare il viaggio.

Quali sono state le fasi cruciali dell’attraversamento?

Sicuramente l’ingresso e l’uscita, il passaggio sotto il “Ponte delle Americhe” e l’ingresso nella prima chiusa. Tanto grande ma allo stesso tempo così stretta. L’uscita lato atlantico è stata sicuramente molto emozionante e piena di tensione, così come l’allontanamento dalla canaletta, il saluto marinaresco di un pilota che una quindicina di anni prima aveva portato la stessa nave dall’Atlantico al Pacifico, l’ingresso nel TSS, il Traffic Separation Scheme stabilito per limitare il rischio di collisioni. Da quel momento, l’inizio di un viaggio tutto da scoprire.

In quanto tempo siete passati dal Pacifico all’Atlantico?

Circa 10 ore.

Durante tutta la procedura di attraversamento, a bordo sale un pilota con un suo equipaggio. Quali sono i rapporti con il comandante e con l’equipaggio della nave?

Durante tutta la fase di attraversamento, la nave è assistita da un Pilota Ponte e altri due responsabili per i posti di manovra. Subito dopo l’imbarco di questi ultimi, insieme all’ufficiale di guardia vengono controllati il funzionamento dei verricelli e le strumentazioni di manovra, dopodiché sale a bordo una squadra di 8/9 persone che, suddivise tra i posti di manovra di prua e poppa, seguono – loro e solo loro – tutte le fasi di passaggio dei cavi ai treni di ausilio a terra.

Durante l’attraversamento, che cosa fa l’equipaggio della nave?

Assistenza e supervisione.

Nel corso dell’attraversamento avete incontrato anche unità da diporto?

Sì, due grandi yacht di circa 40 metri: uno attraversava nella nostra stessa direzione; l’altro in direzione opposta.

Dal punto di vista paesaggistico è un percorso spettacolare?

Senz’altro sì. È un percorso suggestivo, ricco di storia e tradizione. Nel nostro caso, poi, a renderlo ancor più emozionante, il fatto che si svolse di notte.

Come lo ricorderà?

Lo ricorderò come un’esperienza che mi ha segnato molto a livello professionale: pianificare un viaggio così lungo, con una tipologia di nave che non tutti i giorni attraversa quelle zone, è stato qualcosa di magnifico e profondamente gratificante. Ho ancora nella memoria il saluto al pilota, alla fine del canale, e la sensazione che in quel momento stava incominciando un viaggio per me enorme.

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