Grecia, Mykonos & Delos, dal profano al sacro
Accanto all’isola più mondana e alternativa della Grecia si stendono le rovine di quello che nell’antichità era il luogo più sacro dell’Egeo: due mondi all’opposto nel raggio di poche miglia.
È un po’ la classica Grecia da cartolina con tutti gli stereotipi del caso, dai mulini a vento ai ristorantini bordo mare, dalle deliziose viuzze con quelle chiazze di colore che brillano come gioielli sul bianco immacolato delle case, ai negozietti di souvenir in cui l’artigianato locale si fonde con strani oggetti di provenienza esotica (conchiglie tropicali incluse). Non mancano le colonie di gatti paciosi e socievoli, perché il turista di passaggio non lesina mai una carezza, e ogni tanto appare un pellicano che, essendo stato visto anche su altre isole, non si sa mai se sia lui a girovagare per l’arcipelago o le varie pro loco che se lo prestano di volta in volta. In ogni caso è simpatico e fa colore.

Fin qui poco distinguerebbe Mykonos dalle centinaia di altre isole dell’Egeo, e c’è infatti da chiedersi se la fama internazionale che l’ha resa tanto ricercata e modaiola abbia una sua ragione. Bastano locali e discoteche, la tradizionale movida che anima le notti calde dell’isola, l’atmosfera cosmopolita, il guazzabuglio di lingue che parlano di mille Paesi (cinesi inclusi)? Bastano le raffinate boutique, gli atelier d’arte, le splendide gioiellerie e i negozi di firma e, seppure assolutamente deliziose, bastano le intime stradine del paese con i loro scorci a volte simili a quadri, o la vicinanza a un tesoro archeologico come le rovine dell’antica Delos? Forse si, ma se non bastassero…parliamone!
Per chi cerca valori più tradizionali a base di natura, baie abbracciate da un mare cristallino e il sorriso sempre accogliente di un vecchio pescatore tutto rughe e sapore di mare, Mykonos potrebbe non essere l’ideale, anche se bypassata la doccia di mondanità è in fondo un›isola come tante altre, nel senso che tutto quanto detto non le manca, solo che per viverlo al meglio occorre allontanarsi un po’ dal cuore vibrante del paese. Meglio ancora, provate a vivere quest’isola fuori stagione, nei primi tepori della primavera o negli ultimi sprazzi dell’estate, quando le giornate sono forse un po’ più corte, ma il sole è ancora caldo così come il mare, ed è allora che seduti al rustico tavolo di una taverna a un passo dalla risacca, sorseggiando un ouzo e salutando il sole che se ne va, fra un’oliva e un tentacolo di polpo alla brace, si ritrova l’intimo sapore di queste meravigliose isole.

Di tutto, di più
Come spesso capita in medio stat virtus, e se certo Mykonos si è circondata di una leggenda che non le appartiene, fatta forse più di luoghi comuni che di realtà, la realtà, appunto, è tutt’altro che sgradevole. Diamole allora un’occhiata da vicino, e soprattutto un’occhiata dal punto di vista che più ci interessa, che è quello del diportista a vela (qualcosa di leggermente diverso dal velista vero e proprio), per giunta un po’ navigato e disincantato e quindi immune da certe facili suggestioni.
Di certo potreste anche arrivare a Mykonos con la vostra barca, come i due “ragazzi” di pelo bianco incontrati nell’unica marina dell’isola con il loro “Miaplacidus”, un Fandango di 43 anni in giro da mesi dopo aver girovagato per mezzo mondo. Come non invidiarli, felici e sorridenti sotto i loro capelli bianchi e dietro i loro chissà quanti anni, che possiamo solo immaginare, ma che pochi certo non sono.

Per noi, meno coraggiosi e intraprendenti, il viaggio può invece cominciare direttamente a Mykonos, dove si arriva comodamente in aereo o in traghetto da Atene, per poi salire a bordo della barca già noleggiata presso uno dei numerosi operatori charter presenti con la loro base nella nuova marina.
Nel nostro caso specifico, avendone già sperimentata l’affidabilità, la scelta è andata sulla Kiriacoulis Mediterranean. La nuova marina ormai attiva da diversi anni è stata terminata con qualche fatica, ma per chi mancava dall’isola da diverso tempo e ricordava l’assurdità del vecchio porto è stata una piacevole novità: all’epoca le barche da diporto erano ormeggiate prua all’entrata e ogni volta che arrivava un traghetto toccava salire di corsa a bordo e mettere i motori a manetta per evitare che l’onda di risacca ti sbattesse in banchina. Vecchi ma piacevoli ricordi di una Grecia un po’ diversa.
Nella nuova marina le cose sono ovviamente cambiate, ma non poi tanto perché l’arrivo del traghetto pur sul frangiflutti esterno, regala anche oggi un bel samba a tutte le barche all’ormeggio. La cosa più fastidiosa è però un’altra, perché anche se a poche centinaia di metri c’è un ottimo ristorante, il paese vero e proprio – che è la cosa più interessante di Mykonos – dista 4 km ed è in pratica raggiungibile solo con autobus, taxi, o buone gambe.
Una Grecia diversa
Sia come sia, Mykonos paese va comunque visto e vissuto, vanno visti quei mulini vecchi di secoli che ci ricordano come il vento fosse il motore dell’isola, va fatto un giro fra i piccoli e coloratissimi gozzi dei pescatori, ma si può anche cedere a un momento di shopping magari tralasciando la borsa firmata a favore di un souvenir, sia esso la classica barchetta con la bandiera greca, il magnete da attaccare al frigorifero o – perché no? – un oggetto di alto artigianato dato che sull’isola se ne trovano di bellissimi. Poi, completata l’esperienza con una cenetta a lume di candela, si può tornare in barca e prepararsi per la partenza, meglio di buon’ora, la mattina dopo, per non sprecare la giornata.
Lasciandosi il porto alle spalle, e ricordandosi che è l’unico scalo dell’isola, seguendo l’istinto o più realisticamente il meltemi che non manca mai di allietare l’isola, si finisce spesso per puntare a Sud, attirati da un paio di scoglietti circondati sul versante meridionale da pittoreschi bassofondali, gli isolotti di Prasonisia, più che gradevoli per un bagno di passaggio. Rientrando in costa si incontra il volto marino dell’isola, che riprende il discorso già fatto.
Lungocosta si snoda una collana di piccole baie ben ridossate dal vento in cui si concentra un’imbarazzante quantità di megayacht. Diciamo che per l’appassionato di nautica può essere più interessante ammirare queste meraviglie della cantieristica piuttosto che la costa, che è un inquietante formicaio di ombrelloni riservato agli appassionati del genere. Il discorso vale per la grande baia di Orinos, che è un ottimo ancoraggio facendo attenzione a uno scoglio affiorante sulla destra ben segnalato da una boa arancione, come per quella più piccola di Yalos con la sua Paradise Beach, la spiaggia più anticonformista dell’isola (un formicaio di ombrellon) molto apprezzata da nudisti di tutte le tendenze sessuali. Il discorso si fa poco a poco più rustico proseguendo verso levante e, in particolare, passato Capo Makrokefalos, l’isola torna relativamente selvaggia, più simile alle altre isole dell’arcipelago, perciò si possono scoprire posti decisamente incantevoli come il singolare promontorio che divide la baia di S.Anna da quella di Kalafatis. Questo promontorio è facilmente identificabile da lontano per l’aspetto di due grandi tette, anche se con meno senso poetico i locali lo chiamano “Diovounà” (Due Monti). Il luogo è assolutamente delizioso, le baie sono tranquille, ben ridossate, orlate da pochi alberghi e ristoranti, fra i quali – per i nostalgici – una simpatica pizzeria italiana.
Ma il meglio è proprio tra le due grandi tette dove si arrampicano alcune casette in stile tipicamente cicladico e dove si trovano due ristoranti da non perdere: Flora, l’unica donna pescatrice della Cicladi, e Marcos, con la sua incredibile vasca del vivo piena zeppa di pesci e aragoste, il particolare arredamento e la bella terrazza affacciata sulla baia.
Proseguendo per il periplo di Mykonos e passato l’isolotto di Dragonissi, la costa esposta a maestrale diventa punteggiata solo di qualche casetta e di molti rustici incompiuti, testimonianze di un’aggressione edilizia fermata sul nascere. La principale caratteristica del versante nord, la cui costa è poco accogliente anche a causa dell’imperversare del meltemi, resta quindi la grande baia di Panormos che, pur essendo esposta a settentrione, offre un paio di validi punti d’ancoraggio.
Il rientro verso il porto dell’isola parla di coste rocciose e poco accessibili che si possono tranquillamente sorpassare fino a quando, addolcendosi, ci riportano in vista del paese. Non vorremmo a questo punto essere stati troppo severi con quella che viene considerata la perla delle Cicladi, perché, pur trattandosi di una Grecia un po’ da cartolina, Mykonos è comunque un’isola da visitare, se non altro per la curiosità di vivere lo strano mix fra tradizione e contagio commerciale, il tutto in un’atmosfera accogliente e piacevole o, per dirla in termini più prosaici, sicuramente godereccia.

Il sacro e il profano
Se poi si vuol veramente passare dal sacro al profano, o meglio viceversa, basta fare poco più di due miglia: quelle che dividono Mykonos da Delos. Ed è come entrare in un altro mondo. Questa apparentemente anonima isoletta di appena 3,5 kmq, arida e disabitata, ospita rovine mozzafiato che si estendono per un’ampia superficie. Mykonos è l’esuberante capitale cicladica dell’oggi, Delos in un lontano passato era molto di più. Infatti, non solo è stata l’isola dove Latona partorì Artemide e Apollo – e già non è cosa da poco – ma con il suo oracolo fu anche il più importante centro religioso dell’Egeo e, conseguentemente, un importante porto commerciale e una base strategica favorita dalla sua morfologia, che ancora oggi offre uno scalo iperprotetto da tutti i venti.
Perciò, approcciando l’isola e avvistando fin da lontano quel che resta dell’antica città, non si può non restare travolti dalla suggestione e andare con la fantasia a immagini di quei tempi antichi. I canali che da Sud o da Nord corrono fra due isolotti portano all’unico punto di approdo di Delos e sono privi di pericoli, ma un po’ d’attenzione va sempre fatta.
Del resto ormeggiare al piccolo molo è sconsigliabile, anche perché in stagione il viavai dei barconi turistici è tutt’altro che gradevole. Meglio quindi dar fondo in rada e scendere a terra con il tender.

Per godersi il fascino delle rovine, molto estese e tutte molto suggestive, dichiarate dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità fin dal 1990, sarà bene però essere in buona forma fisica e indossare scarpe adatte perché c’è molto da camminare e, per salire alle rovine più alte e godere la straordinaria vista dalla cima del Monte Cinto, c’è un po’ da faticare. Inutile dire che ne vale assolutamente la pena.
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