Svizzera: Lago Lemàno, memoria e tradizione
Una visita lungo le rive del lago Lemàno permette di scoprire una ricca storia di navigazione e imbarcazioni tradizionali dalle inattese influenze mediterranee.
Chiamato anche lago di Ginevra, rappresenta un vero e proprio mare interno. Collocato tra la Svizzera e la Francia, con i suoi 580 km² è il maggior specchio d’acqua dolce dell’Europa occidentale. Al confronto, la superficie del nostro lago più esteso, il Garda è contenuta in 380 km².
La cittadina di Morges si affaccia sul versante svizzero del lago ed è circondata da giardini e colline segnate da ampi vigneti. Dalla riva, se lo sguardo si spinge verso Sud, oltre la distesa scintillante delle acque, si scorge la massiccia vetta del Monte Bianco: può capitare di osservare in lontananza, davanti alla sua massa innevata, il lento transito di profili d’imponenti vele latine, gonfiate dal vento.

Come hanno fatto a giungere fin qui?
La risposta risale a una remota vicenda storica: nel 1288 il conte Amedeo V di Savoia, in guerra contro il vescovo di Ginevra, volle procurarsi delle forze navali da schierare sul lago.
La scelta non poteva che ricadere sulla tipica nave da guerra del Mare Nostrum: la galera. Furono quindi assoldate delle maestranze genovesi e ben presto le acque del lago furono solcate da una squadra di queste navi.
“La Savoia dispone in questo periodo della principale flotta di galere del lago ed è la prima a introdurre questo tipo di battello sul Lemàno. Visto che gli architetti navali locali non conoscevano le tecniche costruttive di questo tipo di navi, i conti di Savoia fecero venire da Genova dei costruttori di galere. Esse sono realizzate su piani e tecniche costruttive di tipo mediterraneo.
La preferenza è data alle galere di dimensioni relativamente modeste (in rapporto alle loro sorelle mediterranee) della lunghezza di una trentina di metri, che dispongono da 90 a 117 rematori. Villeneuve, a qualche chilometro dal castello signorile di Chillon, è il principale porto militare savoiardo e alla fine del XIII secolo è dotato di due ricoveri coperti per le galere, uno a terra ed uno in acqua”. (1)
Il trasferimento di tecnica navale mediterranea fin sotto il Monte Bianco era giustificato dalle condizioni di vento variabili, tipiche di un lago alpino, alternate a periodi di bonaccia, nei quali è indispensabile l’uso dei remi, proprio come in Mediterraneo. Naturalmente, gli svizzeri non vollero esser da meno ed anche le città di Berna e di Ginevra armarono navi simili.
Le galere fabbricate dai genovesi si dimostrarono così adatte alle condizioni di navigazione locali, che imbarcazioni da loro derivate furono utilizzate a lungo. Tre secoli dopo, nel 1670, a costruire navi sul lago fu chiamato il nizzardo Laurent Dental, che realizzò per Carlo Emanuele II duca di Savoia due unità che dovevano risultare “buone per tutti gli usi” e cioè per il trasporto e per la guerra. Anche questi velieri furono adattati alle condizioni della navigazione sul lago: il pescaggio fu diminuito e fu incrementata la larghezza, dando vita ad una tipologia d’imbarcazione del tutto particolare, che è giunta fino ai giorni nostri. Si tratta delle “barques”, imbarcazioni da trasporto lunghe una trentina di metri, che hanno ereditato dalle galere elementi caratteristici, come la struttura sporgente dal ponte dell’apposticcio e l’attrezzatura latina.
Oggi queste “barques”, che con le loro dimensioni rappresentano le maggiori unità propulse dalla vela latina d’Europa, segnano l’estrema diffusione verso Nord di un’attrezzatura che è espressione tipica della cultura marittima del Mediterraneo. Il periodo di maggiore diffusione coincise con gli ultimi decenni dell’Ottocento, quando le attività edilizie di città come Ginevra, Losanna, Montreux e delle tante cittadine che si affacciano sul lago ebbero uno sviluppo impetuoso. Allora, oltre al legname, ai mattoni e alla sabbia, le “barques” portavano quantità di pietrame estratta dalle cave di Meillerie. Quest’attività era tanto intensa che le “barques” venivano anche chiamate “bateaux de Meillerie”.
Il trasporto della pietra era facilitato dal fatto che l’estrazione avveniva a poche decine di metri dal lago e che poi, con una navigazione di una decina di ore, le “barques” potevano giungere fino a Ginevra, che distava 54 km. Il carico non trovava posto sottocoperta, il cui volume limitato era riservarlo agli alloggi dell’equipaggio, ma direttamente sul ponte, la cui superficie era perfettamente piana da prua a poppa, disponendo cataste di legname o muraglie di pietre intorno agli alberi. Per le operazioni di carico e scarico (effettuate con delle apposite carriole) si utilizzavano delle lunghe passerelle appoggiate alla poppa.
Questa, dalla forma a specchio, presentava un pescaggio ridotto e nell’occasione era sbarazzata dell’impaccio dell’ingombrante timone. Anche il lago savoiardo di Annecy, malgrado la sua superficie ridotta, circa un ventesimo di quella del Lemàno, fino al ‘900 vide la presenza di “barques” impiegate nel trasporto di pietre e legname. (2)
Come si è detto, le “barques” hanno in comune con le antiche galere le forme dello scafo e l’apposticcio, una corsia esterna che sulle galere serviva a sorreggere gli scalmi dei remi, mentre oggi sulle “barques” permette il transito dell’equipaggio sul ponte, quando questo è ingombro di mercanzie. L’utilità di questa specie di corridoio esterno si può apprezzare nelle vecchie immagini, che ritraggono il ponte delle “barques” ingombro di legname, accatastato per un’altezza di diversi metri.
Per aumentare la stabilità dello scafo, le fiancate nell’opera morta si allargano notevolmente verso l’alto, portando il rapporto lunghezza/ larghezza vicino al valore di 4. Con queste forme, lo scafo risulta equilibrato a pieno carico, nonostante l’aspetto poco rassicurante offerto dal volume di carico, trasportato a volte quasi a pelo d’acqua. La linea elegante dell’estremità della prua, caratterizzata da un marcato cavallino, è dovuta alla necessità di reggere l’onda dura del lago, che raggiunge il metro e mezzo di altezza.
I due alberi a pioppo (realizzati con un solo tronco d’albero) sorreggono imponenti antenne di trenta metri, collocate in una posizione pressoché verticale per intercettare le arie più leggere. Le vele non hanno i terzaroli perché il lago è soggetto a improvvisi e violenti colpi di vento, per cui un tempo per serrare le vele occorreva abbassare velocemente le antenne.
Viste le loro dimensioni, tuttavia, tale manovra sotto raffica non poteva esser effettuata sempre con la rapidità richiesta. Alla fine dell’ ‘800 fu quindi adottato un’efficiente sistema di inferitura della vela che permette di ammainarla rapidamente: a tal fine lungo la lunghezza dell’antenna è fissato un profilato metallico con la sezione a “U”, al cui interno possono scorrere una sequenza di cursori, connessi alla vela.
Al momento di ammainare, i cursori scorrono verso il basso e l’inferitura va ad ammassarsi contro il carro, permettendo all’equipaggio di serrare velocemente la tela. Visto in azione, questo sistema a cursori ricorda quello che permette di spalancare e chiudere i tendaggi delle finestre di casa. Unità minori, armate sempre con due alberi alla latina sono le “cochères”. Le linee del loro scafo, viste da lontano, ricordano delle “barques” in miniatura (senza l’apposticcio), della lunghezza di una decina di metri.
Questi velieri, tra il XVII e il XX secolo erano i più diffusi del lago, soprattutto nella sua parte alta, dove assicuravano il trasporto delle mercanzie tra il cantone di Vaud e la riva sud.

Oggi di esse non rimane che l’ “Aurore”, una replica di un’unità del 1828, realizzata nel 2000. Molte “barques” e “cochères” erano costruite nel villaggio di Saint Gingolph, che è situato a cavallo del confine tra la Svizzera e la Francia; una frontiera che si fa fatica a individuare con esattezza perché è segnata da un torrentello che serpeggia tra le case. Nel castello del paese, una costruzione che risale al ‘500, è ospitato il Musée des Traditions et des Barques du Léman, che raccoglie notevoli collezioni di modelli di velieri e di reperti sulla navigazione sul lago.
Va detto che si tratta dell’unico museo europeo dedicato interamente a imbarcazioni a vela latina. Oggi la “Neptune” (del 1904) e la “Vaudoise” (del 1932), perfettamente restaurate, rappresentano gli ultimi esemplari originali di “barques”. La prima è basata a Ginevra, mentre la seconda è attraccata a Losanna. A loro si sono poi aggiunte due ricostruzioni: a Thonon, sulla riva francese, nel 2000 è stata varata la “Savoie”, come replica di un’unità del 1896.
Ormeggiata a Evian-les-bains questa “barque”, con i suoi 35 metri fuori tutto, rappresenta il maggiore veliero del lago. A Vevey l’associazione “La Barque des Enfants” tra il 1999 e il 2009 ha poi realizzato la “Demoiselle”, oggi basata a Villeneuve. Queste unità durante la bella stagione danno vita a una serie di raduni, regate e manifestazioni, coordinate dall’associazione “Voiles Latines du Léman”.
Jean-Philippe Mayerat: restauratore di yacht classici

Come i nostri laghi prealpini, anche il Lemàno già nell’ 800 ha visto la nascita delle prime esperienze di yachting e di regate. Sul lago sono ancora attive molte imbarcazioni d’epoca, che necessitano di periodici restauri.
Tra i maestri d’ascia specializzati in questo settore, uno dei più dinamici è senza dubbio Jean-Philippe Mayerat, detto “Mayu”.

Da più di 30 anni nel suo cantiere di Rolle è impegnato in progetti di restauro di yacht classici. Tra questi, uno dei più affascinanti ha riguardato il salvataggio di un “2 tons Godinet”: “Calliope”. Lo scafo misura 9,74 m (11,74 con il bompresso) e 6,50 al galleggiamento, mentre la superficie velica supera addirittura i 73 m². Varato nel 1902 dal cantiere genovese Costaguta e progettato dall’architetto Eugenio Conte, il suo disegno fu così indovinato che quell’anno si aggiudicò gran parte delle regate della stagione.

Qualche anno fa è stato ritrovato in condizioni pessime e reso irriconoscibile da una tuga tanto sgraziata quanto incongrua. L’opera di ricostruzione è stata resa difficile dall’estrema leggerezza della struttura e dal fatto che gli ultimi quaranta centimetri della poppa, marciti, erano stati in precedenza eliminati. Nel corso dei lavori Mayerat ha potuto verificare quale fosse, all’epoca, la raffinatezza della costruzione degli scafi allestiti da Costaguta.
Visto il successo di “Calliope”, l’anno seguente due armatori del lago ordinarono al cantiere di Genova-Voltri altri due yacht: il “2 tons Hellé II” e il “3 tons Briseis”. “Quello che è notevole” racconta Mayerat “è che i tre scafi costruiti da Costaguta sono oggi tra i rari sopravvissuti delle serie protagoniste dello yachting del Lemàno agli inizi del secolo. A mio avviso, questo dipende dalla grande qualità del lavoro e dei legni impiegati dal cantiere di Voltri.” (3)
Nel corso della sua carriera Mayerat si è cimentato nel restauro di scafi costruiti con tecniche diverse: nella sua ricerca di esperienze stimolanti dieci anni fa si è persino recato negli Stati Uniti per impadronirsi di una tecnica di costruzione che risale alla preistoria e, sotto la guida di un vecchio indiano, ha realizzato una canoa di scorza di betulla, con la quale ancor oggi partecipa alle feste delle barche d’epoca. Da più di 25 anni egli è poi l’organizzatore e l’animatore della popolare “Fête des canots” di Rolle, un raduno non competitivo riservato alle imbarcazioni minori, a vela e a remi, che si tiene in agosto con cadenza biennale, negli anni dispari.

La pesca
Nel dopoguerra anche il lago Lemàno, come molti specchi d’acqua dell’arco alpino le cui coste sono fortemente antropizzate, è stato soggetto a gravi problemi d’inquinamento, che hanno dato luogo a fenomeni di eutrofizzazione.
A partire dagli anni ’80 sono state però rese attive delle misure di salvaguardia che hanno ristabilito la qualità delle acque, tanto da rendere nuovamente possibile l’attività di un certo numero di pescatori professionali (50 sulle rive francesi e 100 su quelle svizzere). Questi utilizzano delle slanciate lance di legno di 5 o 6 metri di lunghezza, spinte da un motore fuoribordo. Tra le specie ittiche presenti nel lago, oltre alla perca, al coregone, alla trota e alla carpa, qui è particolarmente apprezzato l’ “omble chevalier” (in italiano: salmerino alpino).
Considerato il “re delle acque gelide” è un salmonide che vive in profondità, può raggiungere anche i 10 kg ed in Italia è famoso per la prelibatezza delle sue carni fin dai tempi del Concilio di Trento. Sulla riva francese la storia della pesca lacuale è esposta nell’Ecomusée de la Pêche et du Lac di Thonon-les-Bains: si tratta di un’affascinante struttura ricavata nel villaggio dei pescatori, mentre su quella svizzera tali temi sono illustrati nel Musée du Léman & Acquarium di Nyon. Questo è dedicato sopratutto alla biologia e all’ittiologia, ma comprende anche sezioni che presentano l’evoluzione della navigazione tradizionale.
I Battelli a vapore d’epoca sul Lago Lemàno
Uno degli aspetti più affascinanti del Lemàno è costituito dalla presenza sulle sue acque di un buon numero di vapori d’epoca, ancora propulsi a ruote. Lungo gli imbarcaderi del lago i loro scafi sottili, slanciati e dipinti di bianco, si fanno ammirare per l’eleganza delle linee, mentre le orecchie degli spettatori sono sollecitate dal suono scrosciante delle pale che, in manovra, battono l’acqua.
La CGN (Compagnie Générale de Navigation) svizzera, oltre a molte unità moderne, arma ancor oggi una flotta che è stata battezzata: “Belle époque”. Il riferimento a tale periodo storico non è casuale, perché molti di questi scafi presentano eleganti interni e saloni che, restaurati nelle condizioni originali, ci riportano ai tempi a cavallo del ‘900. La flotta “Belle époque” è costituita da 8 battelli a ruote: tra questi l’unità maggiore, con i suoi 78 metri di lunghezza, è “La Suisse”, varata nel 1910, mentre la più antica è la “Montreux”, entrata in servizio nel 1904. Le altre unità portano i nomi di: “Simplon”, “Italie”, “Savoie”, “Hélvetie”, “Vevey” e “Rhône”.
Note
(1) Aa.Vv., Galère La Liberté, du rève à la realitè, Editions Cabédita, Morges, 1998.
(2) Gérard Cornaz, Les barques du Léman, Editions Slatkine, Genève ,1998.
(3) Xavier Mével, Sous le charme de Calliope, “Chasse-Marée” n°227, ottobre 2010.
UNA GALERA COSTRUITA EX NOVO: “LA LIBERTE”
Negli anni ’90 a Morges, sulla sponda svizzera del lago, prese vita il progetto di costruire ex novo una galera, ribattezzata “La Liberté”. Le ragioni dell’iniziativa vanno ricercate nella mutazione tecnologica subita in quegli anni dall’industria svizzera degli orologi. In quel periodo i prodotti meccanici di precisione furono in gran parte sostituiti da quelli digitali, dai costi inferiori.

Ciò comportò estesi fenomeni di disoccupazione tra gli operai specializzati della filiera dell’orologeria svizzera, che era sempre stata uno dei fiori all’occhiello del Paese. Tra le iniziative mirate ad aggregare in un progetto comune le maestranze che erano rimaste a casa, in attesa di un loro reinserimento produttivo, nacque l’idea di impiegarle nella costruzione di una delle grandi navi del passato: una galera, appunto. In carenza di disegni e piani costruttivi medioevali, per la realizzazione di uno scafo lungo 55 metri e largo 6 metri al galleggiamento, ci si rifece a dei piani costruttivi del ‘700, conservati dal Musée de la Marine di Parigi.
Per realizzarne la costruzione furono impiegati, nel corso di tre anni di lavori, più di 650 disoccupati. “La Liberté” scese in acqua nel giugno del 2001 davanti a una folla di 45.000 persone accorse da tutta la Confederazione per ammirarne il varo, una cerimonia inusuale per la Svizzera. Dopo le prime prove di navigazione, necessarie per ottenere i permessi per il trasporto dei passeggeri, sorsero però delle difficoltà, dovute al fatto che i criteri di sicurezza applicati alle unità navali sono oggi ben diversi da quelli di un tempo. Uno scafo leggero e sottile come quello della galera presentava dei problemi di stabilità quando era sovraccarico. Le autorità decisero che quando tutti i passeggeri si trovavano su un lato della galera, questa non dovesse inclinarsi di più di 12 gradi. Durante le prove, l’inclinazione dello scafo superò i 13 gradi: furono quindi effettuate una serie di modifiche strutturali.
Anche l’installazione delle enormi antenne con le vele latine fu bocciata, perché la loro manovra non fu considerata abbastanza sicura e così “La Liberté” è stata attrezzata con due vele auriche. Nel corso degli anni la decisione di optare per una struttura in legno con la resina epossidica, si è dimostrata vincente perché ancor oggi lo scafo della galera è in buone condizioni. La nave svolge un fitto programma di uscite estive: nelle crociere a motore può imbarcare 110 passeggeri, mentre quando è propulsa dalle vele il limite è portato a 60. Sotto il ponte presenta poi un salone che può accogliere 40 persone.
<p style=”text-align: center;”></p>