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Ambrogio Carnevali, un vero pioniere

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“DIETRO OGNI BARCA, LA SUA SAPIENZA”

Oggi è conosciuto per essere uno dei più apprezzati cantieri di rimessaggio. Ma dietro Carnevali Yachts Service si nasconde la storia di Ambrogio, un autentico protagonista della nautica italiana, recentemente scomparso. Ce la racconta il figlio Angelo.

di Antonio Bignami

Qualunque appassionato di età “matura” che abbia frequentato qualche vecchia edizione del salone nautico di Genova o che legga la nostra rivista da un bel po’ di anni non può non ricordare marchi come DC e nomi come Dellapasqua e Carnevali, uniti insieme dal congiuntivo commerciale o separati. Si tratta infatti di protagonisti di primo piano di quella cantieristica dalla quale ha originato l’indiscutibile successo delle barche italiane sui mercati internazionali.

Autentici pionieri che, non di rado, praticavano la concorrenza tanto in azienda quanto sui campi di gara, spesso trasferendo sui loro scafi da diporto le invenzioni che avevano sviluppato per tagliare il traguardo per primi. Niente feste mirabolanti con rockstar sul palco e champagne sui tavoli. Al massimo, scampagnate a base di piadine e Sangiovese.

Con quella gente non si parlava di asset allocation, debt ratio o EBITDA, bensì di stellature, eliche, motori, “manico”.

Oggi, il timone di quelle aziende è passato alle seconde generazioni e, in alcuni casi, anche alle terze. Ed è proprio con un figlio d’arte che cogliamo l’occasione di ripercorrere questo pezzo di storia della nautica italiana fino all’attualità. Angelo Carnevali è infatti figlio del mitico Ambrogio che, scomparso la scorsa primavera, era la “C” di quel famoso marchio, poi scisso in due nel 1992, dando vita a due aziende che, coerentemente, hanno seguito rotte alquanto diverse: Dellapasqua ha continuato a produrre una gamma di barche a motore che oggi va dai 7 ai 18 metri; Carnevali, dopo 16 anni di produzione con ottimi successi commerciali, nel 2009 ha incominciato a orientarsi verso le attività che ruotano intorno al rimessaggio – riparazione, modifica, refitting e restauro – limitando la costruzione solo su commissione. Per questo, oggi si chiama Carnevali Yachts Service e, forte dei suoi 6000 mq coperti e 7000 mq all’aperto, dotati di travel lift da 100 tonnellate e autogru da 65 tonnellate, rappresenta una delle realtà più quotate del settore.

Angelo, lei è stato testimone di una bellissima storia imprenditoriale. Ce la vuole raccontare così come la ricorda per averla sentita dalla voce di suo padre e per come l’ha vissuta direttamente?
Tutto è iniziato negli anni ‘50. Erano i tempi duri del dopoguerra e mio padre, Ambrogio, si arrangiava con piccoli lavori. Quindi, un po’ per caso, si ritrovò da Lugaresi, un cantiere di Bellaria che in seguito si sarebbe rivelato come una fucina di diverse altre realtà produttive, come Scagnelli, Acquaviva e direi quasi tutti i cantieri dell’Emilia-Romagna.

A quel tempo, costruivano barchette dai 3 ai 6 metri, piccoli motoscafi a fondo piatto. Lì già lavorava Giancarlo Dellapasqua. Dopo un po’ di tempo trascorso fianco a fianco, i due decisero che era arrivato il momento di prendere insieme un’altra strada.

Ma ci fu un’occasione specifica per spiccare il volo?
Un certo giorno, conobbero il presidente del Circolo Velico di Marina di Ravenna, che aveva comperato una barca a Bellaria. Fu lui a chiedere a loro se erano disposti a trasferirsi lì per fare un po’ di assistenza alle tante barche del posto. Avrebbero potuto lavorare in un piccolo capannone e magari avrebbero anche potuto costruire qualche barca. Così è stato. Inizialmente si trattò di piccoli motoscafi, tre o quattro metri al massimo.

Quale fu il primo passo verso le barche più importanti?
Videro da qualche parte le prime carene Hunt che venivano utilizzate in America nelle competizioni e, immediatamente, compresero che quella poteva essere una vera e propria svolta nella concezione delle carene. Fecero anche molta sperimentazione con barche costruite per le gare di motonautica, apportando diverse modifiche sostanziali al disegno originario. Fu così che, con una barca di sei metri costruita con le loro mani, mio padre vinse più volte i campionati italiani.

Fu dunque sui campi di gara che ebbe inizio il loro successo?
Esattamente. Gli altri, che usavano barche con il fondo piatto, restavano nella mischia; loro, con la carena a V, non avevano rivali. Tanto è vero che mio padre diceva sempre di aver smesso di correre perché non si divertiva più. Era diventato troppo facile vincere.

È anche vero che queste vittorie furono una meravigliosa forma di pubblicità.
Anche troppo, se pensiamo che costruivano le barche, andavano a correre, vincevano e, quasi sempre, dopo la gara le vendevano direttamente sul posto. In questo modo, ogni volta costruivano una barca un po’ più grande. Così è nato il loro primo leggendario DC7.

Poi, dalle vendite occasionali, sono passati al vero e proprio mercato.
Diciamo che si era ormai diffusa la voce che i loro scafi erano i migliori per tenuta di mare, prestazioni e consumi. Perciò, quando andarono a esporre alla fiera di Genova, riuscirono a vendere tutta la produzione dell’anno. E fu così anche in seguito. Infatti quello fu per anni l’unico salone al quale partecipavano.

Un successo che, tuttavia, ha preso una svolta nel 1992, quando i due soci si sono separati.
Sì, anche se pure da separati hanno continuato a lavorare con successo. Nel nostro caso, riuscimmo addirittura a innalzare ulteriormente il già altissimo livello della nostra produzione, sviluppando la carena a V variabile e curando lo styling sotto la sapiente guida di Ceccarelli.

E anche quando lei ha assunto la guida dell’azienda, suo padre è sempre rimasto in cantiere. Praticamente fino alla fine, giusto?
Esatto. E poiché l’aspetto commerciale non gli interessava, si occupava esclusivamente del settore tecnico. Non passava giorno senza che avessimo bisogno di lui per consigli, suggerimenti, soluzioni. Aveva un’incredibile esperienza maturata sul campo, in anni e anni di lavoro. Dietro ogni barca da costruire o da riparare o da modificare c’è sempre stata la sua sapienza. Mancherà a tutti, non c’è alcun dubbio. E a me particolarmente.<p style=”text-align: center;”></p>

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