Route du Rhum, destination Guadeloupe: Allagrande Ambrogio!
Ci sono volute dodici Route du Rhum prima che un italiano, a bordo di una barca pensata e costruita in Italia, salisse sul podio della regina delle transat. Secondo dei Class 40 con Allagrande Pirelli, Ambrogio Beccaria entra nel club dei campioni della vela oceanica.

Mentre il nostro Ambrogio nazionale agganciava dopo il passaggio delle Azzorre il terzetto di testa e si avviava alla conquista del podio della sua classe, due dei 138 solitari partiti il 9 novembre da St. Malo tagliavano, a poco più di 6 giorni dalla partenza, il traguardo a Pointe-à-Pitre dopo un match-race a rotta di collo, con giornate a velocità fra i 40 e i 50 nodi e tre robuste depressioni da negoziare prima di raggiungere gli alisei, questa volta più volubili e capricciosi del solito.
Per la prima volta nella storia della Route du Rhum, il paventarsi di condizioni meteo proibitive per le prime 36 ore di navigazione – con il passaggio di un violentissimo sistema di bassa pressione che, con raffiche fino a 50 nodi e mare molto formato, avrebbe sbarrato la via d’uscita dalla Manica – ha costretto gli organizzatori a rimandare di tre giorni la partenza della regata originariamente prevista per domenica 6 novembre. Aver evitato la “tempesta perfetta”, pur non avendo risparmiato alla flotta disalberamenti, incidenti e naufragi, ha comunque limitato i danni.

Favorito alla partenza al comando del rodatissimo trimarano volante Maxi Edmond de Rothschild, progettato da Guillaume Verdier nel 2017, Charles Caudrelier ha mantenuto il comando della flotta per quasi tutta la traversata, implacabilmente tallonato da François Gabart a bordo di SVR Lazartigue, varato nel 2021 e ultimo nato fra i maxi foiler volanti.
Per quanto non scontato in partenza, l’esito del duello fra questi due navigatori ha visto prevalere sul nuovo trimarano varato dal team Mer Concept di François Gabart su progetto dello studio Van Peteghem – Lauriot Prevost, con ancora troppo poche miglia di rodaggio in solitario all’attivo, la messa a punto perfezionata nel corso di cinque anni dal potente team voluto dal barone Benjamin de Rothschild nel solco di quanto creato dal padre Edmond per i suoi Gitana.

Più che dalle scelte strategiche o dal talento dei due navigatori, che hanno entrambi dei palmares d’eccezione, la lotta per la vittoria è stata condizionata dalla sicurezza con cui Caudrelier ha potuto spingere sempre al massimo il suo mezzo senza incorrere nel minimo problema tecnico. “Per tutta la traversata non ho dovuto prendere in mano neanche un cacciavite” ha dichiarato appena arrivato in banchina. Sorte che non è toccata a Gabart che ha dovuto alzare il piede dall’acceleratore per trovare la soluzione per riparare il sistema di blocco di uno dei foil lavorando per ore all’interno di uno degli scafetti laterali.

Quello di SVR Lazartigue è progetto innovativo con un contestato posizionamento delle manovre, normalmente previste in pozzetto, sottocoperta. Questa soluzione, che rivoluziona l’insieme degli spazi di pilotaggio e di manovra in solitario, è stata oggetto di una querelle sulla sua conformità al regolamento della classe Ultim che non sembra avere ancora trovato soluzione e il cui esito condizionerà l’evoluzione progettuale della classe.
Un’evoluzione che, qualsiasi piega prenderà, avrà come protagoniste fra i maxi Ultim squadre corse sempre più simili, per competenze e complessità, a team di Formula 1 o di Coppa America, con meno spazio per le singole individualità. In futuro sarà difficile che in una transat come questa si ripeta l’impresa di Francis Joyon che – a 62 anni, con un pluridecorato trimarano vecchio di 10 e una piccola ma solida equipe tecnica – ha sbaragliato la prima generazione di foiler volanti.

Storia diversa per gli Imoca, ormai anche loro nell’orbita del volo, ma pensati per Vendée Globe, il giro del mondo in solitario senza scalo che per durata e intensità resterà ancora a lungo una regata in cui fattore umano e resistenza delle imbarcazioni giocheranno un ruolo fondamentale, lasciando lo spazio a soprese sul podio.

In questa classe, molto teso anche il duello tra Charles Dalin su Apivia che, dopo aver tenuto il comando per quasi tutta la traversata, ha dovuto cedere il passo a un motivatissimo Thomas Ruyant che, dopo avergli tenuto il fiato sul collo per tutta la traversata, con il suo LinkedOut ha saputo destreggiarsi meglio fra l’alternanza di calme e groppi nelle ultime 24 ore di avvicinamento al traguardo. All’arrivo, raggiante e stremato di fatica, Rouyant ha riassunto in poche parole gli ingredienti necessari per vincere: “Barca ben preparata, strategia meteo, forma mentale, energia fisica”.

Per il nostro Giancarlo Pedote su Prysmian a mettersi di traverso all’obiettivo di piazzarsi nella top ten Imoca come tappa di avvicinamento verso il Vendée Globe 2023, è stata la rottura del J2. “Perdere una vela che avrei dovuto utilizzare per almeno 7 giorni di regata è stato come perdere una scarpa in una maratona, riesci a andare solo all’80{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} di quanto avevi previsto e tutta la tua strategia meteo va gambe all’aria.
Per mancanza di budget sono stato costretto a partire con una vela già affaticata e i miei sforzi dei prossimi mesi saranno ora concentrati a potenziare i mezzi economici che mi consentano di prendere la partenza del prossimo Vendée Globe con materiali all’altezza e un team competente e preparato”. A risarcimento di un 16° posto e della delusione per questa occasione mancata, a Giancarlo è arrivato, mentre era ancora alle prese con una movimentata traversata di ritorno, l’annuncio a Parigi del suo sesto posto nel ranking Imoca Globe Series, primo fra i non francesi e con un team tecnico di sole tre persone. “Alla fine di ogni regata Giancarlo è sempre in ottima posizione” ha commentato il presidente della classe Antoine Mermod “e la sua è stata un’altra stagione davvero impressionante”.


Piccoli e cattivissimi
Come già nell’edizione 2018, la classe che dopo la suspence dell’arrivo del primo Ultim ha regalato più mordente alla regata è stata quella dei Class 40. Piccoli e cattivissimi hanno costituito la classe più agguerrita e fisica, con 55 barche iscritte, 37 classificate e 15 abbandoni. Inarrestabile nella sua cavalcata verso la vittoria, la seconda di fila dopo quella del 2018, Yoann Richomme su Paprec Arkéa non ha nascosto di aver cercato il limite per tutta la regata. “Per tutta la traversata ho avuto la costante sensazione di poter spaccare tutto da un momento all’altro” ha raccontato al suo arrivo in banchina. Quello dei Class 40 è anche stato il gruppo con maggiore presenza italiana.

Con Ambrogio Beccaria c’erano anche Alberto Bona su Ibsa e Andrea Fornaro su Influence, il primo dei tre a mettere la nuova barca in acqua. Classe ’77, di Orbetello, membro dell’equipaggio di FlyingNikka, il rivoluzionario foiler mini maxi progettato da Marc Mills, Fornaro è un navigatore con esperienza in classi olimpiche, di altura e vela oceanica. Quarto alla Mini Transat Proto 2017, si è allineato alla partenza di questa Route du Rhum con un progetto VPLP varato nel 2021 dal Cantiere Multiplast a Vannes che gli ha dato parecchi grattacapi, tanto da costringerlo a uno scalo tecnico alle Azzorre per verificare i bulloni che agganciano la chiglia allo scafo. A Pointe-à-Pitre è arrivato 21° di classe, felice nonostante una traversata complicata. “È stata una grandissima esperienza e sono onorato di aver navigato con skipper di altissimo livello. La mia Rotta del Rhum non è stata facile ma sono contento di essere riuscito a risolvere tutti i problemi che ho avuto” ha raccontato al suo arrivo ed è probabile vederlo presto di ritorno fra i Class 40 con una nuova barca.
Per quanto anche questo intervallato da incursioni su altri circuiti di regata, il percorso di Alberto Bona nei Class 40 è più in parallelo con quello di Ambrogio Beccaria. Torinese, nato nell’86, laurea in filosofia, entra nell’universo Mini 6.5 nel 2010, nel 2013 arriva 5° alla Mini Transat Sada-Guadeloupe, poi si imbarca a caccia di record con l’equipaggio di Giovanni Soldini su Maserati e partecipa a due edizioni della Solitaire du Figaro.

Nel 2022 ha messo in acqua lo scafo progettato dall’ex“minista” e architetto Sam Menuard, con poco anticipo rispetto alla partenza della RdR per poter partire sfruttando il pieno potenziale della barca. Tattico e navigatore su diversi campi di regata, dà molta importanza alla strategia. L’impatto con la navigazione in regata sulla nuova barca è stato impegnativo e con la seconda depressione sono arrivate le prime difficoltà “È stata una regata piuttosto selvaggia, abbiamo vissuto 10 giorni in condizioni davvero difficili, in particolare durante la lunga bolina. Nella seconda perturbazione, di notte, ho perso la stazione del vento, mi sono mosso velocemente per andare al timone e ho sbattuto la faccia. Un momento senza dubbio complicato, così come, alcuni giorni fa, quando è esploso lo spi. L’ho sostituito con uno più grande, ma mettevo l’albero in acqua, ho dovuto darmi una calmata. Da qui l’ottavo posto, che va bene, così come so anche che ci sono ancora potenzialità da esprimere”.

Il coraggio delle idee
“La regata la divido in tre” ci racconta al suo arrivo alla Guadeloupe Ambrogio Beccaria, stanco ma ancora euforico per la sua impresa. “C’è la partenza in cui devi entrare subito in regata, prendere il ritmo, cercare di guadagnare con opzioni sotto costa, non sprecare energia e dare tutto. E a me questo gioco piace, mi aiuta a non pensare che ho davanti due settimane di traversata. Prendo delle opzioni ardite a raso scogli con 20/25 nodi di bolina e sono primo all’uscita dalla punta della Bretagna.

La seconda parte è quella delle depressioni, quella in cui rischi di spaccare tutto. Per riuscire a passare abbiamo preso quattro fronti e il più importante è stato il terzo. Più eri a Nord, prima riuscivi a virare e più riuscivi a guadagnare miglia. Il momento di quella virata ha definito la classifica, mi ha permesso di agganciare il gruppo di testa e mi ha fatto capire quanto sia fondamentale prendere le decisioni al momento giusto.
La terza parte è l’aliseo. È il momento in cui esci dalla modalità sopravvivenza e devi solo tirare al massimo. L’obiettivo era arrivarci con barca e skipper intatti. È a quel punto che ho più sentito la mancanza dei sensori del vento che ho perso il quarto giorno di traversata. Da quel momento né io né il pilota automatico abbiamo più avuto nessuna informazione su direzione e intensità del vento e ho dovuto iniziare a navigare a feeling, in un modo che oggi nella vela moderna è inconcepibile.
E devo dire che è stata una bella esperienza”. Ma ecco che arriva un piccolo colpo di blues che Ambrogio condivide sul suo profilo Instagram: “Senza sensori e senza pilota automatico in modalità vento non ho indicazioni su intensità e direzione del vento, non so mai che vela mettere, faccio casino e sono sempre in ritardo sulle manovre”. Le decine di messaggi di incoraggiamento che subito arrivano sul suo cellulare sono il booster che ci vuole per il rush finale e, fugate le incertezze, Ambrogio si fida del suo istinto e mette la vela giusta. La navigazione con l’aliseo ha però le sue asperità, ci ricorda, soprattutto quando, sottocosta alla Guadeloupe, si sente la pressione di un rivale che ci sta alle costole e che potrebbe soffiarci il secondo posto a un passo dal traguardo. Racconta “Finché è secco e non ci sono nuvole bene, ma quando arrivano i groppi di acqua e di vento la navigazione diventa difficile, nervosa. Le ultime 24 ore le ho passate fradicio e alla fine avevo le mani che sembravano marce”.

E poi l’arrivo, gli amici, i festeggiamenti. Ti eri detto che partivi per vincere, ma ancora non riesci a credere che tu e la tua barca siate riusciti a salire al secondo gradino del podio della più mitica delle transat. Un bel capitolo di questa bella avventura sta nella genesi di Allagrande Pirelli. “Questa barca è una storia di amicizia con Gianluca Guelfi, conosciuto quando studiavamo ingegneria a La Spezia. Abbiamo iniziato a parlarne, a scambiare idee ai tempi della prima Mini che ho fatto nel 2017. Un po’ per gioco abbiamo iniziato a immaginare quale sarebbe stata la nostra barca, ne parlavamo un po’ ridendo e poi siamo partiti prima ancora di aver trovato uno sponsor.
Abbiamo pensato tanto a questa barca, con un utile scambio tra il suo metodo più scientifico e ingegneristico e il mio, da navigatore, molto più empirico. È stato un progetto ad altissimo rischio, dal momento ho scelto di far fare la barca a Gianluca, un architetto sconosciuto, e a un cantiere, Sangiorgio Marine di Edoardo Bianchi, alla sua prima barca. Un rischio enorme, eppure noi eravamo convinti. La base di questo sport rimane il coraggio, non solo di affrontare una tempesta ma di fare dei progetti innovativi, di provare delle soluzioni nuove e di avere le tue idee.
Non è detto che siano giuste, ma devi avere il coraggio di provarle. Abbiamo fatto qualcosa che prima non sapevamo fare. Eppure con tanto lavoro, passione, precisione, dedizione, abbiamo fatto qualcosa di speciale. Poi è arrivato Pirelli come main sponsor e quando un’azienda così ti spinge da dietro diventi ancora più forte. Abbiamo cercato potenza e controllo, una barca molto potente e facile da manovrare da solo, anche con il mare in brutte condizioni.
Ed è bello perché funziona esattamente così. Un altro nostro punto forte è stato un team tecnico dedicato al progetto tanto quanto me. Prima della partenza abbiamo lavorato per notti infinite di un’intensità epocale.”
E allora bravissimo Ambrogio per aver lasciato un segno nella più bella delle transat e per essere riuscito a coglierne, con uno sguardo dritto verso il futuro, il vento di libertà e di avventura che l’ha fatta nascere.
