Gaetano Mura, inseguendo le sirene
Dopo la Solo Round the Globe Record, il navigatore oceanico
Gaetano Mura ha pubblicato il suo primo libro
Tra avventure all’ultimo respiro, personaggi e ricordi indelebili.
A un uomo di mare che si rispetti, niente potrà mai togliere la passione, neanche in tempi di “lockdown” pandemici. E se il mare non lo puoi vivere direttamente, perché eventi improvvisi te lo impediscono, allora lo immagini scrivendo, nelle righe e tra le righe, tra un ricordo e un altro, emozioni ed esperienze, navigando nel tempo e nello spazio come un albatro che domina gli oceani dall’alto, attento ad ogni “umore” della superficie marina, anche senza esserci fisicamente. Ed è così che il velista sardo Gaetano Mura ha scritto il suo primo libro, dal titolo “Le sirene hanno smesso di cantare”, pubblicato da Il Maestrale, che a pochi mesi dall’uscita è già in ristampa.
Le 200 pagine del libro, la cui copertina mostra l’autore ritratto dall’artista nuorese Alessandro Tamponi, vanno oltre le tante competizioni veliche affrontate, narrando mezzo secolo di vita. Mura firma il suo primo libro con alle spalle un palmares di tutto rispetto. Tra classe Mini e Class 40, ha ottenuto vittorie e buoni piazzamenti in prestigiose regate mediterranee e atlantiche, come la RomaX1, la Palermo Montecarlo, la Centomiglia Cagliari, il Mini GP d’Italia, la Rolex Middle Sea Race, la Transat Jacques Vabre, la Les Sables–Horta–Les Sables, così come ha partecipato alla Mini Fastnet e alla Mini Transat La Charente Maritime/Bahia, dove, nel 2009, scoprì la sua vocazione per la navigazione in solitario.

Questa avrebbe avuto il suo culmine nel 2016 con la sua partecipazione alla durissima Solo Round the Globe Record: il giro del mondo in solitario senza sosta e senza assistenza, a bordo di un Class 40. Partito il 15 ottobre da Cagliari, dopo aver doppiato il capo di Buona Speranza, nell’oceano Indiano subì due avarie che lo costrinsero a fermarsi a Perth, in Australia. Ma la sua prestazione gli valse comunque, nel 2017, il titolo di velista dell’anno al Vela Festival di Santa Margherita Ligure.
Mura, nel paragrafo finale del suo libro c’è un riferimento al titolo. Perché “le sirene hanno smesso di cantare”?
Il canto delle sirene ha sempre avuto molteplici interpretazioni. Leggendo il libro si può intuirne il significato, anche se mi piace lasciare la libera interpretazione. Ognuno si riconosce nelle sue storie di vita.
Cosa l’ha spinta a scrivere?
Ho sempre avuto in testa questa idea. Quando hai fatto determinate esperienze, c’è una parte che rimane per te e un’altra che vale la pena condividere. Un libro serve anche a questo. Non solo racconto, ma una vera filosofia di vita, che scaturisce dalle esperienze vissute.
La sua terra d’origine, Cala Gonone, è stata una base di partenza?
Non proprio. Ho fatto una scelta tra quelle storie che penso abbiano poi determinato altre scelte, tra le cose che ho fatto. Senza una sequenza temporale. Le ho scritte come riaffioravano, perché sono state determinanti nella mia vita.
Ha citato alcuni personaggi. Quanto sono stati importanti per lei?
Essendo curioso, mi hanno sempre attirato le storie delle persone apparentemente meno eclatanti, ma che ritengo più interessanti. Storie di vita di tutti i giorni, ma che ti lasciano dentro qualcosa. Insegnamenti. Persone come Claudio, che è stato molto importante nella mia vita, e Mario, pescato nei ricordi da ragazzino, che mi affascinava nella sua stranezza. Siamo esseri sociali e queste cose contano.
Qual è il suo rapporto con la solitudine?
Questo concetto si potrebbe sviluppare in un altro libro, tanto è complesso. È un po’ metaforico, un po’ polemico, tra il detto e il non detto. Nelle imprese veliche l’ho cercata, mi ha cambiato e creato dentro uno spazio che non era esattamente quello che mi aspettavo. Molto banalmente, certe esperienze sono incondivisibili e restano nel tuo vissuto solitario, non previsto.
Ci si sente più soli in mezzo all’oceano o, talvolta, a terra, in mezzo alle persone?
Senza essere retorici, ci si può sentire molto più soli anche in mezzo alla gente. Tanti sono soli davvero, anche se sono tra noi. Al giorno d’oggi, vivere nelle nostre città, nelle nostre distrazioni, nel nostro correre a tutta velocità, può creare delle grandi solitudini. Che non hanno nulla a che vedere con quelle che ti sei andato a cercare, facendo una cosa che ti piace, inseguendo i tuoi sogni.
Magari veleggiando sul famoso “Cutty Sark”, di cui parla nel libro.
Fin da bambino sono stato un grande appassionato di barche d’epoca e di velieri, non solo da un punto di vista letterario ma anche pratico. A 22 anni ho comprato un veliero d’epoca. È stato la mia scuola, la mia patente. E il “Cutty Sark”, che per me ha sempre rappresentato la quintessenza della bellezza in mare, non poteva che affascinarmi.
Poi è andato a vela per fare regate, con l’obiettivo di vincere.
Pur avendo fin da ragazzino uno spirito agonistico, alle regate ci sono arrivato per navigare in oceano in solitario, seguendo la mia passione. Allora, la competizione non è diventata prioritaria, non è più stata lo stimolo principale, nonostante mi piaccia moltissimo il “gioco” della gara. È stata una conseguenza, inseguendo il piacere di navigare. Poi, se devi avere una barca che costa un sacco di soldi e ti servono sponsor, devi necessariamente gareggiare.
E arriviamo alla Mini Transat.
Per chiunque ha avuto la fortuna di correrla, rimane la regata di riferimento, la prima vera grande esperienza di altura in solitario, con pericoli incredibili. Tutti quelli che l’hanno fatta, soprattutto la prima volta, sanno che si parte con velleità agonistiche, poi ci si ritrova a vivere realtà che non corrispondono alle aspettative della vigilia. Ti trovi ad essere un vero e proprio avventuriero. Per me, rimane la regata più importante.
Che cosa le ha lasciato la Solo Round the Globe Record?
Il libro, alla fine, ruota intorno a questa avventura. Che è stata – come dire – un’interruzione, un giro di boa, un momento importante della mia vita. Soprattutto il periodo successivo all’impresa è stato difficile. L’ho utilizzato per raccontare, rincorrendo nella memoria i vari passaggi, come fossi in presa diretta. Qualcosa che non è intuibile dai non addetti ai lavori.

Questa esperienza ha dunque influenzato la sua scrittura?
Volevo scrivere un libro nel modo in cui ho poi effettivamente fatto. Non volendo essere uno che racconta le sue avventure, ma un autore esordiente che si cimenta nella scrittura, perché è la sua passione. Magari per farla diventare una professione. Dopo cinque settimane, il libro è andato in ristampa, fatto che considero già un successo importante che può aprirmi nuove opportunità.
Ma rimane sempre quella che è la malattia del navigatore, cioè navigare. Anche se mi sento di essere un navigatore atipico. Quando preparo le mie imprese, lo faccio in maniera diversa dagli altri, seguendo altre piste. Talvolta riuscendo a coinvolgere anche gli sponsor. Ad esempio, una società che faceva abbigliamento da montagna, da quando è diventata un mio sponsor, oggi fa anche una linea di mare.
Tra le altre cose, insieme alla sua compagna di vita, Carla De Gioannis, ha realizzato una mostra fotografica dove denuncia l’inquinamento marino da plastiche. Quanto tiene a questa problematica?
Ci tengo molto. Quel lavoro è stato fatto anche da un punto di vista artistico, oltre che di denuncia. L’abbiamo creato in maniera abbastanza sobria, proprio perché sentiamo il problema da sempre. Con Carla siamo tifosi della natura, dunque tutto ciò che la minaccia ci ha sempre preoccupato. Volevamo dire la nostra in maniera alternativa, con delle immagini belle ma forti, che rendano l’idea.
Le sue prossime iniziative?
In testa ne ho anche troppe. In questo momento, difficile sotto molti aspetti, ci vuole pazienza per ricostruire e mettere insieme quel che serve per tornare a fare quel che vorrei. Compresa la ricerca di sponsor e contributi per nuove regate. Anche affrontare la complessità di scrivere un libro – come ho fatto – è un’impresa, al pari di una traversata oceanica. È un lavoro che dura tanto tempo, ma realizzato con passione. Diciamo che ho giocato a fare lo scrittore e questo gioco mi piace.
Come le appare oggi la nautica?
Il mondo della nautica in Italia è un po’ stantio. Non c’è molto coraggio a investire. Siccome abbiamo tutto a portata di mano, ci basta un iPad per convincerci che abbiamo fatto il giro del mondo. In realtà, non è così. Vedere virtualmente non è come viaggiare veramente. Conoscere le persone, tessere relazioni, affrontare gli elementi dal vivo, sono realtà che affascinano e fanno sognare ad occhi aperti.
Come vede lo sviluppo tecnologico applicato alle barche? Preferisce gli scafi classici o quelli avveniristici?
Le barche mi piacciono tutte e la tecnologia è importante, soprattutto per salvaguardia ambientale e sicurezza umana. È giusto tuttavia adottare un compromesso tra le prestazioni e la tecnologia, senza far danni all’ambiente. Questo mi sta a cuore. Ben venga lo sviluppo della nautica, ma che sia sostenibile, dunque moderno. Quando vedo molta attenzione agli scafi plurimilionari, follie dal punto vista economico, con megayacht sempre più grandi, penso che non ci si debba concentrare su ciò che si possono permettere in pochi. Invece, si dovrebbe dare più spazio a coloro che, con poche risorse, riescono a fare delle imprese degne di nota, realizzabili e desiderabili dai più. Il mio libro vuole essere anche questo: un racconto di belle storie, che piacciano a un pubblico più vasto. In un mondo dove bisogna vincere per forza, penso che il risultato è sempre casuale. Quello che non è casuale è la prestazione, che conta.
A proposito di nuove tecnologie e tendenze, cosa pensa dello sviluppo che ha avuto la Coppa America?
È diventata un gioco fine a stesso. Le barche “volanti” che oggi gareggiano sono molto avvincenti, ma è necessario trovargli un altro nome, perché non sono barche. Credo che abbiano segnato un confine epocale tra la possibilità o meno di accedere a certe competizioni, come la Vendée Globe, a cui hanno partecipato anche marinai avventurieri che, con budget limitati, ne hanno fatto la storia. Gli organizzatori della Coppa America hanno fatto crescere i budget in maniera talmente esponenziale, da limitarne di fatto la partecipazione.<p style=”text-align: center;”></p>

