36° Coppa America: La Sesta Luna, una sconfitta che sa di vittoria
Sei sono state le campagne che dal 2000 hanno visto protagonista Luna Rossa. E mai come in questa, tutto è stato possibile fino alla fine. Compreso il diritto di sognare ancora.
Com’è finita lo sappiamo tutti. A due settimane dalla conclusione della finale di Coppa America, quello che è stato cronaca fino a pochi giorni prima, diventa rapidamente storia. Non sono previsti secondi posti in America’s Cup e la gloria va tutta a chi vince.
Onore a Emirates New Zealand che ha difeso la “Brocca” guadagnandosi il diritto di tenersela in casa e rimetterla in gioco.
Ma non è questa la vittoria di cui vorremmo parlare. E non per diluire l’amaro della sconfitta. Sul campo di regata i giochi sono stati fatti alla luce del sole e il vincitore non si discute. La storia di questa sfida e il suo epilogo hanno altri risvolti, che a leggerli non vien voglia di consolarsi ma di esserne orgogliosi.
Perché questa storia è costellata di vittorie, e appartengono a Luna Rossa. A partire da quell’ottobre del 2019, quando la barca numero uno, dopo tre anni di lavoro, vide la luce.
A Nembro la prima vittoria
Nembro è una località della Val Seriana, nella bergamasca. È qui che ha sede la Persico Marine dove sono state costruite le due barche: la prima, varata a Cagliari il 2 ottobre del 2019; la seconda, quella volata nel golfo di Hauraki per scendere in acqua e conquistarsi il diritto alla finale con Emirates New Zealand.
Nembro, il simbolo della pandemia in Italia, poco più di 11 mila anime nel cuore della provincia bergamasca sulle sponde del Serio. Luna Rossa 2 fu anche al centro di vere e proprie calunnie. Qualcuno disse che la zona rossa non fu dichiarata per permettere di finire la barca. In realtà, lo stabilimento fu chiuso due settimane prima della decisione governativa e riaprì insieme a tutte le altre realtà produttive.
Fatto sta che a settembre dello scorso anno, dopo 160 mila ore di lavoro per ultimare entrambe le barche, quando Luna Rossa fu imbarcata sull’Antonov diretto ad Aukland, quel volo, per chi aveva lavorato al progetto e per molti cittadini di Nembro, ebbe il sapore della rinascita. Sull’Antonov, insieme allo scafo, si imbarcò il simbolo dell’eccellenza made in Italy, rappresentata dal lavoro, dalle idee, dal livello tecnologico espresso da una sessantina di aziende italiane, fra le quali spiccano, oltre a Persico, la bresciana Cariboni, che ha realizzato i meccanismi di movimento dei foil, Gottifredi Maffioli, cui si devono le manovre correnti, e i velai che hanno rifinito le vele, costruite dalla North Sails ma disegnate da Marco Capitani. Per non parlare dell’equipaggio: dieci su undici sono italiani e provengono da ogni parte dello Stivale.
Le vittorie a terra…
Le fasi di qualificazione dei Round Robin si concludono con l’accesso alla finale della Prada Cup degli inglesi di Ineos Team UK e di Luna Rossa Prada Pirelli. Prima di scendere in acqua, le schermaglie le innescano i neozelandesi a terra, a colpi di regolamento e, soprattutto, di pretesti. A metà febbraio le autorità hanno decretato tre giorni di stop, una sorta di mini lockdown imposto dall’emergenza Covid, che scadono il 17 febbraio. Il giorno 18 avrebbero dovuto riprendere le regate, ma dal team di Emirates New Zealand parte il tentativo di ottenere un ulteriore rinvio a causa dalle restrizioni imposte dalle misure anti Covid che impediscono l’accesso del pubblico.
A Ineos UK non pare vero e sostiene la richiesta. Sono infatti previste condizioni di vento leggero che sulla carta favorirebbero Luna Rossa. Inizia così una strenua battaglia da parte dell’avvocato Alessandra Pandarese, responsabile degli affari legali della Prada Cup, che alla fine riesce a scardinare il meccanismo dilatorio dei neozelandesi, sostenuto strenuamente dai britannici, e a garantire la ripresa delle regate per la finale della Prada Cup nel week end del 20–21 febbraio.
… e quelle in acqua
Luna Rossa in acqua splende e fa sognare milioni di tifosi. Con un 4 a 0, i ragazzi di Max Sirena demoliscono American Magic, la barca che gareggia con le insegne del New York Yacht Club. Al di là della scuffia della barca statunitense, Luna Rossa domina le regate. Vincono perché sono più forti: equipaggio in forma strepitosa e barca più veloce. A bordo di Prada Pirelli, a fianco ai “veterani” Pietro Sibello, James Spithill e Francesco Bruni, ci sono quelli della cosiddetta “new generation”. Otto atleti, alcuni provenienti da altre discipline sportive, altri velisti di vecchia data – si fa per dire vista la giovane età – ma tutti determinatissimi.
In tutto undici uomini, allenati fisicamente e addestrati a dialogare con lo shore team su tutte le questioni tecniche che riguardano barca e competizione.
Per costruire l’equipaggio, Patrizio Bertelli, patron di Prada, e lo skipper Max Sirena ci hanno messo testa e cuore. La testa per individuare gli uomini e cucire loro addosso il ruolo, il cuore per riportare in auge uno come Pietro Sibello, il tattico, finito ai margini del mondo delle regate per una brutta malattia. Un aspetto fondamentale, quello umano, che pesa a nostro favore anche nel confronto con gli inglesi. Non stiamo parlando solo di carattere ma di conoscenze e sforzo innovativo sul piano tecnologico per portare in acqua una barca tecnicamente superiore.
Fatto sta che quando inizia la sfida con i britannici, nel golfo di Hauraki si presentano due squadre apparentemente impari: da una parte UK, su cui Ineos ha investito 128 milioni di Euro, dall’altra Luna Rossa, per la quale Prada ha speso 65 milioni in tre anni. Esattamente il doppio del budget, che non basta ai sudditi di Sua Maestà per portare a casa la Prada Cup. Il 21 febbraio del 2021 è un giorno storico. Nel campo di regata A, la brezza non supera i 10 nodi, quindi favorevole agli italiani che hanno comunque dominato la finale portandosi su un clamoroso 6 a 1. Luna Rossa si esibisce in un volo leggero e preciso, senza errori. Dopo 29 anni dalla vittoria del Moro di Venezia, che nel 1992 conquistò la Luis Vuitton Cup, e 21 dalla vittoria del team Prada, l’Italia si aggiudica, per la terza volta, il diritto di sfidare il defender, battendo Ineos UK per 7 a 1.
La sconfitta che non uccide il sogno
Il match race finale inizia con gli italiani che si battono alla pari con i kiwi. Ma alla decima gara, sul 7 a 3, si infrange definitivamente la speranza di farcela. Dopo essere stata in vantaggio su Te Rehutai per ben due volte, sul 2-1 e 3-2, Luna Rossa capitola. Conquistando però un risultato storico: è la prima volta che una barca italiana impegnata nell’America’s Cup vince in finale tre regate.
Il gap fra le due barche si è ampliato lungo tutte le 10 prove in acqua culminate con la vittoria dei kiwi il 16 marzo. Emirates New Zealand, prima di incontrare gli italiani, era rimasta a digiuno di regate dal dicembre scorso. Un’assenza dalle competizioni che ha probabilmente reso necessario un po’ di rodaggio per migliorare comunicazioni e manovre. Poi le differenze sono saltate agli occhi: i padroni di casa avevano una barca più veloce e hanno sbagliato meno. Di contro gli uomini di Max Sirena hanno commesso errori tattici che lo stesso skipper ha riconosciuto, così come ha ammesso di avere mancato qualche obiettivo anche sullo sviluppo della barca.
Ma come ha affermato Vasco Vascotto, allenatore a terra del team italiano, “nella vela l’errore più grande è non scegliere”. E gli uomini di Max Sirena, giuste e sbagliate, di scelte ne hanno fatte sempre, regalandoci emozioni che questa formula, con bolidi che sfrecciano a 50 nodi, sembrava esserne parca. James Spithill ha vinto quasi tutte le partenze e, a detta di tutti, il team Prada Pirelli ha dato più volte lezioni di match race. La gara 9, poi, resterà negli annali della Coppa America: le due barche si sono affrontate con mosse e contromosse, superate a vicenda e navigato a pochi metri di distanza, dando vita ad un duello avvincente. Come detto, alla decima regata, sul 7 a 3, si infrange la speranza di farcela. Ma non il sogno. All’indomani della sconfitta, nessuno nel team ha voglia di minimizzare gli errori commessi ma nemmeno di sottovalutare il livello raggiunto. Da qui si può ripartire. Lo ha affermato Patrizio Bertelli all’indomani della sconfitta: “Luna Rossa e Prada parteciperanno alla prossima competizione”.
E lo ha detto nelle ore in cui i rumors erano molti circa la possibilità che gli inglesi di Ineos potessero lanciare la sfida, diventare Challenger of record e accordarsi per una Coppa a due, senza altri sfidanti, da disputarsi nelle acque dell’isola di Wight. Ipotesi fortunatamente tramontata. Al momento di andare in stampa, Emirates New Zealand ha accettato la sfida che effettivamente Ineos ha lanciato, diventando così il Challenger of record. Ma non si tratterà di un duello a due. Per Luna Rossa il sogno continua.
AC37, nuove regole: salvo Spithill, fuori Alinghi?
“Emirates Team New Zealand è lieto di confermare che il Royal New Zealand Yacht Squadron ha accettato un avviso di sfida per la 37a America’s Cup dal Royal Yacht Squadron Racing, rappresentato da Ineos Team UK, che agirà come Challenger of Record per AC37”.
Il 19 marzo, pochi minuti dopo che Ineos ha comunicato alla stampa di avere lanciato la sua sfida ai Kiwi, è arrivato il comunicato di Aaron Yong, commodoro del Royal New Zealand Yacht Squadron, con cui annuncia di avere accettato l’avviso. Come già si vociferava, l’accordo fra i due team era già stato preso da tempo, ma in un quadro ben diverso da quello che si temeva, ossia che i giochi avrebbero potuto essere fatti fra i due team escludendo tutti gli altri potenziali sfidanti e saltando tutte le tappe di avvicinamento al match race finale.
Defender e Challenger si sono dati otto mesi di tempo per definire insieme il protocollo che disciplinerà la 37esima Coppa America, ma alcuni punti cardine sono stati fissati. Il primo riguarda le barche. Saranno ancora gli AC75 per i prossimi due cicli di Coppa America anche se le squadre si dovranno limitare a costruire un solo nuovo scafo per il prossimo evento.
La clausola che pare per il momento essere la più rilevante è quella che riguarda gli equipaggi. Sarà certamente oggetto di fortissime trattative ma, per il momento, il comunicato dei kiwi è chiarissimo: “Una nuova regola sulla nazionalità dell’equipaggio richiederà che il 100{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} dell’equipaggio di ogni concorrente sia titolare del passaporto del paese dello yacht club della squadra al 19 marzo 2021 o sia stato fisicamente presente in quel paese (o, agendo per conto di tale yacht club ad Auckland, sede degli eventi AC36) per due dei tre anni precedenti prima del 18 marzo 2021. In deroga a questo requisito, ci sarà una disposizione discrezionale che consente una quota di non nazionali nell’equipaggio di regata per i concorrenti delle Nazioni emergenti”.
Stando così le cose, James Spithill non avrebbe problemi ad essere confermato al timone di Luna Rossa, mentre per Alighi, che aveva dichiarato l’intenzione di partecipare alla prossima edizione, le cose si metterebbero decisamente male. Trovare e preparare dieci o undici svizzeri da imbarcare su un AC75 non sembra essere cosa fra le più probabili.

“Ecco perché New Zealand era più veloce”
Scafo, forma delle ali, utilizzo dei foil. un grande progettista analizza le ragioni della vittoria di Emirates. E su Luna Rossa non ha dubbi: “Innovativi e bravissimi. Gli AC75 sono ancora il futuro della Coppa”.
Giovanni Ceccarelli, ingegnere, yacht designer con una lunga esperienza in Coppa America, prima con Mascalzone Latino nel 2003 ad Auckland poi con +39 Challenge a Valencia nel 2007, ci aveva visto lungo. Poche ore prima della conferma che gli AC 75 sarebbero state le barche delle prossime competizioni, lo aveva previsto e auspicato: “È inevitabile che si vada avanti con questo tipo di barche. Sarebbe una follia buttare via tutto. Avremo qualche modifica ai regolamenti ma sono loro il presente e il futuro della Coppa”.
Ma il cavaliere Giovanni Ceccarelli – l’onorificenza gli è stata concessa dal presidente della Repubblica Napolitano per il ruolo che ha avuto come responsabile dell’ingegneria nelle operazioni di raddrizzamento della Costa Concordia – ha qualcosa da dire anche sulle ragioni della vittoria di Te Rehutai e su come la pandemia abbia condizionato la manifestazione: “Tutto è stato molto influenzato dall’emergenza sanitaria. Non ci sono state regate di avvicinamento e, arrivati a dicembre, i giochi erano ormai fatti. Così come il numero delle nazioni partecipanti, ridotto a causa della pandemia e anche dalle incertezze legate a un programma breve e con costi elevatissimi, ha condizionato la fisionomia che ha assunto questa edizione della Coppa, che comunque è stata affascinante e coinvolgente in particolare per noi italiani”.
Ma non ha condizionato le prestazioni. Emirates New Zealand era realmente più veloce.
Intanto partirei da stabilire una cosa. Che tanto i neozelandesi quanto gli italiani avevano interpretato benissimo, a differenza degli altri due team, la tipologia di scafo per questo tipo di regate fin dalla prima barca realizzata. Avevano capito che non ci si poteva limitare a considerarla come una piattaforma ottimizzata per le prestazioni in volo, che poteva accadere di toccare e che quindi non si poteva avere una piattaforma al posto dello scafo. Inoltre, avevano capito subito che si doveva volare bassi, per ridurre la resistenza dell’aria.
Stessa corretta interpretazione delle linee d’acqua, ma resta il fatto che New Zealand rispetto a Luna Rossa, qualche cavallo in più lo aveva a disposizione.
Te Rehutai si è spinto oltre. Aveva lo scafo più profondo e, lo abbiamo visto tutti, volava ancora più basso sull’acqua. La stessa prua alta e verticale quasi a volere andare a cercare l’acqua senza toccarla e una grande cura aerodinamica nello scafo e nella coperta alla ricerca di minimizzare le resistenze aerodinamiche, che comunque hanno una certa importanza, incidendo di circa il 20{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} sul totale delle resistenze.
Questa capacità di volare più bassi era dovuta solo alla forma del corpo canoa?
Non solo. Anche la forma ma soprattutto l’uso del foil ha avuto la sua importanza. Quello della barca neozelandese non era mai statico ma in continua regolazione alla ricerca della maggiore efficienza dell’ala ma sempre alla ricerca di minimizzare l’altezza dello scafo dall’acqua.
L’ala di Emirates New Zealand era molto diversa da quella di Luna Rossa?
Sì, quella dei neozelandesi era piatta, detta a T, mentre quella di Luna rossa era a Y. Quella a T sulla carta è più efficiente ma può entrare in condizioni di criticità molto più facilmente di quella a Y. I neozelandesi hanno optato per un’ala piatta, piccola di superficie e con i flap comunque sdoppiati, che si è rivelata molto efficiente anche nel range basso delle velocità. Loro avevano un flight controller dedicato che modificava in continuazione la posizione del braccio per mantenere costantemente il profilo dell’ala al massimo dell’efficienza.
Questo comportava la necessità per il flight controller di spostarsi da una parte all’altra a ogni cambio di mura, posizionandosi sottovento per poter vedere sempre il tip dell’ala. Una scelta precisa nell’impostazione dell’equipaggio legata agli uomini. Peter Burling ha voluto come fligh controller un uomo che conosce molto bene, Blair Tuke, suo prodiere e campione 49er, veramente esperto nell’uso dei foil e nella ricerca della massima efficienza dell’ala immersa. Su Luna Rossa il controllo dei foil passava da Bruni a Spithill a seconda delle mure su cui navigavano. Questo ha significato, soprattutto nelle fasi di partenza, non avere una persona che doveva spostarsi da una parte all’altra. Di contro, anche per la forma dell’ala, le posizioni del braccio erano sostanzialmente due, o dentro o fuori dall’acqua.

Anche nel giro di boa i kiwi sembravano uscire dalla cosidetta J-K, ossia dalla virata, più velocemente.
È vero, perché riuscivano con l’utilizzo differente della inclinazione del braccio sottovento e per la tipologia delle ali a fare un giro di boa molto efficace. Insomma, hanno avuto un diverso approccio nell’utilizzo delle ali. Si è parlato tanto della loro forma ma quello che molto mi ha colpito è stato il modo di usarle con continue regolazioni. Sono riusciti a fare quasi una virata con rollio come sulle derive. Penso che la classe sia molto da scoprire nel futuro, del resto sono barche che in regata sono state usate solo da dicembre.
E poi?
E poi New Zealand poteva contare su circa 3-4 metri quadrati di superficie di randa in più nella parte bassa.
Come è stato possibile?
Hanno lavorato molto sul design della coperta e sull’interpretazione del regolamento di classe, che avevano peraltro scritto loro. Senza violarlo, hanno scavato il ponte nella parte a poppavia dell’albero, abbassando il boma e riuscendo così a avere quei metri in più di vela. Questo ha comportato un vantaggio in sé ma anche nel riflesso che ha avuto sul fiocco. A 40-50 nodi di velocità, il fiocco offre solo resistenza: era obbligatorio per regolamento ma era un impedimento più che un vantaggio. Grazie anche alla randa più grande, i kiwi hanno potuto avere un fiocco più piccolo, ottenendo più potenza e minore resistenza.
Regatare in casa ha rappresentato un altro vantaggio?
Probabilmente sì, a volte è stato anche determinante, ad esempio quando si è regatato nel campo E, quello più interno, maggiormente vicino a costa e quindi più soggetto a variabili legate all’orografia.
La sconfitta di Luna Rossa coincide anche con un risultato mai raggiunto prima, tre vittorie in una finale di Coppa.
La barca italiana ha perso con grande onore contro chi ha inventato questa formula di regata. Il vantaggio del Defender è enorme da questo punto di vista. Luna Rossa è stata capace di un’impresa, dal punto di vista tecnologico e di prestazioni dell’equipaggio, incredibile, portando molto in alto nel mondo il Made in Italy e per questo dobbiamo essere riconoscenti al dottor Patrizio Bertelli e al team. Un’ulteriore conferma della bontà e della credibilità di un sistema partito da lontano. Oggi, in diversi settori della nautica l’Italia è leader nel mondo, il nostro design e le costruzioni sono un punto di riferimento all’estero. Io non credo che si possa recriminare su nulla, tutti hanno fatto un ottimo lavoro a partire da Max Sirena, dimostrando capacità di innovazione e determinazione. Forse fra la prima e la seconda barca avrebbero dovuto rischiare un po’ di più, spingersi oltre e magari provare anche un set di ali a T in fase iniziale. E anche dal punto di vista velico, il nostro equipaggio ha dato spesso lezioni di match race ai neozelandesi. Errori certo, chi non ne ha fatti, vince chi ne fa meno. Ma l’errore è insito nel fare scelte e, certo, non si può dire che Bruni, Spithill, Sibello e gli altri non siano stati protagonisti di scelte precise.
Anche la scelta del doppio timoniere la condivide?
Mi sembra che sia stata in linea con le scelte che ha fatto fin dall’inizio Max Sirena dando spazio ai due timonieri e riflettendosi come impostazione del progetto e del design del ponte. Due timonieri con caratteristiche diverse ma efficaci entrambi. Poi Spithill non ha perso praticamente nessuna partenza. Altrettanto è stata valida la scelta dei defender improntata attorno al fuoriclasse Burling al timone e a due grandi uomini al suo fianco, ciascuno con ruoli precisi: regolazione vele e controllore del volo. Se nel futuro dovessi scegliere, sarei a favore di un solo timoniere e con ruoli definiti.
I detrattori di questa formula dicono che le regate sono più noiose rispetto a quelle con i monoscafi.
La Coppa America è da sempre la migliore espressione del massimo livello tecnologico che la vela esprime in quel momento. Anche quando si regatava con i J Class era quella la massima espressione del livello tecnologico raggiunto per quei tempi. Quindi è giusto andare avanti e credo che questa formula sarà riproposta. Saranno ancora gli AC75 i protagonisti delle prossime edizioni. In quanto alla noia, beh, posso dire che la penultima regata di questa finale sia stata forse la più emozionante degli ultimi dieci anni.
Crede che questa formula sia capace di attrarre nuovo interesse verso la vela come accadde ai tempi di Azzurra, il Moro e la prima Luna Rossa?
Penso che sia accaduto anche quest’anno. Tutte le volte che imbarcazioni italiane hanno raggiunto questi livelli c’è stato un grande tifo e un avvicinamento delle persone al mondo della vela.
Come vede il futuro della progettazione nel diporto?
Con tutte le difficoltà di questo anno terribile la progettazione è stata protagonista di nuove idee. Il mio studio, in quest’ultimo anno, ha varato tre nuove barche, il Fortytwo per Eleva, il Neo 430 Roma per il cantiere di Paolo Semeraro Neo Yacht & Composite e il De Cesari 33, un day sailer realizzato completamente in legno dalle linee classiche. Inoltre, ho diversi progetti in progresso sul tavolo da disegno, per la vela e per il motore.
Anche lei pensa che mettere le ali alle barche sia il futuro?
Penso che sia già il presente. È una soluzione. Non l’unica. Rimarranno sempre le barche a dislocamento, non tutto deve volare. Credo in una nautica sostenibile legata all’innovazione e, perciò, una parte della mia ricerca la sto sviluppando sui foil applicati alle barche a vela e a motore. Meno resistenza di avanzamento, significa meno necessità di potenza e quindi una maggiore sostenibilità ambientale. Un’attenzione che la vela ha sempre avuto e che solo da qualche anno è diventata una priorità anche per il comparto del motore. Ecco, questo è il futuro.<p style=”text-align: center;”></p>












