Vai al contenuto

Mediterraneo sempre più “hot & high”

Le acque del mar Mediterraneo saliranno di livello nei prossimi anni di quasi mezzo metro e si riscalderanno sempre più velocemente.

La prospettiva poco confortante arriva dall’ultimo aggiornamento scientifico in materia di innalzamento del livello e aumento di temperatura del mare nostrum, in base al quale l’acqua minaccia di invadere coste e entroterra mettendo a rischio, nello scenario migliore, circa 2.500 chilometri quadrati di territorio e circa 5.000 in quello peggiore.

Le nuove proiezioni le ha fatte l’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) che, partendo dai più recenti dati dell’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico), ha stimato l’innalzamento del livello del Mediterraneo fino al 2100 a causa del riscaldamento globale. “Nello scenario climatico migliore, quello in cui prendiamo tutte le misure possibili per limitare le emissioni di anidride carbonica, alla fine di questo secolo il mare si alzerà comunque di 40 centimetri rispetto ad oggi”, ha spiegato Gianmaria Sannino, responsabile della divisione Modelli e tecnologie per la riduzione degli impatti antropici e dei rischi naturali di ENEA. “Ma attenzione: questi 40 centimetri potrebbero diventare addirittura 80 se non sarà presa alcuna azione di mitigazione”, ha precisato.

Per avere previsioni attendibili, le proiezioni dell’IPCC sull’evoluzione del clima del pianeta sono state ulteriormente elaborate da ENEA con modelli dettagliati e grandi risorse di calcolo, tenendo conto di elementi quali quantità di acqua che entrerà dall’Atlantico attraverso lo stretto di Gibilterra, fusione dei ghiacciai, correnti marine ed espansione termica del mare dovuta alla sua maggiore temperatura.
Sono in tutto una quarantina le zone italiane più a rischio. Fra queste non solo Venezia e le coste dell’Adriatico settentrionale, ma anche le zone di Cagliari e Oristano in Sardegna, La Spezia, tratti della Versilia, la foce del Tevere, le piane del Volturno e del Sele in Campania, le foci del Pescara, del Sangro e del Tronto in Abruzzo, le zone di Lesina e di Taranto in Puglia, parti del sudest della Sicilia.

Secondo gli esperti, le azioni più efficaci da intraprendere vertono sul maggior taglio possibile di emissioni di “gas serra” e contestuale progettazione di sistemi per fronteggiare l’innalzamento del livello del mare, come avvenuto a Venezia con l’infrastruttura “MOSE”, ma con minori tempi realizzativi.

Considerando il riscaldamento degli oceani, nel 2022 è stato infranto un nuovo record, con temperature in aumento per il settimo anno consecutivo e il Mediterraneo considerato come mare che si scalda più velocemente.

Lo si afferma in uno studio pubblicato sulla rivista Advances in Atmospheric Science, al quale hanno contribuito, oltre all’Accademia Cinese delle Scienze, anche ricercatori italiani dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) e dell’ENEA. I ricercatori hanno analizzato i dati dell’IAP (Istituto di Fisica Atmosferica) cinese e del NOAA (Amministrazione Nazionale per gli Oceani e l’Atmosfera) statunitense raccolti dal 1950, rilevando come il contenuto di calore dell’oceano nei primi 2.000 metri di profondità è aumentato rispetto all’anno precedente di circa 10 zetta joule (ovvero 1 joule – unità di misura del calore – seguito da 21 zeri), che potrebbero mantenere in ebollizione 700 milioni di bollitori da 1,5 litri per un anno intero. Accanto al continuo aumento della temperatura degli oceani, sono stati altresì constatati livelli sempre più elevati di salinità e una maggiore separazione dell’acqua in strati, che può ridurre o annullare il rimescolamento tra la superficie e le zone più profonde.

Questi fattori, alterando le modalità in cui calore, carbonio e ossigeno vengono scambiati tra l’oceano e l’atmosfera, si riflettono sulla biodiversità e sugli spostamenti delle specie ittiche, con effetti a cascata sulle comunità dipendenti dalla pesca. La problematica, dunque, non investe solo gli ecosistemi marini, ma anche gli ecosistemi terrestri e le attività umane, considerando che gli oceani assorbono la maggior parte del riscaldamento di origine antropica.

Leggi anche