Storie di persone che amano la vela: il mare che cambia la vita
Due storie, due modi di amare il mare, due vite che cambiano inseguendo il vento. Storie di persone normali, lontane dalle medaglie olimpiche e dai record, ma abbracciate alla vela che ti cambia l’esistenza.
Per quanto immenso sia il mare, pare davvero che nulla possa impedire, se così sta scritto, che due linee si incrocino, che un punto minuscolo si crei proprio là dove la punta sottile di una matita s’è appoggiata sulla carta, segnando le coordinate in cui, anche solo per qualche secondo, due vite si incontrano.
Il punto di latitudine e longitudine in cui si incontrano le nostre due storie, si trova sulla costa nord del golfo di Arzachena, nella parte alta della Sardegna, dove i venti si danno convegno quando il Maestrale si ritrae un poco, lasciando spazio ad arie cariche di salsedine e di umidità.

È qui che quella di Marco Pennisi, architetto milanese rapito dal mare, e quella di Paola Arcolin, studentessa adolescente, sbattono l’una contro l’altra. Storie profondamente diverse le loro, con un solo comune denominatore: una passione struggente per il mare.
La principale differenza sta nel fatto che, al momento dell’incontro, la vita di Marco, da anni, è già stata travolta e ribaltata da un’onda che ancora oggi non accenna a ritrarsi. Paola invece ancora non lo sa; nemmeno sospetta che, in una manciata di secondi, quella stessa passione le esploderà negli occhi e nella mente, e che i suoi anni a venire saranno profondamente diversi da come li aveva immaginati e, in parte, temuti.

Mare e architettura
La rotta di Marco parte da lontano, dalla Milano degli anni ’70, dove inizia a dare forma a quel piacere che gli suscita l’idea del mare. Non si può proprio chiamare passione, non ancora. A 16 anni frequenta il primo corso a Caprera, cui ne seguiranno altri e, nel frattempo, inizia l’università. Obiettivo: diventare un architetto. Prima della laurea, a vent’anni, fa anche una prima stagione come skipper, guadagnando bene e divertendosi, ma tenendosi ancora lontano da quella appartenenza al mare che, poi lo scoprirà, è cosa ben più profonda del semplice piacere dell’andare in barca.
Dopo la laurea, e i primi anni da architetto nella “Milano da bere”, a 28 anni è Londra a calamitare attenzioni ed energie. Nella city trova una sua collocazione in uno studio di architettura, fa esperienza e, soprattutto, aggiunge righe al suo curriculum. Sul filo dell’orizzonte c’è sempre una vela, ma non è quello l’orizzonte cui Marco punta il suo sguardo. Dopo avere aperto uno studio di architettura a Milano, sente arrivato il momento di tornare in un luogo che da ragazzo lo aveva rapito.

E così, a 34 anni, torna in Tanzania, ma questa volta mettendo in valigia le sue competenze professionali. “L’obiettivo era di progettare un villaggio turistico – racconta – e poi costruirlo formando e facendo lavorare operai locali”. Come tutto quello che ha fatto sino ad allora, anche questo progetto funziona e va in porto, così come funziona nuovamente con successo lo studio che riprende in mano una volta tonato a Milano. Insomma, una vita di normale successo, dove le cose funzionano bene, i risultati danno soddisfazione e nulla pare mancare. Anche se una sorta di languore rimane sempre in sottofondo, che neppure l’essere diventato istruttore di vela riesce a colmare.
Il 1997 è l’anno della rivelazione. Liquida la sua quota e, con i soldi incassati, si prende un anno sabatico dedicandosi alla scuola di vela come istruttore del Velamare club di cui entra a far parte anche come socio. È quella che Marco chiama la folgorazione. “Quello che ha cambiato la mia strada per sempre non è stato il piacere, seppure intenso, di andare in barca, ma la scoperta di uno stile di vita, l’appartenenza a una comunità di persone, la qualità di relazioni che non avevo mai vissuto. Il mare a me piace, ma non mi fa palpitare il cuore come me lo fanno palpitare i rapporti e le relazioni che intorno al mare si costruiscono”. Il Marco inquieto, quello sempre alla ricerca di qualcosa finalmente sta bene, appartiene alla comunità di persone che fanno della scuola di vela la loro professione ma anche il loro modo di stare insieme. Il mare così vissuto è ciò che Marco definisce uno “dei valori fondanti” della sua vita. A 37 anni la sua vita cambia per sempre. Il mare e l’insegnamento della vela diventano una professione in cui cresce e sperimenta, fino al punto di trasformarli in strumenti formativi per aziende importanti.
Ma è nei ragazzi delle suole che Marco trova il terreno più fertile per dare vita a una pedagogia del mare di rara qualità. Lasciato il Velamare, approda alla base dell’Isuledda di Horca Myseria, meta ogni anno dei viaggi di istruzione di centinaia di studenti delle scuole superiori.

Qui nasce una didattica in cui la vela è lo strumento per condurre i giovani nei territori della collaborazione, della vita di gruppo, della stima di sé stessi e della scoperta delle proprie capacità. Marco è il responsabile della formazione della scuola e mentre tesse percorsi formativi con gli studenti, alimenta la passione di giovanissimi istruttori che si formano sulla sua visione della scuola di mare. Al suo fianco una persona che più diversa da lui è difficile trovare, Stefano Punzo, il capo base HM dell’Isuledda. Insieme funzionano bene, in una dimensione armonica venata da qualche bella divergenza che risolvono, quasi sempre, in lunghe chiacchierate.

La vela che sconfigge la malattia
A vederla in piedi sulla tuga del suo Mini 6,50, a tirar su a forza di braccia la pesante randa, si direbbe che Paola, su quella barca, ci sia nata e vissuta da sempre. L’incontro con Purple Haze, il piccolo scafo blu che ogni tanto, la sera verso il tramonto, si vede tirare bordi verso Caprera per poi rientrare sotto gennaker, è un acquisto recentissimo, una tappa raggiunta lungo una strada lunga e a tratti difficile, che la porterà, nel 2025, a correre la Mini Transat, la traversata oceanica in solitario.
Quando Paola incontra la vela, ne rimane folgorata, ma non immagina che peso avrà nella sua vita. “Avevo 14 anni, frequentavo il secondo anno del liceo Majorana di Desio, e il prof Sebastiano Tabacco ci portò a passare una giornata a Dervio con la scuola Orza Minore. Tornai a casa gasatissima e per giorni non parlai d’altro”.
Soprattutto, Paola non fa altro che cercare il modo di tornare in barca. Trova su Internet un bando della Marina Militare che in base ai voti ottenuti in pagella seleziona cinquanta ragazzi in tutta Italia per partecipare a un corso di vela in Accademia. Per quindici giorni magici vive immersa in un mondo che avverte suo: “Di preciso non sapevo, e non so nemmeno oggi, cosa mi piacesse. Provavo benessere, stavo bene, e mi veniva facile stare bene”.

La vela come strumento per parlare di se stessi.
Il ritorno a casa, in Brianza, coincide con due eventi. Il primo è l’incontro con il circolo velico Annie Bonje, verso il quale la indirizza il solito prof che ama portare i suoi ragazzi in barca; il secondo è l’incontro con una nemica cocciuta e cattiva, l’anoressia. “Mi sentivo sola, isolata a scuola, lontana da tutti e diversa dalle mie compagne”. A 16 anni Paola arriva a pesare 35 chili. Ma quella specie di pasdaran della vela che è il professor Tabacco organizza, come ogni anno per i ragazzi del terzo liceo il viaggio di istruzione in Sardegna, a Porto Pollo. Paola è in un momento molto difficile, e la dottoressa che la segue le dice “vai pure in Sardegna ma se torni dimagrita cambiamo registro”, ipotizzando un inasprimento clinico della terapia. In quella settimana cambia tutto: “I pensieri legati al cibo, alle paure delle conseguenze, spariscono. Sto bene, i ragazzi che fanno vela li sento vicini, simili a me, la sensazione di solitudine sparisce”.

Quando Paola torna a casa ha in mano un’arma formidabile per combattere la sua nemica. La vela diventa quotidianità e l’estate la passa a fare qualsiasi tipo di lavoro al circolo Annje Bonnje. Ha 17 anni e inizia a farsi strada l’idea, anzi la certezza, che il mare sarà la sua vita. Prende la patente nautica e incredibilmente le propongono una settimana come skipper in Messico, parte di una flottiglia di tre barche. Lei è la più piccola.

E sempre su consiglio del solito professore, in estate torna in Sardegna per seguire un corso istruttori derive presso la base di Horca Myseria. Non lo passa e viene sonoramente bocciata. Ma niente e nessuno la ferma più. Ad alimentare il serbatoio dei sogni arriva anche la lettura di un libro, “Il giro del mondo in barca stop”, di Alberto Di Stefano. Non le serve di più: con i soldi per pagarsi una settima in ostello, in ottobre vola a Las Palmas dove trova un imbarco come prodiere su una barca che partecipa all’Arc: otto persone imbarcate di sette nazionalità diverse di età comprese fra i 20 anni di Paola e i 50 del più anziano.

I lunghi giorni in Oceano sono il lievito che fa crescere la certezza di volere dedicare la vita al mare. Neal, skipper della barca e istruttore di yacht master, la tiene d’occhio e vede in questa ragazza una scintilla che non deve spegnersi. La proposta arriva a fine traversata: vieni ad Hamble, in Inghilterra, a seguire i corsi per conseguire lo yacht master.
Da gennaio a marzo Paola si immerge nella scuola della Royal Yacht Association, segue tutti i corsi e, alla vigilia dell’esame, l’Europa si ferma, il mondo va in lockdown sotto l’attacco della pandemia. Paola ci mette tre giorni per tornare a Milano e tutto si ferma per un anno. Quando la vita riprende a scorrere in modo quasi normale, è normale per lei ritrovare la sua dimensione ideale. Riprende il lavoro con il circolo sul lago di Como dove aveva già fatto un periodo di charter giornaliero su barche a motore, ma non è soddisfatta del clima che si respira.

L’istinto la spinge a chiamare proprio il responsabile della formazione di Horca Myseria che l’aveva bocciata. A prescindere dalla valutazione, i due si erano nasati. Lei ama il suo modo di insegnare, lui ha visto qualcosa dietro gli occhi chiari di Paola. Ed è Marco che le dice: “torna qui in Sardegna”.

Le coordinate della svolta
A questo punto della storia è il momento di tornare in quel punto di latitudine e longitudine fissato sulla costa nord del golfo di Arzachena, quello da cui siamo partiti.
All’Isuledda i due riprendono le loro posizioni: Paola allieva, Marco formatore in un corso particolare, dove più che imparare affini le tue competenze ai livelli più alti. I mesi alle spalle sono serviti a Paola per mettere insieme un bel bagaglio. Non solo le esperienze in mare, ma anche quelle umane, gli ostacoli da superare, la diffidenza davanti a chi dice “ma come, mettiamo in mano una barca a una bambina?”. “Ho incontrato tanti pregiudizi, quasi mai una donna giovane viene presa sul serio, tutti si sentono in dovere di spiegarti qualcosa e tu devi sempre dimostrare qualcosa in più”. Ritrovare Marco è una sorta di acceleratore di particelle.
Qualche mese prima ha già acquistato il suo Mini su cui c’è tanto lavoro da fare prima di partire e tanto allenamento. Marco intuisce che è il momento giusto e le propone di fare una scelta: restare in Sardegna e iniziare a imparare qualcosa di nuovo andando a lavorare con un suo amico, Enzo, storico capo base del Velamare a Capo D’orso. Significa vedere il mare dal lato di un cantiere, smontare barche e rimontarle, prendere un gommone e correre in rada per sistemare una barca, mettere le mani su un motore e farlo partire. Bastano pochi mesi e la scelta è definitiva: “Il mio prossimo inverno sarà qui in Sardegna a lavorare e imparare”. In pochi secondi, in quel punto preciso dove si sono incrociate le loro strade, Marco e Paola hanno capito cosa offrire e cosa accettare.

Inverno
“Pronto?”
“Ciao Paola dove sei?”
“Ora sono a casa dai miei, ma domani torno a casa, in Sardegna”. Il mini è in cantiere e io vivo su un 34 piedi bellissimo”.
“Allora sei rimasta, la scelta l’hai fatta davvero. Rinunce?”
“Credo nulla. Sì ho rivisto i miei amici all’università, forse più sicuri e garantiti. Ma io ho trovato la sensazione di stare sull’acqua, la libertà di stare, da sola, sulla mia barca, essere nel niente, staccata da tutto sentendo la mia barca come una cosa viva. Ho trovato la soddisfazione fisica di andare e di mettermi alla prova”.
