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Tecnica: I terzaruoli. Come prenderli… in ogni andatura

come prendere una mano di terzaruoli

Sommario Nautica 695 – Marzo 2020

Ridurre le dimensioni di una randa in navigazione è una manovra semplice che si può realizzare in diverse condizioni. Ecco come farlo anche grazie al consiglio di tre grandi navigatori.

Il vento rinforza, il mare cambia aspetto e, soprattutto, il timone ci dice che qualcosa non va, che la fatica per mantenere un buon governo della barca aumenta fino al punto di dovere tenere la barra sempre alla poggia per riuscire a mantenere la rotta. E’ questo il momento giusto per ridurre vela e prendere una mano di terzaruoli?
No, è tardi. E la manovra di riduzione sarà certamente più faticosa e difficile di quanto non lo sarebbe stata se ci fossimo mossi prima.

terzaruoliQuando prendere una mano di terzaruoli?

Per rispondere a questa domanda facciamo ricorso a una frase che viene ripetuta in tutte le scuole di vela, o quasi, come se fosse un mantra: “Il momento giusto per prendere una mano di terzaruoli è quando per la prima volta ti domandi se non sia il caso di prendere una mano di terzaruoli”.

Se ci si è posti la domanda, vuol dire che i nostri sensi hanno inziato a recepire piccoli campanelli d’allarme: timone duro, barca che punta all’orza con forza, sbandamento eccessivo. Segnali che ci arrivano in tempo reale se si naviga risalendo il vento.

Nelle andature portanti, invece, le sensazioni sono molto più attenuate e, di conseguenza, la nostra attenzione a captare i segnali di un rinforzo tale da richiedere una riduzione di velatura deve essere maggiore. L’obiettivo è quello di effettuare la manovra in condizioni ottimali, prima che vento, mare e sbandamento dello scafo creino condizioni più dure e difficili da gestire.

terzaruoli la vela
Nel disegno sono indicate le parti che entrano in gioco nella manovra di presa di terzaruoli

Togliere pressione alla randa

Come abbiamo detto, prendere i terzaruoli significa ridurre la superficie della randa esposta al vento. Questo vuol dire ammainarla quel tanto che basta per fissare un nuovo punto di mura e un nuovo angolo di scotta, serrando sul boma la parte di vela in più che ne avanza dopo la manovra.

Il primo passo da compiere per poter far scendere la randa, è quello di togliere la pressione esercitata dal vento per permettere ai carrelli o ai canestrelli di muoversi. Per riuscirci, la regola vuole che ci si porti a un’andatura di bolina più stretta possibile. Quanto sia possibile lo decide l’onda e l’intensità del vento che non sempre ci permettono di assumere l’angolo più stretto. Ragione per cui, prima ci si muove a ridurre e meglio è.

Una volta presa la bolina e cazzato bene il fiocco (sarà la vela che ci darà propulsione quando la randa sarà sventata), dobbiamo lascare vang e scotta in modo da depotenziare la randa e portarla a pungere, ossia a flettere nella parte che va dall’inferitura verso la balumina che anch’essa inizierà a fileggiare. Anche se abbiamo il vang rigido, non dimentichiamoci di mettere in forza l’amantiglio dopo avere lascato scotta e vang ma prima di mettere mano alla drizza per inziare a far scendere la randa.

Cazzato l’amantiglio siamo pronti al passo successivo, ossia quello di lascare la drizza della randa. Di quanto? Un po’ di più di quanto serva per portare le brancarelle, ossia i fori sulla vela che rappresentano il punto di mura vicino all’albero e il punto di scotta alla fine del boma, in modo da lavorare agevolmente.

Se la barca ha un circuito di presa diretta dei terzaruoli, mentre si lasca la drizza della randa è sufficiente cazzare in pozzetto la borosa per abbassare sia la parte della ralinga o inferitura, sia la parte della balumina. In caso contrario, occorre mandare qualcuno all’albero affinchè incocci la bugna, cioè inserisca il gancio che si trova nel punto di contatto fra l’albero e il boma – ossia la trozza – nella brancarella che rappresenterà il nuovo punto di mura.

E’ il momento di cazzare la borosa in modo che il nuovo punto di scotta tocchi il boma. Se avremo lascato il vang e cazzato contemporaneamente l’amantiglio, la manovra sarà più semplice.
Ora si tratta di cazzare bene la drizza e rimettere correttamente in tensione l’inferitura controllando che i nuovi punti di scotta e di mura siano ben aderenti al boma.

Se il boma è dotato di lazy bag, la vela in eccedenza andrà raccolta al suo interno, altrimenti dovremo serrarla sul boma con i matafioni, lacci che sono predisposti lungo la randa all’altezza dei nuovi punti di scotta e mura.

Laschiamo amantiglio, puntiamo il vang, regoliamo la scotta e il gioco è fatto.
Una manovra semplice, ma che normalmente è necessaria quando le condizioni meteo peggiorano. Quindi non è una cattiva idea, soprattutto quando si naviga poco, ripassarne i passaggi in condizioni di tempo buono. Inoltre, è necessario manovarre con una serie di accortezze: prendere i terzaruoli per tempo e non aspettare che le condizioni siano troppo dure; avere le borose già armate per non essere costretti a passarle nel circuito quando si è già nelle condizioni di dover ridurre vela; avere l’accortezza, se si esce dal pozzetto, di farlo legati e passando sopravento al boma.

come prendere una mano di terzaruoli
Dopo avere preso l’andatura di bolina, lascato randa e vang, si cazza l’amantiglio in modo da sostenere il boma. La randa deve fileggiare.
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Con la randa che ha perso pressione si lasca la drizza per far scendere la vela per portare sul boma i nuovi punti di mura e scotta.
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Quando la brancarella del punto di mura ha raggiunto il boma, si incoccia nel gancio fissato alla trozza e si dà un po’ di tensione alla drizza in modo che non esca.
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Una volta preso il punto di mura nuovo si cazza la borosa e si abbassa anche il punto di scotta in modo che aderisca bene al boma.
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A questo punto si cazza la drizza per dare tensione alla ralinga, si lasca l’amantiglio
e si mettono a segno scotta e vang. E il gioco è fatto.

I terzaruoli? Li prendo in cappa

Una possibilità per prendere una mano di terzaruoli, soprattutto se si è da soli e non si vuole o non è possibile usare il pilota automatico, è quella di ottenere il risultato di sventare la randa mettendoci in cappa. In realtà, l’andatura che si assume, quando stiamo navigando a vele piene, si chiama “panna”, cosa diversa dalla cappa che è una andatura da cattivo tempo a secco di vele o con tormentina e randa da tempesta.

Nel linguaggio comune però si è ormai abituati a sentire che si effettua una “virata in cappa”. La manovra è quella di una semplice virata ma con azioni sulle vele completamente diverse. Ossia si vira, si tiene il fiocco a collo e si lasca tutta randa portando gradualmente il timone all’orza che resterà più o meno scontrato a seconda della forma della carena.

In questo modo la barca avanza pochissimo, scarroccia e soprattutto, assumendo un movimento oscillatorio causato dalla pressione del vento sul fiocco che fa abbattere la prua, contrastato dalla tendenza all’orza impressa dal timone, fa si che la randa rimanga sventata a fasi alterne, in modo che si possa lavorare agevolmente su drizza e borosa come descritto nella manovra classica effettuata di bolina.

La borosa è passata nel foro che si chiama brancarella. In un circuito diretto, cazzando la borosa, si tirano verso il basso sia il punto di scotta (visibile nella foto) sia il punto di mura (nella foto in alto a sinistra). Se il circuito non è diretto, una persona all’albero deve incocciare la brancarella al collo d’oca, come si vede nella foto in alto a sinistra.

E se li prendo in poppa?

Portarsi di bolina per prendere una mano di terzaruoli è nello stesso tempo una buona idea, una manovra scolastica e un dogma che spesso si infrange contro il muro di navigazioni che da manuale non sono.

Nella pratica, infatti, ci sono condizioni – come ad esempio nelle traversate oceaniche con venti portanti, in cui orzare e risalire vento e mare è impossibile. Eppure, la riduzione della randa è una manovra frequentissima. Personalmente, durante una traversata atlantica durata 24 giorni, delle quotidiane e frequenti prese di terzaruoli, mai una volta è stata realizzata orzando e prendendo la bolina.

Insomma, intanto infrangiamo il tabù: i terzaruoli si possono, e a volte si devono necessariamente, prendere in poppa. Ma come fare?
In questo caso, l’obiettivo principale è quello di non fare incastrare la vela sulle crocette che ormai, nelle barche moderne , sono sempre più angolate verso poppa. La tecnica che uso è quella di orzare un poco verso il lasco in modo da alleggerire la pressione sulle crocette e di lavorare sfruttando anche i movimenti della barca, con la randa che pompa nelle rollate sventandosi di volta in volta pur rimanendo in sicurezza grazie a una ritenuta che ne impedisce la strambata.

La manovra non la si esegue con la rapidità tipica di una randa completamente sventata, ma riesce perfettamene. Ma anche in questo caso, sono le buone condizioni delle attrezzature e le precauzioni che si possono adottare a fare la differenza.

La parola ai grandi

Omero Moretti ad esempio, trenta traversate atlantiche alle spalle, ci ha detto che orzare e prendere una bolina in Atlantico è una follia: “Non ci penso nemmeno – ci ha detto -. Dovrei togliere le ritenute sul boma, cambiare andatura, mettermi a saltare sulle onde e stressare barca ed equipaggio. Non uso nessuna tecnica particolare. Ho ricoperto le crocette con sezioni di tubi di plastica in modo che se ci si poggia sopra la randa non ci siano rischi che si incastri.

Quindi lavoro lascando drizza e cazzando le borose, magari aiutandomi andando all’albero con un mezzo marinaio e tirando verso il basso il primo anello dell’inferitura raggiungibile. Chiaramente, avere i carrelli invece dei canestrelli lungo l’inferitura è un gran vantaggio”.

Omero Moretti

Anche Pasquale De Gregorio, che oltre a numerose traversate ha compiuto un giro del mondo in solitario, non trova alcun motivo di tentare una manovra dura e pericolosa, ossia quella di mettersi contro mare e vento che a certe latitudini non permettono di fare altro che di fuggirli.
“Quando devo ridurre – ci ha spiegato – orzo qualche grado per portarmi al lasco e staccare la randa dalle crocette e poi inzio la manovra sfruttando anche i movimenti della barca, con la randa che a fasi alterne è più scarica e mi permette di cazzare sulle borose”.

Pasquale De Gregorio

Per Andrea Mura, che le navigazioni le vive da regatante, tornare indietro per prendere la bolina o addirittura fermare la barca, rappresenta un’eresia.
“Posto che le condizioni del mare mi permettano di orzare fino alla bolina, e questo non accade quasi mai, per me farlo significa una gran perdita di tempo. La manovra la eseguo sempre al lasco e riesce perfettamente. A patto che l’inferitura della randa sia in perfette condizioni e i carrelli siano costantemente lubrificati con spray al teflon o vaselina. Inoltre di solito predispongo sui vari punti di mura delle cime che mi aiutano, cazzandole, a far scendere la randa lavorando come dei cunningham”.

Insomma, prendere i terzaroli in un’andatura portante è prassi comune nelle traversate atlantiche.
Ma può essere necessario anche in Mediterraneo, magari per prendere una seconda mano dopo un rinforzo che renderebbe la bolina troppo dura e pericolosa.
Ma come sempre accade in mare, anche questa manovra non la si improvvisa. Barca in ordine, piccole precauzioni, manutenzione delle manovre, sono le condizioni imprescindibili che come sempre fanno la differenza.

Andrea Mura

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