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Tecnica: lo strano caso delle prue tonde

prua tonda

Prue tonde, sempre più tonde. Così sono diventate, negli ultimi anni, le prue di molte delle barche a vela con cui si regata nell’oceano. Ma queste strane forme si stanno diffondendo anche su normali barche da crociera, a vela e non solo. Scopriamone i motivi.

prua tonda
L’ “Axe Bow”, letteralmente prora ad ascia rappresenta l’estremizzazione di una prora dritta e sottile

Negli ultimi anni, quella della forma della prua di una barca sta diventando sempre più una specie di enigma di difficile comprensione anche per i diportisti più navigati. Da una parte, le prue sempre più strette e affilate, con dritto di prua a piombo o, addirittura, retroverso; dall’altra, prue sempre più larghe, voluminose, panciute. Prue che, estremizzando, possiamo definire “tonde”.

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L’”AxeBow”, letteralmente prora ad ascia, rappresenta l’estremizzazione di una prora dritta e sottile. Il disegno riporta il profilo longitudinale della “Doña Diana”, una nave appoggio veloce di 51 metri costruita dai cantieri olandesi Damen. Destinata a garantire i collegamenti con le piattaforme offshore del Mare del Nord, questa imbarcazione è stata espressamente progettata per navigare fino a 25 nodi nelle difficili condizioni operative di quel mare.

Ne abbiamo parlato più volte in passato cercando di spiegare come la forma della prua di una barca dovrebbe seguire la funzione per la quale la barca stessa è stata pensata, peschereccio o rimorchiatore, veloce motoscafo planante o navetta dislocante che sia. Abbiamo utilizzato il condizionale “dovrebbe” perché, specie nel mondo nautico, spesso assistiamo a forme che non hanno senso per quel certo tipo di barca ma, molto banalmente, seguono semplicemente la moda.

È il caso, ad esempio, delle cosiddette prue dritte caratterizzate dall’avere forme estremamente affilate e dritto verticale, con una svasatura (o flare) molto limitata oppure addirittura assente.

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Gli scow, come si vede nelle foto, sono barche a fondo piatto con estremità squadrate. Hanno queste
strane forme perché sono state pensate per planare sulle acque calme dei grandi laghi americani, dove hanno incominciato a diffondersi per opera di O. Johnson. Questi, nel 1896, costruì un 38 piedi assai diverso da qualsiasi altra barca a vela mai vista prima: il “Minnezika”.

Si tratta di prue che risultano utili per particolari tipi di unità mediamente veloci che hanno l’esigenza di rimanere operative anche in condizioni meteomarine avverse. Stiamo parlando, ad esempio, delle piccole unità che assicurano i collegamenti in teatri operativi difficili come il Mare del Nord (figura 1) o delle imbarcazioni che assicurano i collegamenti con le piattaforme offshore: le loro prue dritte e sottili aiutano a limitare i movimenti di beccheggio e i conseguenti impatti di slamming, parola con la quale si indicano i violenti impatti della prora sull’acqua provocati dai movimenti di beccheggio e di sussulto, combinati con la velocità dell’imbarcazione.

Impatti che producono pressioni elevatissime concentrate nella parte prodiera dello scafo, arrivando a danneggiare anche in modo irreparabile le sue strutture, e che inoltre risultano molto fastidiosi, fino a rendere praticamente impossibile la vita di bordo.  Con questa prua l’imbarcazione può mantenere la sua velocità operativa poiché tende a “bucare” l’onda anziché seguirne il profilo. Per questo motivo si parla anche di barche wave piercing. Insomma, prue nate con uno scopo ben preciso ma che, negli ultimi anni, sono invece state sempre più spesso proposte su barche di tutti i tipi, dislocanti o plananti, lente o veloci, molto spesso senza un motivo funzionale bensì solo per il semplice motivo che sono di moda.

Ma fare una scelta che non abbia alla base una motivazione tecnica e funzionale – cioè farla solo perché va di moda – può rivelarsi non solo inutile ma, a volte, persino pericoloso. Ma di questo abbiamo parlato approfonditamente in passato, proprio su queste pagine. Stavolta, invece, esaminiamo lo strano caso delle prue tonde, panciute, voluminose che stanno diffondendosi nel mondo delle barche a vela. Praticamente l’opposto delle prue dritte! Una scelta che, con motivazioni diverse, frequentemente ritroviamo anche su molti motoryacht, piccoli e grandi.

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La prua “tonda” delle barche a vela: nascita e riscoperta

Tonde, sempre più tonde: è ormai una regola per le prue di alcune classi di open oceanici dove i progettisti si stanno ingegnando su come realizzare volumi sempre più grandi, potenti ed “estremi”. Ma le prue tonde, come spesso accade nel mondo nautico e navale, non sono affatto una invenzione di questi ultimi anni, in quanto hanno una storia almeno centenaria. Un certo O. Johnson, progettista di origini norvegesi operante negli USA, nella zona dei grandi laghi, nel 1896 aveva costruito un 38 piedi che era così tanto diverso da ogni altra barca a vela mai vista prima che i suoi amici lo prendevano in giro dicendo: “It looks like a slice of bread” (“Sembra una fetta di pane”) oppure “It looks like a scow” (“sembra una chiatta”).

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Nel 2010, l’architetto e velista francese David Raison costruì il primo Mini con prua scow e dominò la Mini Transat del 2011. Fu una rivoluzione nel mondo della vela oceanica. Con la stessa barca Giancarlo Pedote sfiorerà la vittoria due anni dopo. Da qualche anno le prue scow si sono diffuse anche nei class 40, imbarcazioni monotipo con cui si corrono le più prestigiose regate oceaniche, come la Vendée Globe e la Route du Rhum.

Ecco, dunque, spiegata l’origine della parola scow con la quale i velisti indicano queste forme di prua così voluminose. Poi, con il passar del tempo, questa parola venne usata anche per definire “a flat-bottomed boat with square ends and designed for plane”, ovvero una barca a fondo piatto con estremità squadrate progettata per planare. Ma torniamo a Johnson e al suo strano 38 piedi “Minnezika” – così si chiamava – con il quale nel 1900 vinse il campionato sul White Bear Lake. Questa barca – aggiornata via via negli anni nei materiali e nelle attrezzatture – è stata costruita dai suoi eredi sino al 1963 e continua ad esserlo tuttora come “Melges A Scow” nei pressi di Chicago, la capitale dell’Illinois affacciata sul lago Michigan.

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La prua affilata di un veloce open oceanico del recente passato, il VO65 utilizzato nelle trascorse edizioni della Volvo Ocean Race, e l’ingavonata sull’onda nelle andature portanti. Le prue scow servono proprio per limitare il fenomeno.

Chiaramente si tratta di una barca che potremmo definire “specializzata” per navigare nelle andature portanti su acque fondamentalmente calme come quelle dei grandi laghi americani, sulle quali l’elevata larghezza per tutta la sua lunghezza le conferisce una grande stabilità di forma che le consente di essere molto invelata. In pratica, di essere una barca con un motore molto potente e, quindi, molto veloce.

Una barca estrema della quale, recentemente, è stata riscoperta la particolare forma della prua dal progettista, autocostruttore e skipper David Raison che, associandola a una serie di soluzioni particolari atte ad aumentare il momento raddrizzante della barca, come la canting sliding keel (la chiglia non solo basculante, ma anche scorrevole sull’asse longitudinale della barca), l’ha adottata sul suo prototipo di Mini 650 chiamato 747 con il quale ha partecipato alla Mini Transat 2011, dominandola.

Con questa stessa barca, il nostro Giancarlo Pedote, due anni dopo, sfiorò la vittoria. Per inciso, la Mini Transat è una regata d’alto mare in solitaria che prevede l’attraversamento dell’Atlantico su barche di soli 6 metri e mezzo. Proprio da queste ridotte dimensioni deriva la denominazione Mini Transat.

Le soluzioni adottate da Raison sul suo 747 l’avrebbero poi fatta da padrone negli anni a venire, rivoluzionando il mondo dei Mini 650. Negli anni successivi, infatti, fu un fiorire di barche con prua scow, più o meno tonda e più o meno piena, sia nella classe dei mini sia anche nelle altre classi di barche da regata oceaniche come i Class 40. E nel frattempo è stata proposta e adottata anche su altre imbarcazioni, come si può notare nelle immagini riportate in queste pagine.

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La prua affilata di un veloce open oceanico del recente passato, il VO65 utilizzato nelle trascorse edizioni della Volvo Ocean Race, e l’ingavonata sull’onda nelle andature portanti. Le prue scow servono proprio per limitare il fenomeno.

Come funziona la prua “tonda” sulle barche a vela

Commentando la sua vittoria nella Mini Transat 2011, David Raison spiegò chiaramente i motivi della sua scelta: “Volendo costruire una barca vincente che fosse la più leggera e invelata possibile ma avesse una stabilità di forma maggiore di quella dei miei avversari, non potendo aumentare ulteriormente la larghezza massima e quella delle sezioni dal baglio massimo verso poppa (in quanto vietato dal regolamento di stazza), non mi restava che aumentare quella delle sezioni prodiere, contando sul fatto che avrei navigato prevalentemente alle andature portanti. Qualora mi fossi (disgraziatamente) trovato nella condizione di dover bolinare per qualche piccolo tratto, avrei (in qualche modo) cercato di far fronte a quella malaugurata e imprevista situazione”.

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Mirabelle 16, l’ultimo progetto di Eric Prang, è la dimostrazione che la prua scow può essere utilizzata anche su barche a vela senza alcuna velleità velocistica. Parliamo di un quasi motorsailor di 16 metri di lunghezza per 6 di larghezza del peso di 23 tonnellate, numeri praticamente racchiusi in un rettangolo. Risultato: interni enormi e pesi che ricordano quelli di un catamarano a vela di 16 metri.

In pratica Raison mise a fuoco il fatto che in una regata atlantica, e più in generale in una regata oceanica, le andature sono prevalentemente quelle portanti, al massimo comprese tra bolina larga e gran lasco. Ciò significa che, per la maggior parte del tempo, il vento spinge la barca dai quadranti poppieri facendola inclinare lateralmente ma anche appruare, fino ad ingavonarsi per effetto dell’altezza considerevole del centro velico nel quale agisce la risultante della spinta del vento.

In altre parole, la spinta propulsiva che proviene da poppa e agisce molto in alto sulle vele – a circa un terzo dell’altezza dell’albero – tende continuamente a far ingavonare la prua nel cavo dell’onda successiva. A fronte di questa considerazione, la prua scow, con forme tondeggianti come quella disegnata da Raison, diventa la soluzione ottimale perché ha volumi tali da rimanere fuori dall’acqua. Quasi sempre.

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Disegnato da David Raison e costruito nel 2015 dalla francese Afep Marine, il Revolution 29 è ufficialmente la prima barca cabinata da crociera con prua scow.

Tutto questo significa che la prua, invece di tagliare l’acqua, rimane alta perché la sua forma è così larga e piatta da creare una portanza idrodinamica che aiuta la barca a non entrare nell’onda, evento che si verifica soprattutto al crescere della velocità e, ancor di più, quando si tratta di navigare su mare formato. Il risultato è quello di una maggiore velocità a quasi tutte le andature. Al contrario, queste forme sono meno efficienti solo in condizioni di vento molto leggero e acqua calma.

Ricordiamo poi che la prua scow contribuisce anche a migliorare il momento raddrizzante, il che significa sbandare meno, caratteristica che è senza dubbio utile anche al di fuori del mondo delle regate. Inoltre, determina un aumento della volumetria interna, aspetto molto appetibile per il mondo delle barche da crociera, da sempre alla ricerca di volumi interni XXL e grande abitabilità.

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Sailscow 37 è una barca da crociera a tutti gli effetti ma dotata di prua scow che le consente ottime prestazioni nelle andature portanti e – aspetto molto interessante per un uso crocieristico – di avere tanto spazio in più. Addirittura, su una barca a vela di 11 metri si possono avere fino a 4 cabine matrimoniali: le due classiche di poppa e, udite bene, ben due cabine matrimoniali a prua.

Il futuro della prua “tonda” sulle barche a vela

Alla luce di quanto detto finora, una domanda sorge spontanea: vedremo queste prue anche nel mondo della crociera?  Lasciando da parte gli aspetti estetici, certamente soggettivi, è evidente che ogni tipologia di design ha i suoi pro e i suoi contro. I pro, come i maggiori spazi interni a prua e la capacità di sbandare di meno, li abbiamo appena accennati. A questi si aggiungono quelli per i quali la prua scow viene utilizzata per le barche da regata, ovvero la maggiore velocità soprattutto con venti sostenuti e coperta meno bagnata.

Per quanto riguarda i contro, l’inconveniente principale della prua scow è il violento sbattere di bolina con mare formato, che può rendere la navigazione scomoda. Soprattutto se pensiamo di navigare non nell’oceano ma nel mediterraneo, che è caratterizzato da un’onda più corta e più ripida che accentua questo fenomeno peggiorando anche le performance.

Allo stesso tempo, è anche possibile in fase di progettazione smussare le forme della prua scow mitigandone gli eccessi in modo da ottenere alcuni dei vantaggi senza penalizzare troppo l’andatura con onda contraria. In pratica, ottenere il classico compromesso per avere delle prue che potremmo definire semi scow. In ogni caso si tratta di forme che hanno un senso su barche veloci caratterizzate da un dislocamento abbastanza leggero che consenta loro di superare la velocità critica ed entrare in regime di semiplanata. Ma, come si può vedere nelle immagini di queste pagine, le interpretazioni del tema prua scow – condivisibili o meno – sono davvero tante. 

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Anche per la prua la tendenza a utilizzare gli spazi esterni per zone conviviali e per il relax ha decisamente preso piede. E, per massimizzare lo spazio, da qualche anno notiamo prue sempre più “quadrate”, le cosiddette “prue a incrociatore” (nella foto il Sea Ray Sundancer 320).

La prua “tonda” sulle barche a motore

Tutti i ragionamenti fatti sulla prua tonda tipo scow delle barche a vela evidentemente non valgono per le barche a motore, che non “soffrono” l’ingavonamento e i problemi di stabilità dovuti alla forza propulsiva che spinge la barca agendo a qualche metro sopra la coperta. Eppure, in questi ultimi anni anche sulle barche a motore abbiamo visto il proliferare di prue sempre più panciute e tondeggianti. Oppure un ponte di coperta squadrato che ricorda quello di un incrociatore o di una portaerei. Ma si tratta di soluzioni nate esclusivamente per aumentare la vivibilità e l’abitabilità della barca.

Infatti, per quanto riguarda le prue panciute e tondeggianti, esse sono funzionali ad aumentare il volume interno laddove viene spesso ospitata la cabina più importante della barca, quella armatoriale. Così, proprio per dare più spazio a questa cabina, su molte barche a motore si assiste a delle forzature delle linee di prua che “spanciano” per ospitare un letto più ampio.

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La foto mostra la prua alta e tondeggiante del Wally WHY 200, forme finalizzate ad aumentare i volumi interni per ospitare una super cabina armatoriale con una vista mozzafiato a 180° verso il mare aperto. Una soluzione che, riproposta su tutta la serie WHY, rompe con il passato e con i cliché tipici di uno yacht a motore. Di sicuro verrà “ripresa” da parecchi designer.

Il risultato finale sarà un letto più comodo ma anche una prora “panciuta”, tondeggiante, che, su degli iper-motorizzati e veloci motoscafi plananti, può rappresentare un’aberrazione in termini di idrodinamicità e di tenuta al mare. Ma, visto che una barca da diporto passa la quasi totalità della sua vita all’ormeggio in porto e prende il largo solo quando è bel tempo con il mare calmo, questo è un discorso che interessa pochi.

Per il ponte di coperta squadrato, invece, parliamo delle cosiddette “prue a incrociatore”, cosi chiamate perché ricordano il ponte di coperta di un incrociatore, appunto, o di una portaerei, che non tende a stringere ma conserva una larghezza significativa anche ad estrema prua. Si tratta di una soluzione che, in primo luogo, aumenta lo spazio in coperta da destinare a zone conviviali e al relax anche a prua.

Una tendenza che sta sempre più prendendo piede, pur tenendo conto degli oggettivi limiti dovuti al fatto che si tratta di una zona più esposta al vento e alle onde e, quindi, difficilmente utilizzabile in navigazione, ma anche in rada quando, ad esempio, c’è vento. Inoltre, un’estremità siffatta facilita anche l’ormeggio di prua, opzione alla quale non siamo abituati – mentre invece è assai diffusa nel Paesi nordici – ma che non va sottovalutata. Di contro si tratta di forme che devono essere studiate in modo integrato con la forma dell’intera prua per non compromettere le qualità di tenuta al mare.

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