Tecnica di manovra: Aggrappati al fondo
Scelta del fondo e misura del fondale, tipo di ancora, condizioni meteo, tecnica. Le variabili che caratterizzano un buon ancoraggio sono molte e tutte fondamentali per una buona riuscita della manovra.
La differenza che passa tra una notte in rada trascorsa in serenità e diverse ore insonni in preda all’ansia, è determinata dalla qualità dell’ancoraggio. E per qualità intendiamo quell’insieme di elementi tecnici e di valutazioni che compongono l’intera manovra: individuazione della rada in funzione delle condizioni meteomarine, scelta del punto nel quale dare fondo, esecuzione della manovra e verifica della tenuta. Ciascuno di questi punti, come vedremo, si compone a sua volta di una articolata serie di azioni. Incominciamo con la prima.

La scelta della rada: il fondale
La rada è per definizione un’insenatura “riparata dai venti e dai marosi, adatta all’ancoraggio delle navi”. In realtà, affinché sia adatta all’ancoraggio di un’imbarcazione da diporto, oltre ad essere un buon ridosso, l’insenatura deve rispondere ad altre caratteristiche, soprattutto in relazione al tipo di fondo e alla misura del fondale. Sulle carte nautiche e su quelle elettroniche dei map navigator, le aree considerate adatte all’ancoraggio sono indicate con un’icona a forma di ancora o con altro simbolo indicato nella legenda della carta stessa. Una volta individuato il luogo che risponde ai nostri desideri, la prima valutazione da fare è quella relativa alle condizioni meteo attuali e previste. Infatti, se si prevede una lunga sosta magari anche notturna, il ridosso deve essere tale anche per le ore successive al nostro arrivo.

È necessaria quindi un’attenta analisi dei bollettini, attraverso i siti web, e l’ascolto di quello emesso sul canale 68 del Vhf, per avere, se non la certezza matematica, almeno una buona probabilità che l’azione del vento non diventi tale da alzare moto ondoso fastidioso o, in alcuni casi, pericoloso.
Verificata la compatibilità del luogo con le previsioni meteo, si passa alla valutazione del fondale. Su un’imbarcazione da diporto di medie dimensioni, la lunghezza della catena collegata all’ancora varia generalmente dai 50 agli 80 metri.
Considerando che il calumo, ossia la quantità di catena da filare in acqua per ottenere una buona tenuta, va dalle 3 alle 5 volte la profondità, un fondale troppo profondo non è adatto all’ancoraggio. Una profondità fra i 5 e i 10 metri può essere considerata ottimale.
La profondità relativa ai vari punti della rada prescelta è indicata nelle carte, dove sono anche evidenziate le batimetriche, ossia le linee che uniscono i punti di uguale profondità. Una buona norma è quella di farsi un’idea dell’andamento del fondale facendo un giro all’interno dell’area con lo schermo dell’ecoscandaglio sott’occhio. La perlustrazione ci permette inoltre di verificare le linee d’ancoraggio delle altre barche alla fonda.
La natura del fondo
La grande varietà di ancore in commercio permette, in teoria, di ancorare su qualsiasi tipo di fondo. Il problema è che a bordo abbiamo normalmente a disposizione due ancore, non decine, e non di rado soltanto una. Per di più, l’ancora di una dotazione standard è di tipo a vomere, come la Delta o la CQR.
Benchè i sacri testi concordino sul fatto che il migliore tenitore è il fango, l’esperienza personale ci porta a dire che la sabbia non è da meno. Anzi. Siamo invece assolutamente d’accordo che il peggiore fondo sia quello di posidonia o di alghe in genere, in quanto quasi tutti i tipi di ancora tendono a scivolare sul manto senza “fare testa”, cioè senza affondare le marre nel fondo sottostante.
E gli scogli? Sicuramente, soprattutto se l’ancora finisce sotto qualche bel pietrone, la tenuta è eccellente. Qualità che tuttavia può trasformarsi in un serio problema al momento di salpare, poichè potrebbe facilmente accadere che l’ancora non voglia saperne di disincagliarsi.
In teoria, se si ha un’ancora a vomere o “alata” come la Bruce, non dovremmo avere gli stessi problemi – praticamente inevitabili – che avremmo con un’ancora a marre articolate come la Danforth. Tuttavia, personalmente, evito come la peste gli scogli, cercando sempre sabbia o fango. La verifica migliore circa il tipo di fondo è quella che possiamo fare a vista osservandolo con attenzione, anche se questo non sempre è possibile, vuoi perché è notte o vuoi perché l’acqua è particolarmente torbida.
In questi casi, un ecoscandaglio video a colori è molto utile, poiché, grazie al diverso tipo di assorbimento del segnale nei diversi tipi di fondo, la diversa colorazione con cui lo strumento lo rappresenta offre importanti indicazioni. In termini generali possiamo così riassumere questa caratteristica: i colori dall’azzurro al verde, in quanto generati dagli echi più deboli, ci autorizzano a sospettare che si tratti di alga; le sfumature intorno all’arancione, generate dai segnali moderati, possono indicare sabbia grossolana; quelle intorno al rosso possono indicare fango compatto; quelle rosso scuro, roccia.
La manovra
Individuato il punto in cui possiamo dare fondo, si può procedere a eseguire la manovra in modo classico, ossia procedendo a motore verso di esso.
La condizione ideale è che ci siano due persone impegnate nella manovra, una al timone e una a prua, e che possano dialogare fra loro a voce o attraverso gesti concordati, il cui significato deve sostanzialmente essere: ferma, motore avanti, motore indietro, fondo.
Arrivati sul punto con la prua al vento e la barca ferma, l’ordine sarà dunque: ”fondo!”. La persona a prua, con il verricello elettrico o azionando la frizione a mano, libera l’ancora e lascia filare la catena. Se abbiamo dato fondo su 4 metri d’acqua e abbiamo deciso di dare 20 metri di calumo, mentre il timoniere inizia una lenta retromarcia per distendere la catena, la persona a prua continuerà a filare fino ad avere raggiunto circa la misura di 10 metri di catena.
A questo punto si fermerà attendendo di vedere la catena andare in tensione per poi riprendere immediatamente a filare fino a raggiungere la lunghezza di calumo decisa.
La manovra serve per far fare testa all’ancora. È però importante che la catena riprenda immediatamente a filare appena va in tensione; in caso contrario, il rischio è che l’ancora spedi, ossia si stacchi dal fondo.
Abbiamo detto che una regola vuole che si dia catena per una lunghezza che sia dalle 3 alle 5 volte il fondale, preferibilmente 5 o più. Nel calcolo si deve tenere presente anche l’altezza della prua dall’acqua e aggiungere questa distanza alla misura del calumo. Ma perché tutti questi calcoli?
Per spiegarlo in modo semplice basta partire dal seguente assunto: per offrire il 100 per cento della sua tenuta, qualsiasi ancora deve essere sottoposta a una trazione orizzontale. Questa, in ragione della curvatura naturale della catena in tensione (la cosiddetta catenaria), può essere ottenuta soltanto quando il rapporto tra calumo e profondità (più l’altezza dello scafo) è di 10 a 1. Ma poiché una tale quantità di catena potrebbe comportare problemi di altra natura (lo vedremo tra breve, parlando del campo di giro), si preferisce ricorrere a quel buon compromesso che è rappresentato dal rapporto 5 a 1, che garantisce un ragionevolissimo 70 per cento di efficienza.
Una volta terminata la manovra, si deve verificare la tenuta dell’ancora. Un buon metodo è il rilevamento di un punto a terra al traverso della postazione del timoniere. Traguardandolo con un punto fisso della barca e dando motore indietro in modo deciso, possiamo assicurarci che, a catena sotto tensione, il rilevamento rimanga lo stesso. Se il punto sfila verso prua vuol dire che l’ancora non tiene.
Anche il brandeggio è una buona indicazione di tenuta. In presenza di vento infatti, la prua della barca tende ad abbattere alternativamente su un lato e sull’altro. Ma nel caso in cui l’ancora avesse spedato, la barca scarroccerebbe sullo stesso lato perché priva del suo vincolo sul fondo.
Una volta completata la manovra, se si prevede di restare all’ancora per molte ore, si deve scaricare la tensione della catena sul verricello. In commercio, ci sono dispositivi di varie forme che si agganciano facilmente alle maglie e altrettanto facilmente si sganciano. Preso quello a disposizione e inserito tra le maglie, si porta il cavo cui è collegato a una bitta e si cala poca catena, in modo che la tensione sia tutta fra la linea d’ancoraggio e la bitta e non più sull’asse del motore del verricello.

Infine sottolineiamo un’accortezza che attiene alla sicurezza. L’ultima maglia della catena non deve mai essere fissata direttamente al golfare che si trova all’interno del gavone. Questo perchè, in caso di emergenza, dovendo scappare rapidamente dalla zona in cui ci troviamo e riscontrando che per qualche motivo non riusciamo a salpare l’ancora, dobbiamo essere nelle condizioni di filare tutta la catena a mare liberandocene nel minor tempo possibile. Per questo motivo, l’ultima maglia deve essere fissata al golfare con un robusto stroppo che possa essere facilmente tagliato anche sotto tensione con un seghetto che deve essere mantenuto a portata di mano nello stesso gavone.
Il campo di giro
Quando si dà fondo a una sola ancora, si dice che si sta alla “ruota”. La barca infatti è libera di girare per 360 gradi mantenendo più o meno la prua al vento, in tutti i suoi cambi di direzione. Quest’area ben delimitata in cui si muove l’unità si chiama campo di giro. È molto importante determinarne l’ampiezza per assicurarsi che la posizione della barca al suo interno sia sempre in sicurezza, cioè libera da ostacoli come scogli, propaggini di costa, bassi fondali.
Ovviamente, anche le altre barche alla fonda sono potenziali ostacoli, anche se anch’esse si orientano al vento. Il problema è che non tutte si muovono allo stesso modo. Il peso, le dimensioni, il tipo di carena – una barca a motore inizia a girare prima e più velocemente rispetto a una barca a vela, molto più immersa – influiscono sui movimenti all’interno del campo di giro.
Soprattutto nel caso di un rinforzo di vento, quando la prima reazione è generalmente quella di filare più catena, è necessario assicurarsi di non finire nel campo di giro di un’altra barca o, al contrario, che un’altra barca finisca nel nostro. Nel qual caso può convenire salpare e cercare un altro punto di ancoraggio.
Il grippiale
Un gavitello o una boetta o un semplice parabordo, un cavo (grippia) di lunghezza uguale a quella del fondale collegato al diamante dell’ancora e il grippiale è fatto. Si tratta di un buon dispositivo che ha una duplice funzione. La prima è quella di segnalare la posizione dell’ancora. Per questo motivo è importante che la lunghezza della grippia sia di pochi centimetri più lunga della profondità. Se fosse molto superiore il segnale in acqua si sposterebbe per effetto della corrente o del vento mancando così la funzione di indicatore del punto in cui si è dato fondo; se fosse molto più corta, resterebbe sotto la superficie dell’acqua.
L’altra funzione è quella di consentire il tentativo di disincagliare un’ancora accidentalmente finita sotto uno scoglio, esercitando una trazione dal diamante e non dal fuso, con maggiori possibilità di riuscita. Stessa manovra da tentare quando la propria linea d’ancoraggio sia stata attraversata da quella di un’altra barca giunta successivamente: in tal caso, il grippiale permette di salpare l’ancora con tutta la sua catena per mezzo del cavo collegato al gavitello, dopo aver segato lo stroppo del quale abbiamo parlato prima.
Afforcare e appennellare
Può accadere per ragioni diverse che si debba dar fondo a due ancore. Le tecniche sono quelle dell’afforco, ossia dare fondo a due ferri in direzioni divergenti, facendo in modo che la distanza tra loro sia più o meno corrispondente alla lunghezza dei loro calumi (praticamente disegnando un triangolo equilatero), e dell’appennellamento, ossia dare fondo a due ancore in fila sulla stessa catena. Nel primo caso, le due ancore devono essere preferibilmente dello stesso peso e i calumi devono formare tra loro un angolo non inferiore ai 45 gradi. Anzi, considerando che all’aumentare del vento è probabile che si debba filare catena con una conseguente riduzione dell’ampiezza dell’angolo, inizialmente è opportuno tenere un’angolazione decisamente superiore.
La manovra prevede l’uso del tender per portare alla giusta distanza la seconda ancora. Ma non sempre è possibile, soprattutto se il vento è già forte e la manovra con il battellino si fa difficile e rischiosa. In alternativa si può procedere a motore con la barca verso il punto dove dare fondo al secondo ferro per poi lasciarsi scarrocciare indietro fino a che le due linee d’ancoraggio non abbiano la stessa tensione.
La scelta del posizionamento delle ancore non deve essere casuale, in quanto da essa dipende lo sviluppo e l’orientamento del campo di giro entro il quale la barca sarà costretta.
Sempre parlando di manovra a due ancore, ricordiamo che oltre ad afforcare si può anche appennellare, ma secondo una metodologia e con una finalità completamente diverse. Innanzi tutto, in questo caso si tratta di filare a mare due ancore in serie, lungo la stessa linea: l’ancora esterna (quella posta all’estremità) dotata di uno spezzone di catena (di lunghezza tra i 5 e i 10 metri) fissato sul diamante di quella interna, che è collegata direttamente con il calumo proveniente dalla barca.
Il risultato è duplice: da una parte, rispetto a un ancoraggio semplice e a parità di lunghezza del calumo, si ottiene una tenuta complessiva che, in linea di principio, è pari alla somma delle tenute delle due ancore; dall’altra, invece, immaginando l’esigenza irrinunciabile di un ancoraggio a picco corto, si sfrutta il peso dell’ancora interna al fine di ridurre l’angolo di trazione del calumo sull’ancora esterna. In tal modo, quest’ultima si trova a lavorare come se il calumo fosse più lungo anche del 30 per cento.
Allarmi e segnali
Posto che, a meno di temperature troppo rigide dell’acqua, una buona abitudine di ogni skipper è quella di andare a dare un’occhiata alla propria ancora una volta terminata la manovra, è bene tenere a mente che un ancoraggio rappresenta sempre una situazione di instabilità poiché si è sempre soggetti a rinforzi del vento, a errori propri o altrui. Va quindi verificato periodicamente, rilevando i punti a terra e gli allineamenti rispetto a un punto fisso sulla barca.
Oltre alla nostra guardia, è possibile godere dei vantaggi dell’elettronica. Oggi sono disponibili allarmi collegati all’ecoscandaglio che entrano in funzione quando la variazione di fondale ha superato il limite da noi impostato. Più affidabili, sono gli allarmi basati sul cambiamento della posizione, collegati al Gps o altre tecnologie satellitari che si avvalgono di applicazioni per tablet o smartphone, ormai numerose e a disposizione di ogni diportista.
Da non dimenticare i segnali che obbligatoriamente bisogna esporre quando si è alla fonda.
Per scafi di lunghezza inferiore ai 50 metri, il segnale diurno è una palla nera da fissare a prua, mentre di notte deve essere accesa una luce bianca visibile a 360 gradi collocata in testa d’albero sulle barche a vela o in posizione elevata verso prua su quelle a motore. Tutte le luci di via devono essere spente. Su scafi di lunghezza superiore ai 50 metri, di notte si deve accendere un secondo fanale a poppa e ad un’altezza inferiore a quello di prua.
UN CASO ESTREMO
Un caso estremo di doppia ancora è costituito dal cosiddetto “bahamian mooring”, così chiamato perché assai diffuso tra i diportisti americani che frequentano l’arcipelago che si trova a Sud-Est del Canale della Florida. Lì, l’esigenza è quella di ancorare in modo tale da opporre resistenza alle forti correnti di marea che, come in qualsiasi altra parte del mondo, invertono ciclicamente la loro direzione. Pertanto le due linee di ancoraggio, anziché formare la tipica “V” dell’afforco tradizionale, sono disposte una sul prolungamento dell’altra secondo lo stesso orientamento della corrente in flusso e riflusso, mentre le relative ancore sono poste a una distanza tra loro pari a circa una volta e mezzo la lunghezza del loro calumo (anche in questo caso, uguale), in quanto devono essere messe leggermente in forza per ridurre ulteriormente il campo di giro dello scafo.
In questo caso, immaginiamo sempre due Delta da 35 libbre, su un fondale da 5 metri (più due metri di altezza scafo), ciascuna con un calumo di 35 metri (leggermente tesato), poste a una distanza tra loro di 50-60 metri.
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