OLTRE IL FLAP: L’INTERCEPTOR. Quando si usa – 2a parte


Intruder o interceptor: riprendiamo il discorso della parte precedente su questo semplice dispositivo costituito da una piccola lamina verticale sporgente alcuni millimetri dal fondo di uno scafo planante o semiplanante e posta in corrispondenza dello specchio di poppa. Ricordiamo che, come i flap, l’interceptor può essere utilizzato sia come correttore d’assetto sia come stabilizzatore, oppure essere esteso su tutto lo specchio di poppa o avere una estensione parziale. Così come può essere mobile a sporgenza variabile, da utilizzarsi similmente ai flap per stabilizzare la carena e migliorarne le prestazioni (figura a destra). Anche se il campo di applicazione è tipicamente quello delle imbarcazioni a sostentamento idrodinamico, ovvero plananti, negli ultimi anni sono stati evidenziati vantaggi significativi anche con applicazioni destinate a velocità relative minori, tipiche delle imbarcazioni semiplananti, e quelle dislocanti veloci a solo sostentamento idrostatico, le cosiddette semidislocanti.
Andiamo allora a scoprire quali sono gli effetti dell’interceptor con le varie tipologie di carena e come cambia il modo di utilizzarlo. Prima di ciò è però necessario definire tre tipologie di carena, o meglio i tre relativi regimi di funzionamento idrodinamico di una carena.
Sommario
Regime di funzionamento idrodinamico di una carena
Quando una carena si considera in planata? E in preplanata? Quando invece il regime idrodinamico di una carena si definisce dislocante?
Una carena è in planata quando una parte considerevole del suo peso è sostenuto non più idrostaticamente dalla spinta di Archimede ma idrodinamicamente dall’acqua in “pressione” che scorre ad alta velocità sotto il fondo dello scafo planante. L’effetto visibile è la barca che si sopraeleva rispetto alla sua condizione da fermo, che “esce” dall’acqua. In un certo senso si può dire che la barca “pesa” di meno. Si parla invece di preplanata dal momento in cui il sostentamento idrodinamico inizia ad essere significativo fino al momento in cui inizia la planata. È una condizione in cui l’effetto è quello di una barca che visivamente “esce” dall’acqua (cambia assetto, si appoppa) ma, complessivamente, non si sopraeleva rispetto alla sua condizione da fermo.
È evidente quindi che le condizioni di planata e preplanata sono estremamente variabili e non ci sono regole precise per la loro individuazione: ad esempio il punto di inizio della planata è variabile da barca a barca a seconda della sua geometria, ma varia anche sulla stessa imbarcazione a seconda del suo peso, dell’assetto statico, delle condizioni del mare ecc. Soprattutto il peso è determinante per consentire la planata di una carena: uno scafo di 1.000 chilogrammi può infatti essere in planata pura già a 14-15 nodi, mentre uno scafo da 20.000 chilogrammi non è in planata prima dei 24-25 nodi. Certe imbarcazioni che si vedono in giro, splendide o orribili architetture da banchina che siano, non potranno mai planare semplicemente perché pesano decisamente troppo!
Il numero di Froude Volumetrico Fns è un numero che può aiutare a capire il regime idrodinamico in cui si trova un›imbarcazione che navighi a una velocità nota. In particolare:
- Per Fns minore di 1 regime di velocità dislocante;
- Per Fns compreso tra 1 e 2.5 abbiamo un regime di velocità semi-planante;
- Per Fns superiore a 2.5 abbiamo un regime di velocità planante;
In appendice è riportata una scheda tecnica nella quale è descritto il significato fisico del numero di Froude Volumetrico Fns e il modo di calcolarlo. Nella stessa appendice è anche riportato un grafico dal quale è facile individuare il regime idrodinamico della propria carena in funzione del peso della barca e della velocità.
Figura 2 – Zipwake – La particolarità degli interceptor elettromeccanici prodotti dalla svedese Zipwake,
distribuita in Italia da Saim, è invece quella di avere
una gamma molto ampia, sia come dimensioni sia come tipologia. Infatti l’offerta di Zipwake, idonea per imbarcazioni dai 20 ai 100 piedi, comprende sia quattro interceptor lineari da 300, 450, 600 e 750 millimetri di lunghezza, sia quattro interceptor a “V” per applicazioni su imbarcazioni con deadrise da 11 a 24 gradi. Questi ultimi, una vera novità, sono stati progettati per essere installati al centro dello specchio di poppa, tra due propulsori, essere installati sia singolarmente sia in abbinamento agli interceptor lineari, aumentando sia l’efficienza complessiva dell’intero sistema di correzione dell’assetto sia le possibilità di personalizzazione da parte del cantiere. Gli interceptor della Zipwake sono poi abbinati a un software in grado di correggere giroscopicamente i movimenti della barca, intervenendo in automatico non solo sull’assetto dello scafo in planata, ma anche riducendo al minimo i movimenti di rollio, beccheggio e delfinamento, comportandosi così come un vero e proprio impianto di stabilizzazione dinamico.
Utilizzo dell’interceptor su una carena planante
Su una carena planante pura, così definita sia per velocità relativa che raggiunge sia per forme e rapporti di carena, l’interceptor dovrà necessariamente essere mobile in modo da poter variare la sua sporgenza per diminuirne gli effetti al crescere della velocità.
Oggi sono diverse le società che commercializzano degli interceptor mobili nei quali la lamina posta sullo specchio di poppa, con diverse soluzioni meccaniche e/o di funzionamento, può variare la sua sporgenza con una specifica elettronica di controllo che ne permette una facile gestione direttamente in plancia, analogamente a quanto avviene con i flap. Nelle figure 1, 2, 3 e 4 sono illustrati, fra i tanti presenti sul mercato, alcuni di questi prodotti che permettono, da soli o in combinazione tra loro, di soddisfare le esigenze per ogni tipo e dimensione di imbarcazione.

Come detto l’utilizzo di sistemi con interceptor mobili è analogo all’utilizzo dei flap: infatti la sporgenza della lamina sarà più pronunciata in fase di preplanata, mentre deve essere ridotta quando ci si avvicina e si supera la “hump speed” o velocità di gobba. In figura 5 è riportato l’andamento generico di tre curve di resistenza al variare della velocità di uno scafo planante: senza interceptor (h0), e con due diverse sporgenze dell’interceptor (h1 e h2).
Figura 4 – Transom Plate – Si tratta di un dispositivo che rappresenta l’anello di congiunzione tra i flap e l’interceptor. Infatti il Transom Plate, se meccanicamente funziona come un flap perché costituito da una superficie piatta (plate) che ruota, idrodinamicamente funziona come un interceptor perché questa superficie piatta è molto corta (pochi cm) e può ruotare di 90°, diventando, di fatto, la lamina dell’interceptor. Sviluppati dall’italiana Navirex sulla base di un dispositivo nato in Unione Sovietica negli anni ‘80 per applicazioni militari, i suoi effetti si sono dimostrati particolarmente vantaggiosi per le carene semidislocanti.

La convenienza sull’utilizzare un interceptor mobile su una carena planante veloce è evidente dalla figura 6, dove è riportata la curva della potenza effettiva a rimorchio (PE) in funzione della velocità dello scafo per uno scafo di circa 12 metri, provato nella vasca navale dell’Insean Cnr, senza interceptor e con l’utilizzo di un interceptor a sporgenza variabile. La potenza effettiva a rimorchio (PE) rappresentata la potenza necessaria per rimorchiare lo scafo a una data velocità La riduzione di resistenza ottenuta consente un risparmio di potenza che va dal 25 per cento alle velocità più basse fino ad annullarsi a quelle più alte.

Le due foto della figura 7, che raffigurano il modello durante le prove, chiariscono anche visivamente il motivo della riduzione di resistenza dovuto all’interceptor che migliora l’assetto longitudinale (la carena è più dritta) e la formazione ondosa. Nel caso appena descritto anche con i flap si otterrebbero dei miglioramenti rispetto alla condizione di confronto senza interceptor.
Figura 7 – Effetto dell’interceptor su una carena di yacht planante di circa 12 metri in prova presso la vasca navale dell’Insean Cnr alla velocità di 20 nodi (Fns = 2.2 ). Nella foto 7a, la carena senza interceptor; nella foto 7b, la carena con l’interceptor: con l’interceptor si noti il miglior assetto longitudinale (la carena è più dritta) e la migliore formazione ondosa (l’onda di poppa è più spianata).
Ma tali miglioramenti sarebbero di entità minore, come mostrano anche i risultati di un confronto sperimentale effettuato nell’ambito di una ricerca condotta presso il Dip. di Ingegneria navale dell’Università Federico II di Napoli (figura 8). È quindi possibile dire che, in via generale, i flap sono meno efficienti dell’interceptor perché, per ottenere lo stesso effetto, utilizzano una superficie enormemente più grande che, peraltro, non opera confinata nello strato limite che lambisce il fondo della carena, ma va a influenzare anche la zona di fluido che scorre indisturbata, dissipando così energia. Di conseguenza i benefici prodotti dai flap in termini di miglior assetto e maggior sostentamento della poppa si perdono (almeno in parte) in termini di resistenza indotta. Ricordiamo che lo strato limite è quel sottile strato d’acqua “attaccata” alla superficie di carena che viaggia con essa. In questo caso è bene sottolineare che la sporgenza dell’interceptor non deve eccedere i 20, 30 millimetri al vero, valore oltre il quale generalmente si ha un forte decremento delle prestazioni proprio perché si esce dallo strato limite.

Utilizzo dell’interceptor su una carena semiplanante
L’interceptor è molto utile per carene che navigano sempre in regime di preplanata (vedere grafico in appendice), quando la carena tende a “sedersi” sull’onda che produce ed è troppo appoppata. In questi casi l’interceptor si è dimostrato molto più efficace dei flap: infatti, per correggere l’assetto troppo appoppato, sono necessari dei flap di notevoli dimensioni e con elevati angoli di incidenza che producono un notevole aumento di resistenza e riducono, fino ad annullarli, i benefici insiti nel loro uso. L’efficienza dell’interceptor invece può essere molto più elevata. Infatti, per quanto sia posto perpendicolarmente alla direzione del flusso, come già detto esso è costituito da una superficie di dimensioni molto ridotte: è così sufficiente una sporgenza di pochi millimetri, al massimo qualche decina, per ottenere gli stessi effetti dinamici a fronte di una resistenza aggiunta trascurabile, in virtù del fatto che esso lavora all’interno dello strato limite.
Figura 9 – Nelle foto, il modello di carena di un motor yacht di 30 metri in prova alla sua massima velocità di 28 nodi (corrispondente a un Fns= 2.2) presso la vasca navale di Roma (Insean Cnr). Nella foto 9a, il modello è senza interceptor, mentre nella foto 9b, il modello è dotato di interceptor che ha l’effetto di sollevare la poppa e spianare l’onda. In casi come questi si possono ottenere riduzioni di resistenza superiori anche al 20{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8}.
Le foto della figura 9 mostrano chiaramente, nel caso di un grosso motoryacht di circa 30 metri lanciato alla sua massima velocità di 28 nodi, come l’utilizzo dell’interceptor abbia l’effetto di sollevare la poppa e spianare l’onda. In casi come questi si possono ottenere riduzioni di resistenza superiori anche al 20 per cento. Tra l’altro l’interceptor fisso è un dispositivo estremamente economico, in quanto si tratta di una semplice lamina applicata sullo specchio di poppa sporgente qualche millimetro dal fondo, sporgenza che va però attentamente valutata e “tarata” mediante prove pratiche per non avere uno scafo dinamicamente troppo appruato e un conseguente repentino aumento di resistenza.
Utilizzo dell’interceptor su una carena dislocante veloce
Come accennavamo all’inizio, e contrariamente a quello che intuitivamente si può pensare, l’interceptor è un dispositivo che può dare benefici anche quando una imbarcazione non è così veloce da arrivare a planare, o anche ad avvicinarsi alla velocità di planata. L’utilizzo dell’interceptor può infatti tornare utile anche per le carene dislocanti, ovvero quelle carene a cosiddetto sostentamento idrostatico in cui la componente di spinta verticale dovuta dalla velocità è irrisoria, a patto che siano sufficientemente veloci da avvicinarsi o superare (di poco) la velocità critica. Stiamo parlando di quella velocità che rappresenta il limite operativo di una carena dislocante convenzionale in cui l’onda trasversale prodotta è lunga quanto la carena stessa. Superata questa velocità la carena si “siede” sull’onda da lei stessa prodotta e la resistenza aumenta repentinamente.
Quando si vuole raggiungere e superare (di poco) la velocità critica, è necessario che le forme di carena assumano caratteristiche particolari:
- la carena sia lunga e stretta, ovvero abbia un rapporto lunghezza/larghezza maggiore di 5 – 6 (parliamo di rapporti tipici delle grandi navi e dei superyacht, poco diffusi nel diporto nautico, perché se prendiamo ad esempio una barca lunga 20 metri, essa risulterà larga meno di 4 e l’abitabilità interna sarà insufficiente);
le forme di prua siano affinate per limitare la formazione ondosa prodotta in navigazione; - la poppa sia larga con un fondo abbastanza piatto, o quasi, in modo da generare un minimo di spinta verticale per non far “sprofondare” nell’acqua la poppa stessa.
Stiamo parlando delle tipiche caratteristiche delle carene delle imbarcazioni semidislocanti (figura 10).

In questi casi l’utilizzo dell’interceptor aumenta la pressione sul fondo della poppa, aiutando la carena a non “sprofondare” nell’onda da lei stessa prodotta nell’intorno della velocità critica.
Non a caso le prime applicazioni dell’interceptor si sono avute proprio su delle navi dislocanti veloci, dei traghetti veloci che arrivano anche a superare i 100 metri e viaggiano a 30, 40 nodi. Su queste unità dotate di una carena monoscafo a “V” profondo l’interceptor, inizialmente introdotto con la funzione di correttore di assetto e stabilizzatore, fu poi utilizzato anche come vero e proprio ipersostentatore.
Oggi sono invece allo studio soluzioni per utilizzare l’interceptor su forme di carena sempre più convenzionali. Ad esempio per i nuovi pattugliatori d’altura della nostra Marina Militare Italiana, unità di oltre 100 metri con un rapporto L/B di quasi 9, l’interceptor probabilmente sarà una delle soluzioni idrodinamiche che, insieme ad altre come il bulbo a lama wave piercing e la nuova forma della prua e della poppa, permetterà alla nave di avere sia una velocità di punta molto elevata sia una alta efficienza in tutto il campo di velocità, al fine di assolvere meglio la sua funzione “multiruolo” (figure 11 e 12).

A dire il vero su queste navi erano spesso utilizzati i cosiddetti wedge (o cunei) poppieri, costituiti da una inclinazione della parte terminale del fondo della carena che va a costituire un sorta di grande flap fisso integrato sul fondo. Ma è stato osservato che gli interceptor, su questo tipo di carene, lavorano significativamente meglio dei flap, o wedge che siano, per velocità superiori alla velocità critica (Fn = 0.4).

Alcune regole pratiche di utilizzo
Riepilogando quanto detto finora, cerchiamo di dare alcune indicazioni pratiche sull’uso dell’interceptor, quando conviene installare e utilizzare l’interceptor, fisso o a sporgenza variabile che sia. È scontato che non è possibile stilare delle regole semplici e immediate sia perché ogni carena ha delle sue forme e caratteristiche specifiche sia perché una carena che naviga – in special modo la carena planante – è un oggetto influenzato da svariati fenomeni e variabili che interagiscono tra loro.
E quando si agisce sulla parte immersa di una imbarcazione è sempre meglio farlo con cognizione di causa: non a caso si parla di “opera viva”. Detto questo è però possibile dare delle indicazioni (riassunte nella figura in basso) che poi andranno applicate al caso specifico, meglio se con il supporto di un professionista del settore.
L’interceptor fisso è utile soprattutto per grandi imbarcazioni plananti e semiplananti, generalmente carene con rapporti L/B elevati (maggiori di 4) o carene che navigano a Froude volumetrici minori di 2.5 (carene che, come visto in precedenza, non viaggiano mai in planata pura). In questi casi l’interceptor è utile per correggere un assetto troppo appoppato, a volte fisiologico per questo tipo di imbarcazioni che tendono a “sedersi” sull’onda che producono determinando una sopraelevazione della poppa e una sensibile riduzione della formazione ondosa e, quindi, della resistenza della carena. Su tali carene può essere conveniente l’installazione di interceptor fissi, estremamente economici in quanto si tratta di una semplice lamina applicata sullo specchio di poppa sporgente qualche millimetro dal fondo. Risultati sperimentali hanno mostrato riduzioni di resistenza superiori anche al 20 per cento. La sporgenza va però attentamente “tarata” mediante prove pratiche per determinare la sporgenza che produca il miglior effetto in tutto il campo di velocità, altrimenti un eccesso di sporgenza dell’interceptor provoca un repentino aumento di resistenza.
L’interceptor mobile è invece sicuramente più indicato su imbarcazioni che hanno un range di velocità più esteso (Fns>2-2.5), o meglio un regime di funzionamento idrodinamico più ampio. Parliamo generalmente di scafi fino ai 15-20 metri. In questi casi infatti la sporgenza della lamina va diminuita man mano che ci si avvicina alla planata pura, dove l’interceptor diventa controproducente perché tende a far appruare dinamicamente troppo lo scafo. Su questi scafi è spesso sufficiente installare quei dispositivi commerciali modulari che interessano parzialmente lo specchio di poppa, in quanto la tipica elevata larghezza dello scafo rispetto alla sua lunghezza (basso rapporto L/B), consente comunque una significativa estensione dell’interceptor.
Dall’analisi dei dati di test sperimentali e da riscontri reali è stata generalmente verificata una maggiore efficacia dell’interceptor rispetto ai flap sia in termini di miglioramento delle prestazioni sia in termini di maggiore estensione del campo di funzionamento. Infatti per ottenere con i flap un sostentamento della poppa e un migliore assetto longitudinale analoghi a quelli dell’interceptor, sono necessari dei flap di notevoli dimensioni e con elevati angoli di incidenza, che però producono anche un notevole aumento di resistenza e riducono, fino ad annullarli, i benefici insiti nel loro uso. Con l’interceptor è invece sufficiente una sporgenza di pochi millimetri per ottenere gli stessi effetti dinamici, a fronte di una resistenza aggiunta trascurabile in virtù del fatto che esso lavora all’interno dello strato limite.
Il numero di Froude Volumetrico Fn∇ ci aiuta a capire il regime idrodinamico in cui si trova un’imbarcazione che navighi a una velocità nota e offre la possibilità di comparare tra loro carene plananti di diverse dimensioni. È un numero del tutto analogo alla velocità relativa
(espressa in unità di misura anglosassoni) o al Numero di Froude
(espressa in unità di misura internazionali) usati per le carene dislocanti, dove V è la velocità della imbarcazione, L la sua lunghezza al galleggiamento e g l’accelerazione di gravità.
Nel caso di Fn∇ si tratta infatti di una velocità rapportata al volume immerso, e cioè il dislocamento della imbarcazione a meno del peso specifico dell’acqua di mare (1.025). A parità di velocità assoluta, uno scafo che ha un maggior volume immerso (quindi uno scafo più pesante) è “idrodinamicamente più lento” di uno scafo con minor volume immerso (quindi più leggero). La formula è la seguente
dove V è la velocità della imbarcazione in m/s, g l’accelerazione di gravità in m/s2 e s il volume immerso in metri cubi, cioè il peso dell’imbarcazione (dislocamento) diviso per il peso specifico dell’acqua di mare. Attenzione però a usare le giuste unità di misura: avendo a disposizione i dati del
la velocità V in nodi e il dislocamento
D in chilogrammi, la formula diventa
Il valore di Fn∇ aiuta anche a identificare la tipologia di carena, o meglio il suo regime di funzionamento idrodinamico:
Fn∇ < 1, regime di velocità dislocante;
Fn∇ compreso tra 1 e 2.5, regime di velocità semi-planante;
Fn∇ > 2.5, regime di velocità planante;
Senza dover ricorrere al calcolo del numero di Froude volumetrico Fn∇ dalla figura che segue è possibile individuare facilmente il regime idrodinamico della propria carena. Essere in planata piena significa aver raggiunto e/o superato un Fn∇ di circa 2.5: per una piccolo scafo planante di 1.000 chilogrammi questo significa essere in planata piena già a 15 nodi. Per una barca che pesa il doppio l’inizio della planata si sposta a 17 nodi, per uno scafo da 20 tonnellate a 25 nodi, mentre per un grande yacht da 100 tonnellate la planata piena si raggiunge orientativamente a 33 nodi. La velocità si è più che raddoppiata ma il peso è 100 volte maggiore. È evidente allora la fondamentale importanza del peso sulle caratteristiche di uno scafo planante.
L’interceptor è utile per correggere il comportamento di una imbarcazione che naviga troppo appoppata e migliorarne le prestazioni. I test effettuati hanno dimostrato peraltro che, in tali condizioni, l’efficacia di questo dispositivo viene esaltata ed estesa a un campo di velocità più ampio. In alcuni casi può quindi essere conveniente appoppare staticamente l’imbarcazione su cui si intende montare l’interceptor. La rapida diffusione dell’interceptor, legata alla sua grande efficacia ma anche alla sua estrema economicità e facilità di installazione e di uso, sta producendo varianti sulla morfologia stessa del dispositivo, sulle sue modalità di installazione e di funzionamento, per adattarlo a una forma particolare di carena o ad appendici esistenti come i flap. Varianti anche fantasiose e non sempre ortodosse. In particolare si stanno diffondendo sistemi integrati interceptor/flap, in cui l’interceptor viene montato a valle dei flap sul bordo di uscita oppure a monte. In quest’ultimo caso in pratica i flap sono montati non perfettamente in linea con il fondo della carena ma sporgono di qualche millimetro. Ci sono poi soluzioni in cui sono previsti due interceptor, uno a poppa e uno a metà carena sempre sul fondo (double interceptor), oppure soluzioni in cui l’interceptor a poppa è però distanziato dal fondo della carena di qualche millimetro (split interceptor). Senza infine tralasciare l’utilizzo dell’interceptor anche sulle eliche. Di queste e altre soluzioni, su cui sono tutt’ora in corso studi e sperimentazioni in diversi istituti di idrodinamica navale nel mondo, ne parleremo nel prossimo numero di Nautica.