Meteorologia pratica: le onde, conoscerle e capirle
Quanto sono alte, da dove arrivano, quanto corrono? Decifrare il linguaggio del moto ondoso significa comprendere che cosa sia accaduto anche lontano da noi e che cosa ci si deve aspettare. Un metodo assai utile per prendere le giuste decisioni.
Il vento, agendo sul mare, genera le onde. Per la verità, anche un sasso lanciato in acqua o un maremoto, causano lo stesso effetto, così come le maree.
Ma per chi naviga, soprattutto nei nostri mari dove queste ultime hanno escursioni più o meno inapprezzabili, ciò che rappresenta una costante con la quale confrontarsi è l’effetto del vento che, per attrito sul mare calmo, crea dapprima delle increspature che, con il passare del tempo, evolvono in onde sempre più grandi.
Nell’insieme, il moto ondoso dipende non solo dall’intensità del vento, ma anche dalla durata, dal fetch (ossia dalla lunghezza del tratto di mare su cui il vento soffia senza trovare ostacoli), dall’entità dei fondali e dalle correnti.
L’acqua non si muove
Le onde hanno una serie di parametri che ne definiscono le caratteristiche. Prima di vedere di che si tratta e di come possiamo, da bordo e in modo molto pratico, prendere loro le “misure”, fissiamo prima di tutto un concetto: nello spostamento orizzontale che osserviamo in un’onda, non c’è alcuno spostamento di acqua. Quello che accade è una oscillazione, una modificazione della forma ma, per effetto dell’onda, nessuno spostamento. Possiamo portare a conforto di questa affermazione un esempio classico.
Se osserviamo un turacciolo che galleggia in assenza di corrente e di vento capaci di muoverlo, lo vedremo sollevarsi sulla cresta, spostarsi un poco in avanti, e arretrare nel cavo, mantenendo sostanzialmente la stessa posizione. Le onde, quindi, non sono uno spostamento di acqua, a meno che l’onda non diventi frangente. In questo caso, come vedremo, tutto si complica.
Capire le onde
Per decifrare i messaggi che le onde ci inviano quando siamo in navigazione, è necessario saper leggere la loro carta d’identità.
Il “documento” contiene una serie di informazioni relative all’altezza (cioè la distanza verticale fra il cavo e la cresta), la lunghezza (cioè la distanza fra due creste continuative), il periodo (cioè il ritmo dell’onda, vale a dire il tempo che impiega una cresta per percorrere la lunghezza dell’onda o, in altri termini, il tempo che, in un punto determinato, intercorre tra il passaggio di due creste), la ripidità (ossia il rapporto fra l’altezza e la lunghezza), la direzione e, infine, la velocità (ossia la distanza percorsa dall’onda in un determinato tempo).
Questi dati sono rilevati da speciali boe, possono essere calcolati utilizzando alcune formule e inseriti come previsione nei bollettini. Ma alcune e importanti caratteristiche possono essere apprezzate anche da bordo con delle semplici osservazioni e ancor più semplici calcoli. Eccoli.
Altezza – A tutti noi è capitato di ascoltare a bordo la fatidica domanda: “ma quanto sono alte ‘ste onde?”
E via libera alla lotteria di numeri estratti che ne consegue. Per stimare l’altezza riducendo l’errore di prospettiva in cui di solito si incorre (come, ad esempio, quando si osserva un onda dal suo cavo mentre ci viene incontro e ci appare molto più alta di quanto non sia), si deve conoscere quella dell’osservatore, che significa, tradotto in termini pratici, sommare all’altezza di chi fa il calcolo, quella del punto di osservazione dal livello del mare. Se ad esempio siamo nel pozzetto di una barca a vela alto 1,5 metri rispetto alla linea di galleggiamento, dovremo aggiungere la nostra altezza, poniamo 1,80, totale: 2,90. La stima dell’altezza la si deve rilevare quando ci si trova nel cavo: se l’orizzonte rimane visibile, l’onda è inferiore all’altezza a cui si trova l’occhio dell’osservatore, quindi ai 2,90 metri nel caso dell’esempio. Viceversa, se l’orizzonte scompare, l’onda è, nello stesso caso, superiore ai tre metri. Di quanto poi sia superiore o inferiore all’altezza degli occhi di chi la misura è un dato che si apprezza approssimativamente.
Direzione – Stimare la direzione di un moto ondoso rispetto alla nostra prua è importantissimo per compiere le scelte necessarie alla navigazione, alla tecnica da adottare per affrontare le onde. Stimarne la direzione geografica, o meglio la loro provenienza, lo è in egual modo per compiere scelte di rotta. La direzione da cui viene il mare ci dice molto su cosa sta accadendo lontano da noi e che, con ogni probabilità, sta per arrivare nella zona in cui ci troviamo.
Esiste una differenza, infatti, fra il mare vivo sollevato dal vento che soffia nella zona in cui si naviga e il mare lungo, che di solito si manifesta con una sorta di “pulsazione” più lenta e più lunga, spesso presente anche in assenza di vento o che si manifesta da una provenienza diversa da quella del mare vivo in atto nella zona di navigazione.
Insomma, la direzione delle onde, non sempre è la stessa di quella del vento locale e la cosiddetta “onda lunga” sta a indicare che del vento sta soffiando in zone diverse nella direzione in cui ci troviamo. Un metodo per calcolare la direzione, in modo più preciso rispetto a un semplice colpo d’occhio, è quello di rilevare con la bussola magnetica la direzione della linea delle creste. Se c’è una declinazione magnetica importante se ne dovrà tenere conto per avere il rilevamento vero.
A questo valore sommeremo o sottrarremo 90 gradi (a seconda che si corregga verso destra o verso sinistra) , per avere la direzione del moto ondoso.
Nel disegno in alto, abbiamo rilevato la linea delle creste per 310 gradi. Sommati 90 si ottiene 400, ovvero 40 gradi. Il mare giunge da NE. Sappiamo che da quella direzione, a seconda della grandezza delle onde, sta soffiando vento forte, a meno che non sia residuo, e che quindi dovremo prepararci a un possibile rinforzo. Questo perché il moto ondoso può propagarsi verso altre zone rispetto a quelle in cui si manifesta come mare vivo, più velocemente di quanto non possa fare il vento che lo ha generato.
Periodo – In navigazione è utile calcolare anche il periodo e, come nel caso di quasi tutti i fenomeni meteo, osservarne la tendenza. Il metodo è molto semplice. Si deve gettare in mare qualcosa che sia degradabile, come ad esempio del cartone, piuttosto visibile e che non affondi troppo velocemente. Lo si dovrà osservare per verificare quante volte sarà sulle creste in un determinato arco di tempo; il tempo totale misurato con orologio o cronometro, diviso il numero delle volte che lo si è visto sulle creste, darà il periodo. Se in una seconda misurazione si troverà un periodo in crescita, associato a un aumento dell’altezza e della lunghezza, vuol dire che il vento sta rinforzando.
Mare vivo e fetch
Il moto ondoso è condizionato dalla forza, dalla direzione e dalla durata del vento; dal fetch; dall’entità dei fondali; in modo meno significativo per gran parte del Mediterraneo, dalle correnti. Traducendo questi parametri in esperienze fisiche, tutti noi abbiamo visto che, quando il vento inizia a soffiare, il mare di conseguenza incomincia a diventare sempre più mosso.
Le onde crescono progressivamente presentandosi più ripide, perché la loro velocità rispetto a quella del vento è ancora bassa. Se il vento continua a soffiare, le onde si allungano e tutti i parametri – altezza, velocità e periodo – iniziano a salire fino a raggiungere un massimo oltre il quale, anche se il vento continuerà per giorni e giorni, non andranno a meno che il vento non aumenti di intensità. Nella tabella tratta dal libro “ABC de la météo” del francese G. Janichon, è riprodotto il calcolo dell’altezza media delle onde in metri in relazione alla forza del vento e alla sua durata. Ma attenzione, si tratta di valori medi che stanno a indicare la possibilità di avere onde massime più alte, che, per consuetudine, si stimano calcolando il valore medio moltiplicato per 1,5.
Con un forza 8 che soffia da 12 ore ci si possono attendere dunque onde massime di 7,5 metri e medie di 5. Tutto questo ragionamento è condizionato dal fetch che, come abbiamo visto, è la misura del tratto di mare sul quale il vento agisce liberamente senza trovare ostacoli. Anche in questo caso, l’esperienza di tutti noi ci avrà permesso di verificare come, in condizioni di vento forte che soffia da terra, più ci si avvicina alla costa, più le onde diminuiscono in altezza.
La misura del fetch è quindi un elemento importante per decidere se intraprendere o rinunciare a una navigazione. Il valore assoluto della forza del vento, poniamo un forza 7, rende la navigazione lungo la costa tirrenica impegnativa ma agevole con venti da NE a E; assai più difficile con venti da S e dal terzo e quarto quadrante, che risultano capaci di sollevare un mare mosso o molto mosso.
Mare lungo, che fastidio
“Questa maledetta onda lunga al traverso…”. Chi di noi non ha mai imprecato contro il mare più fastidioso per chi tende a soffrirne, ossia quell’onda lunga e lenta che a volte si manifesta in assenza di vento, proveniente da lontano, di scaduta, se è successiva a burrasche concluse, o come anticipazione di vento forte già in atto altrove e in arrivo. Le onde diventano lunghe quando escono dall’area del fetch che le ha generate.
Quando il vento le abbandona, le onde più corte scompaiono, ma il mare che ha incamerato una grande quantità di energia si distende in quelle più lunghe anche se più basse. Queste onde possono percorrere centinaia di miglia, a volte migliaia e sono tanto più persistenti quanto più sono lunghe. È importante non sottovalutarle e limitarsi a combattere i fastidi che generano. Un vento di 10 metri al secondo, circa 20 nodi, può generare onde che corrono a 12 metri al secondo. Una differenza che può tradursi, se considerata su molte ore, in un forte anticipo dell’onda sulla perturbazione che l’ha creata. Lo ripetiamo: le onde lunghe sono dei messaggeri precisi e scrupolosi. Da dove arrivano loro, spesso, arriva brutto tempo.
Frangenti e riflesse: occhio al pericolo
Non ho avuto alcun dubbio sulla possibilità di salpare da Las Palmas con un’onda di poppa di sei metri che ci avrebbe raggiunti in poche ore durante la notte, bella gonfia e distesa, come non ne ho avuti a rinunciare all’ingresso a Fiumara, la foce del Tevere, dove un’onda di due metri frangeva pericolosamente. Il pericolo, entro certi limiti, non dipende dall’altezza dell’onda, bensì dal fatto che sia o meno frangente.
Come abbiamo già detto, è questa una caratteristica pericolosa, perché è la situazione in cui l’acqua si sposta, rendendo spesso la barca ingovernabile. Il frangente si crea quando l’onda incontra un ostacolo che può essere un basso fondale o una corrente contraria. Nella sostanza, un’onda è sempre molto più lunga di quanto non sia alta. Se questo rapporto, che definisce la ripidità, si mantiene sempre molto a favore della lunghezza, abbiamo onde alte ma non pericolose.
I testi sacri stabiliscono che il rapporto fra altezza e lunghezza debba essere di 1:7. Se l’altezza aumenta superando questo rapporto, l’onda frange. Nella pratica accade che con l’innalzamento dei fondali, la base dell’onda sia rallentata dall’attrito che si genera fino a quando il fondale è così basso da farla “inciampare” su se stessa fino a rompersi in una valanga d’acqua capace di rendere ingovernabile un’imbarcazione. La stessa cosa accade con una corrente contraria alla direzione del moto ondoso. In questi casi l’onda si fa più alta, rompendosi e frangendo. La presenza di frangenti, che spesso sta a indicare, anche in mare lontano dalla costa, la presenza di secche, banchi di sabbia o ostacoli pericolosi, è uno degli elementi fondamentali per farci desistere da un ingresso in porto o da una navigazione sotto costa.
Il lungo costa comporta altre variabili che influenzano il modo ondoso fino al punto da obbligare il comandante ad allontanarsi. Con vento e mare che viene dal largo, oltre a una prudente distanza dalla terra (sempre consigliabile per poter avere abbastanza acqua libera per manovrare o trovare soluzioni in caso di avarie), c’è da tenere conto dell’onda riflessa che si genera quando la costa è a picco sul mare e priva di spiagge.
In questi casi le onde vengono respinte dalla parete con un angolo uguale a quello con cui la colpiscono, diventando onde riflesse che si sovrappongono a quelle originarie diventando alte, a volte frangenti, molto spesso pericolose. In una situazione di ordine, dunque, sono gli ostacoli a creare scompiglio. Come ad esempio i promontori, intorno ai quali le onde tendono a schiacciarsi e a disporsi parallele alle linee di costa deviando la loro direzione. Ma un ostacolo che scombussola lo stato del mare può essere rappresentato anche da improvvisi e potenti salti di vento, capaci di creare quello che chiamiamo “mare incrociato”, purtroppo sempre presente anche in condizioni di calma totale all’interno di rade particolarmente interessate dal transito di imbarcazioni nei mesi estivi. In questo caso l’ostacolo è, come spesso accade, il comportamento dell’uomo.
Restare o salpare?
Il mare ci parla sempre, anche quando siamo tranquillamente attraccanti in un porto. Sta a noi ascoltarlo. In condizioni di calma di vento, una risacca che tende ad accentuarsi e un innalzamento del livello dell’acqua nel bacino portuale, stanno a indicare che vento forte è probabilmente in arrivo dal mare. Che si fa? Si resta o si anticipa la partenza? Molto dipende dalla disponibilità di tempo e dalla voglia di prendere il mare, ma molto di più deve dipendere dalla struttura del porto.
Se ci troviamo all’interno di un porto ben protetto con un ormeggio sicuro, la scelta è molto più libera. Ma se il nostro approdo è costituito da un piccolo porticciolo che in condizioni ideali si riempie di barche ma che, con brutte burrasche, non è in grado di offrire alcun reale riparo, l’idea di anticipare la partenza è quella migliore. Detto ciò, resta sempre valido il principio che la consultazione dei bollettini meteorologici, anche per quel che riguarda lo stato del mare, costituisce la base più consigliabile sulla quale fondare le proprie decisioni.
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