Gli AC75 impegnati nelle regate di Coppa America
A detta degli esperti sono l’elemento che deciderà l’esito di questa America’s Cup. Certo, ci sono l’abilità degli equipaggi e la tattica, le vele, le forme degli scafi. Ma tutto sembra meno importante dei foil, le ali immerse che fanno volare gli AC75. Vediamo allora come funzionano e a cosa servono.
Mentre sfrecciano a 40 nodi con un braccio in acqua e l’altro sospeso fuori sembrano quasi dei volatili preistorici, lo dicono in molti. Oppure delle barche con i trampoli. Ma, al di là del loro strano aspetto, i nuovi AC75 rappresentano il massimo dell’innovazione tecnologica nel campo velico. D’altronde, proprio l’innovazione tecnologica ha sempre fatto parte della Coppa America, nata come sfida tra il Nuovo e il Vecchio Continente per dimostrare chi sapesse costruire la barca a vela più veloce. Le barche con cui si è disputata la competizione, infatti, sono sempre state all’avanguardia della loro epoca tecnologica. Lo era la goletta America che strappò il trofeo agli inglesi, innovativa tra i 18 yacht britannici nella regata attorno all’isola di Wight del 22 agosto 1851. Lo erano le strabilianti big boat dagli slanci enormi di fine XIX – inizio XX secolo. Lo erano gli splendidi J Class del periodo tra le due guerre. Così come i 12 metri stazza internazionale che durarono per più edizioni, inserendo di volta in volta innovazioni importanti.
Come non ricordare, a proposito, le alette sulla chiglia di Australia II, che dopo oltre 100 anni, nel 1987, permisero di strappare la Coppa al dominio degli americani. Poi i 12 metri SI furono anche loro rimpiazzati dalle varie versioni degli ACC, a loro volta sostituiti dai cat ad ala rigida e poi dai foil voluti da Russell Coutts e Larry Ellison. È più che normale, quindi, che anche quella tecnologia sia adesso stata superata da questi fantastici AC75, monoscafi con i foil e con vele ad alta tecnologia ma di nuovo soft e ammainabili. Lascia senza fiato assistere a boline con velocità sull’acqua di 33-34 nodi e Vmg (velocità di avanzamento verso la boa) di 27-28 nodi, praticamente tre volte la velocità del vento reale, così come ai lati di poppa dove si toccano i 50 nodi.

Dopo aver visto gli AC75, gli AC50 ad ala rigida sembrano già obsoleti. Pensare poi che tutto questo avviene grazie a due piccole ali immerse sul lato sottovento che, con una superficie che non raggiunge i 2 metri quadrati complessivi, fanno volare una barca di oltre 20 metri del peso di 7.500 kg, equipaggio compreso, è ancora più stupefacente. Non a caso, a detta degli esperti, proprio i foil sono l’elemento che deciderà l’esito di questa America’s Cup, combattuta dalle quattro barche in gara: Te Rehutai (Emirates Team New Zealand), Luna Rossa (Luna Rossa Prada Pirelli), Patriot (American Magic) e Britannia (Ineo Team UK). Certo, ci sono l’abilità degli equipaggi e la tattica, le vele, la forma degli scafi. Ma tutto sembra passare in secondo piano rispetto alle ali immerse che fanno volare gli AC75. Vediamo allora come funzionano e che cosa si deve fare fare per sfruttarle al meglio.

I foil
Per “foil” si intende in questo caso un’ala che, grazie alla sua forma, quando immersa in acqua è in grado di produrre portanza (forza verticale) al costo di una resistenza minima, analogamente a quello che avviene per le ali che fanno volare gli aerei. La differenza rispetto a queste ultime sta nelle dimensioni: il foil è enormemente più piccolo di un’ala d’aeroplano poiché si trova a lavorare in un fluido, l’acqua, che è circa 1.000 volte più denso dell’aria.
Di conseguenza, la sua portanza, ovvero la spinta verso l’alto, è molto più concentrata. Risultato: con una piccola ala in acqua si riesce a far volare in aria una barca. Non a caso, più propriamente si parla di hydrofoil, laddove il suffisso idro – indicante l’acqua – ci ricorda appunto l’utilizzo dei foil in questo elemento (vedi box di approfondimento sulla “portanza”).
Pur essendo presenti nel mondo navale e nautico da decenni (basti pensare agli aliscafi per il collegamento passeggeri delle nostre isole), i foil si sono diffusi in ogni campo della nautica soltanto dopo il 2013, quando sono stati sdoganati dalla prima America’s Cup dei catamarani volanti.
Ma a fronte delle innumerevoli e varie applicazioni su diverse tipologie di barca, i foil degli AC75 sono qualcosa di mai visto prima e, allo stesso tempo, qualcosa potenzialmente applicabile in larga scala anche a barche più “normali”. Uno dei principali obiettivi del team progettuale che ha sviluppato e messo a punto la box rule è stato, infatti, quello di sviluppare una tecnologia accessibile e sostenibile che potesse essere trasferita ad altre classi di barche, a differenza dei catamarani AC50 delle passate edizioni.

I foil degli AC75
Gli AC75 sono dotati di due bracci basculanti, uno per ogni lato della barca, ai quali sono collegati in basso i due foil principali, simmetrici e disposti a T (fig. 03). In gergo tecnico i due bracci basculanti sono chiamati “foil arm” (braccio del foil), mentre le due coppie di foil sono i “foil wing” (ala del foil). A questo sistema si aggiunge il timone, anch’esso dotato di foil a T.

I foil possono assumere fondamentalmente tre posizioni, a seconda della modalità di navigazione (fig. 4).
Quando la barca entra o esce dal porto, oppure quando è in banchina, i foil non devono lavorare e, perciò, restano sotto la carena in modo da non costituire pericolosi ingombri laterali fuori dalla sagoma della barca. In andatura portante entrambi i foil wing sono sott’acqua e, con l’aumentare della velocità, sollevano la barca. È una modalità di navigazione più stabile ma più lenta.
Nella normale andatura durante la quale la barca è completamente fuori dall’acqua, solo il foil wing sottovento è immerso, mentre quello sopravvento è alzato e fa da contrappeso assumendo una posizione orizzontale che la fa sembrare una strana ala … o il braccio di un qualche strano volatile preistorico! Parliamo di circa 1.250 kg complessivi, dovuti al peso della zavorra contenuta nel siluro tra i due foil wing a cui si aggiunge il peso del foil arm, circa 450 kg dovuti alle sue dimensioni e ai materiali utilizzati per sopportare gli elevatissimi carichi (peso della barca e, soprattutto, le forze per il trasferimento dell’energia propulsiva del vento alla barca).

Quest’ala può essere anche molto pericolosa nel caso di incrocio ravvicinato tra due barche. Non a caso il regolamento impedisce alle due barche di avvicinarsi a una distanza per cui il foil sollevato possa diventare una ghigliottina pronta a falciare l’equipaggio avversario, tuttavia il rischio rimane. Ma torniamo al foil wing in acqua, quello sottovento, che non solo produce tutta la portanza per far volare la barca nelle condizioni di navigazione “normale”, ma limita anche lo scarroccio laterale come una normale deriva. Per ottenere la giusta portanza e la giusta forza resistente al naturale scarroccio si agisce sulla forma della “wing”, il profilo dell’ala, ma anche sull’angolazione reciproca delle due wing, le ali, che possono essere allineate su una retta oppure angolate tra loro (l’estremità dell’ala è spostata indietro rispetto alla radice). Inoltre, i foil sono progettati con un angolo diedro non nullo, nel senso che i bracci della “T” non sono perpendicolari al gambo ma hanno un angolo, il diedro appunto (fig. 5).

La forma dei foil wing e la loro angolazione sono tra le poche variabili su cui hanno potuto agire i team di progettazione nei limiti indicati nella figura 6. Altre scelte, infatti, sono per regolamento uguali per tutti. Alcuni componenti, addirittura, oltre ad essere uguali per tutti sono prodotti da un unico fornitore individuato dagli organizzatori. Una scelta che, in particolare, ha riguardato il foil arm e il relativo sistema di movimentazione idraulico-elettronico.

È quindi evidente che quel piccolo trapezio, largo 4 metri e alto mezzo metro, evidenziato nella figura 6, è il luogo dove si gioca la partita decisiva. E le scelte che i vari team di progettazione hanno fatto in quest’ambito saranno, con molta probabilità, i fattori che determineranno l’esito di questa edizione della America’s Cup. Proprio nello spirito originario della competizione che, come dicevamo all’inizio, è quello di costruire la barca a vela più veloce. Punto.

Senza entrare troppo in dettagli tecnici, basti sapere che, ad esempio, se da una parte un foil wing grande, con tanta superficie, facilita il decollo (che avviene prima), la stabilità del volo e le manovre, dall’altra è penalizzante alle alte velocità dove produce una maggiore resistenza idrodinamica che rallenta la barca. Alle alte velocità sarebbe quindi preferibile un foil wing piccolo. Inoltre, sempre alle alte velocità, diciamo pure al di sopra dei 40 nodi, è estremamente probabile la presenza di cavitazione sulla faccia superiore (dorso) del foil wing. Inevitabilmente ciò condiziona la scelta del tipo di profilo.

Scegliere un profilo più efficiente per queste condizioni significa però essere penalizzati alle basse velocità, quando avviene “il decollo”, la delicatissima fase di transizione tra la condizione dislocante e il volo. Così come la scelta di un profilo più efficiente alle basse velocità risulta penalizzante alle alte. È quindi necessario trovare una soluzione di compromesso.
Oppure, concentrandoci sul diedro, non esistendo forma e angoli ottimi per ogni situazione, la scelta dei progettisti è inevitabilmente finalizzata a trovare il maggiore bilanciamento possibile tra la maggiore stabilità e la maggiore agilità determinata dall’angolo di diedro.
Parliamo quindi di scelte che si dimostreranno vincenti in certe condizioni di regata e perdenti in altre, scelte che potranno essere valutate solo a fine competizione. Certo, non va dimenticato che, alla fine, c’è sempre la componente umana che, nello specifico, gestisce l’angolazione del foil wing immergendo più o meno il foil arm, il braccio, oppure gestisce il trim tab di cui ora parleremo. Ma, come abbiamo visto, le caratteristiche intrinseche dei foil rimangono determinanti.

L’equilibrio
Un’altra interessante novità presente sugli AC75 è la possibilità di regolare la forma del bordo di uscita dei foil wing con dei piccoli flap posti all’estremità. Proprio come succede con i deflettori di un aereo, con i flap si può decidere di generare più o meno portanza sugli hydrofoils abbassando o alzando il flap posto sul bordo di uscita del foil stesso che, in questo, caso diventa un correttore di assetto o trim tab. Con un trim positivo si va ad arcuare il profilo complessivo, generando più portanza.

È quello che succede quando, per favorire il decollo di un aereoplano, i flap delle ali vengono inclinati verso il basso. La stessa possibilità di regolazione dell’angolo di trim è presente anche per il timone, anch’esso di forma a “T”, che ha l’ulteriore compito di stabilizzare attivamente l’assetto longitudinale (l’angolo di beccheggio) con continui aggiustamenti del trim, sia positivi sia negativi. In questo modo è più facile (relativamente parlando) controllare e regolare l’assetto della barca, in volo e in acqua. Insomma, timonare diventa un po’ come pilotare un aereo.

Ma poichè suppongo che molti di noi non abbiano mai pilotato un aereo, per avere un’idea della difficoltà di far decollare la barca e, soprattutto, di mantenere un volo stabile in equilibrio su due soli punti di appoggio costituiti da un paio di metri quadrati complessivi di superficie mentre si corre a 40 nodi, possiamo immaginare di pedalare su una bicicletta volante che si muove in uno spazio tridimensionale e non su una superfice bidimensionale come, invece, avviene in realtà. Se su una superficie bidimensionale in bicicletta basta il solo manubrio per controllare la direzione di avanzamento, voltare a destra o a sinistra, in uno spazio tridimensionale c’è la necessità di un secondo dispositivo che permetta di controllare la direzione di avanzamento anche sul piano verticale, cioè andare su o giù. Una bella complicazione! Esattamente come accade sugli AC75 dove, oltre al timone che permette di andare a destra o a sinistra, ci sono i trim tab dei foil che permettono di gestire l’assetto di volo, ovvero l’angolo di beccheggio.

Ma non è finita qui. Immaginiamo sulla nostra bicicletta tridimensionale di avere anche una vela per andare più veloci. Se il vento ci arriva lateralmente, dovremo contrastare in qualche modo la forza che ci spinge di lato. Possiamo farlo spostando del peso dalla parte opposta, sopravvento, analogamente a quello che si fa su una piccola deriva sulla quale l’equipaggio si sporge all’esterno della barca, dalla parte opposta delle vele, per ottenere con il suo peso il momento raddrizzante necessario, ovvero quella forza per una distanza (per questo si chiama anche coppia di stabilità) che consente di bilanciare il momento sbandante (o coppia sbandante) dato dalla forza del vento sulle vele che tende a far ruotare lateralmente la barca, sbandandola, appunto.

sommato risulterebbe un monoscafo abbastanza convenzionale.
Sugli AC75 tutto questo si fa in due modi, ma sempre sfruttando al massimo il braccio di leva delle forze in gioco, ovvero le braccia del volatile preistorico: i foil arm (fig. 10). Come infatti ci ha insegnato Archimede da Siracusa, più il braccio di leva è lungo, ovvero le due forze sono distanti tra loro, maggiore è l’effetto in termini di momento. Ecco spiegato il motivo per il quale entrambe le braccia – i foil arm – sono posizionate come due ali di uccello: proprio per distanziare al massimo le due forze verticali, di verso opposto, e produrre il massimo momento raddrizzante. Parliamo della forza peso (diretta verso il basso) data dal foil wing sopravvento (ricordiamo che tra le due ali del foil c’è un siluro zavorrato che permette all’intero foil di superare i 1.200 kg).

È lo stesso lavoro fatto dall’equipaggio della piccola deriva che si sposta sopravvento. Ma parliamo, anche, della forza verso l’alto data dalla portanza sviluppata dal foil wing immerso. Ecco il motivo di queste strane braccia. Esse permettono di spostare lateralmente il punto di generazione della portanza così da ottenere il duplice effetto di far volare la barca e, al contempo, darle stabilità. Risparmiando peso in termini di zavorra e permettendo il raggiungimento di velocità elevatissime. È evidente, quindi, che gestire tutte queste forze per ottenere un equilibrio dinamico, che cambia istante per istante mentre la barca naviga, è estremamente complesso e difficile. Proprio come la nostra immaginaria bicicletta a vela che si muove nello spazio tridimensionale.

Lunghezza f.t.: 22,86 m
Lunghezza scafo: 20,70 m
Larghezza: 5 m
Dislocamento: 6.500 kg
(+ 1.000 kg equipaggio)
Zavorra mobile: 2.500 kg
Deriva foil: 5 m
(massima immersione)
Larghezza foil simmetrici: 4 m
Albero: 26,5 m
Sup. vel. totale: 340 mq
Modalità di navigazione
Abbiamo già accennato alle varie modalità di navigazione, soffermandoci poi a quella che potremmo definire a “regime”, ovvero durante il volo con il solo foil sottovento in acqua. Ma non si naviga sempre a 40 nodi sospesi in aria. Così come ci sono le virate e le abbattute, ovvero quelle manovre in cui la barca cambia direzione rispetto al vento. Vediamone quindi alcune di queste modalità di navigazione.

Partiamo dalla barca ferma, quando i foil sono ripiegati sotto lo scafo nella loro posizione di riposo, agendo come una normale chiglia del peso complessivo di appena 2,5-3 tonnellate. Parliamo di un peso davvero esiguo per una barca di 75 piedi così sovrainvelata. In queste condizioni, se si cercasse di prendere velocità cazzando le vele, la barca si rovescerebbe molto facilmente a causa di un momento raddrizzante insufficiente. È quindi necessario adottare delle precauzioni, come partire con vele più lascate e con il foil wing sopravento leggermente aperto, ma sempre immerso, in modo da avere un trim negativo per creare deportanza e avere maggiore momento raddrizzante. In questo modo la barca prende velocità gradualmente, limitando al massimo lo sbandamento.
Non appena si accelera, le forze aerodinamiche e idrodinamiche aumentano di molto, poiché variano con il quadrato della velocità. La barca aumenta la sua velocità con la pressione sulle vele che la fanno sbandare mentre i due foil wing e la parte alta della randa, regolata in modo da creare deportanza, forniscono momento raddrizzante. A un certo punto, la barca è sufficientemente veloce da in cominciare a sollevarsi ed entrare in planata.
Questo è il momento più delicato, in cui l’equipaggio deve coordinarsi alla perfezione fra l’apertura ulteriore dei foil e la regolazione delle vele. La parte alta della randa viene invertita e riportata nella sua forma tradizionale, diventando estremamente potente e permettendo alla barca di sollevarsi del tutto. Il foil sopravvento, molto aperto, è a questo punto totalmente fuori dall’acqua ed esercita un momento raddrizzante solo grazie al suo peso.
Siamo così arrivati alla virata. Effettuare un cambio di mure in planata senza mettere la prua in acqua è tutt’altro che facile. La parte più delicata consiste nel coordinare perfettamente la variazione di apertura dei foil con l’imbardata imposta dal timone.

Ci sarà un momento, infatti, in cui il foil wing sopravento dovrà entrare in acqua e quello sottovento uscirne. Se il primo scende troppo presto, si rischia di aumentare il momento ribaltante (il foil wing lavora sul lato sbagliato e la portanza aumenta il momento ribaltante anziché diminuirlo) e si rischia la scuffia. Se fatto troppo tardi, il foil wing rischia di non essere totalmente immerso oppure non fa in tempo a generare portanza e si scuffia non appena si cambia di mure.
Quando ci si appresta alla virata, il foil wing sopravvento va portato appena sotto il pelo d’acqua e il trim regolato in modo da generare deportanza così da fornire un minimo di momento raddrizzante. Il timoniere, intanto, comincia la manovra e quando il foil wing entra in acqua è come tirare il freno a mano su uno slittino soltanto da un lato. Si hanno due effetti: da una parte il foil fa da perno in acqua e ci aiuta a girare; dall’altra aggiunge resistenza e fa da freno. E qualsiasi frenata, in barca così come su una moto o in auto, produce sempre una inclinazione in avanti. La prua ha dunque tendenza ad abbassarsi, con il rischio di una brutta ingavonata.
Questa tendenza può essere compensata quasi esclusivamente mediante il trim del timone, oppure eseguendo la manovra abbastanza in fretta da perdere meno velocità possibile. Appena effettuata la virata, il foil wing che è entrato in acqua per ultimo andrà rapidamente aperto sottovento per spostare lateralmente il punto di applicazione della portanza che solleva la barca in modo da massimizzare il momento raddrizzante, mentre l’altro andrà aperto più gradualmente fino a farlo uscire completamente dall’acqua.
Conclusioni
Forse a questo punto è più chiaro il motivo per il quale gli esperti sostengono che proprio i foil sono l’elemento che deciderà l’esito di questa America’s Cup, il fattore per il quale le scelte fatte dal team di progettazione saranno determinanti. Certo, non possono essere trascurate le altre innovazioni introdotte, le quali tuttavia appaiono meno determinanti se non altro perché le possibilità di manovra dei vari team sono state oggettivamente più limitate e le scelte effettuate sovrapponibili. Parliamo, ad esempio, dell’albero a “D“ che può ruotare sul suo asse e della doppia randa, cioè delle due vele inferite ai due vertici della D della sezione dell’albero che, di fatto, vanno a formare una randa tridimensionale, ma non rigida, dove l’aria che investe l’albero scivola lungo ciascuna vela seguendone il profilo, riducendo di molto le turbolenze che l’albero produce su una normale randa a centro albero. Oppure, sempre rimanendo in tema di randa, la scelta di avere il boma che sfiora la coperta al fine di limitare al di totto di esso il passagggio dell’aria dal lato in sovrapressione a quello in sottopressione, cioè sottovento, penalizzando l’efficienza. Così come la scelta, fatta da tutti i team, di mettere l’equipaggio in trincea, nascosto nei due lunghi corridoi scavati in coperta per ridurre la resistenza aerodinamica. Anche per ciò che riguarda le forme di carena (per esempio, la carena ultrapiatta degli inglesi e la lunga chiglia di Luna Rossa), per quanto evidenti e significative, sono sicuramente meno determinanti dei foil, se non altro perché, durante la regata, in acqua ci stanno davvero poco. Certo, ancora una volta assisteremo a regate giocate sui dettagli, sulla coordinazione e l’affiatamento degli equipaggi, sulla loro conoscenza della barca in ogni condizione di vento e di mare. E non mancheranno sicuramente i colpi di scena. Ma sarà l’efficienza dei foil e la loro gestione la vera chiave del successo.
La portanza
Immaginiamo di prendere un’ala e di tagliarne una fetta. Otteniamo il profilo, la parte essenziale dell’ala che ne definisce ogni caratteristica. Potremmo quasi dire il suo DNA. Come si vede in figura, le differenze di velocità e quindi di pressione che si determinano tra la faccia superiore e la faccia inferiore del profilo, quando questo incontra un fluido con un certo angolo di incidenza, generano una forza che può essere scomposta in due componenti: quella verticale e quella orizzontale. Quella verticale è la portanza (lift in inglese) mentre quella orizzontale è la resistenza.
Le due forze si esprimono matematicamente si così:
portanza = 0.5 ρ CL A V2
resistenza = 0.5 ρ CD A V2
laddove ρ è la densità del fluido, A è un’opportuna area di riferimento, V è la velocità del fluido, e CL e CD sono, rispettivamente, i coefficienti di portanza e resistenza (lift e drag in inglese). Osservando la formula e ricordando che la densità dell’acqua è circa 1.000 volte maggiore di quella dell’aria, è intuitivo comprendere perché le forze idrodinamiche generate su un foil immerso in acqua siano quindi 1.000 volte superiori a quelle di un analogo profilo che lavora in aria, a parità di tutto il resto. È per questo motivo che le vele hanno un’area enormemente maggiore di quella di un foil o di una deriva. Così come l’ala di un aereo.
Va infine ricordato che i profili alari, idrodinamici o aerodinamici che siano, sono progettati per avere il coefficiente di portanza decisamente maggiore di quello di resistenza, da 10 fino a oltre 50 per gli utilizzi più estremi (per esempio sugli alianti). È per questo motivo che si dice che la bolina e il traverso sono andature “più efficienti” di quelle portanti, così come, con il vento in poppa, si va più lenti che al traverso: non solo perché il vento apparente è inferiore, ma anche perché il meccanismo di generazione della portanza è decisamente meno efficiente.<p style=”text-align: center;”></p>
