Formazione, patente nautica: “in Italia serve un cambio di mentalità”
Giudizio positivo sulle novità introdotte lo scorso anno, ma anche riserve su alcune semplificazioni. Valter Cimaglia, titolare dell’Accademia del Mare, fa il punto sui nuovi esami di abilitazione a un anno dalla loro entrata in vigore.

“La norma che non mi ha mai convinto, e che non è certo stata introdotta con il decreto dello scorso anno, è quella che prevede la divisione fra patente entro e oltre le 12 miglia. Il mare non fa queste distinzioni e, nemmeno tanto paradossalmente, navigare più vicino alla costa è la condizione di maggior difficoltà se non di maggior pericolo, visto che insidie e traffico marittimo sono di gran lunga maggiori rispetto a quante non ce ne siano in alto mare.”
Valter Cimaglia, istruttore federale di terzo livello, comandante di navi da diporto e fondatore dell’Accademia del Mare, scuola nautica che ogni anno porta agli esami di abilitazione al comando oltre 200 allievi, prima di entrare nel merito dei nuovi esami punta il dito su quella che definisce come una contraddizione. E che probabilmente sta a indicare uno dei sintomi, certo non la causa, di una relazione con il mare che nel nostro Paese non è mai cresciuta come avrebbe potuto, viste le felici condizioni geografiche e climatiche.

Detto questo, le modifiche ai programmi d’esame introdotte con il decreto del 10 agosto 2021 e entrate completamente in vigore, dopo vari rinvii, il primo giugno del 2022, avevano proprio l’obiettivo di attualizzarne i contenuti.
Missione compiuta?
In parte sì, grazie a un esame che è stato uniformato a livello nazionale e che accoglie novità sui temi della sicurezza e della conduzione. D’altra parte è stata ridotta la complessità dei problemi del carteggio con l’idea di renderli più aderenti alla realtà odierna, in cui il diportista ha a disposizione strumentazioni che semplificano la navigazione.
Quindi un provvedimento efficace?
Sì ma con dei limiti nella sua applicazione. Nel senso che approfondire, come è previsto, l’uso di strumenti satellitari è assolutamente attuale e positivo. Se è invece fatto nell’ottica di ridurre gli argomenti di studio perché ‘tanto ci sono gli strumenti’ lo trovo sbagliato.
Però risponde alla realtà: oggi ci sono ausili alla navigazione che non rendono più necessaria la conoscenza di certe nozioni.
A parte il fatto che gli strumenti si possono rompere, qui entriamo nella visione che si ha dell’andare per mare. Studiare apre la mente e, soprattutto, ti dà competenze che ti permettono di usare meglio gli stessi strumenti e di navigare con coscienza e maggior sicurezza. Non si tratta di volere rimanere legati al passato, a formule arcaiche difendendo, ad esempio, lo studio delle interpolazioni dei valori delle deviazioni, che non sono più previste, ma di considerare lo studio della navigazione come un percorso di formazione, di approfondimento e di presa di coscienza della vastità dell’argomento.
Resta il fatto che semplificare l’esame va incontro all’allievo.
Certamente è un fatto positivo alleggerire l’allievo di temi vetusti. Ma dipende dall’obiettivo che si pone la scuola nautica. Se l’obiettivo è solo quello di superare l’esame, allora l’impoverimento dei contenuti è funzionale al suo raggiungimento. Se io, come scuola nautica, oltre che farti superare l’esame, voglio anche darti le basi, formarti per andare in mare in sicurezza, allora penso che debba anche trasmetterti una visione, una mentalità che è nemica delle semplificazioni.
È piuttosto diffusa, però, l’idea che prendere la patente nautica non significhi imparare ad andare per mare. Insomma, un pezzo di carta voluto dallo Stato e poco più.
Questo dipende dalla serietà delle scuole nautiche, non dai programmi. In questo senso le nuove norme contribuiscono a contrastare l’abusivismo, imponendo che le ore in mare siano certificate da una scuola nautica la quale, per essere tale, deve rispondere a precisi criteri ed essere autorizzata a operare dalla Provincia. Il problema è sempre la visione con cui si fa formazione. Se si vuole avvicinare l’idea della patente nautica a quella dell’auto, allora diciamo che, così come quando prendi la patente il giorno dopo non vai a fare i rally o a correre in formula 1, nello stesso modo, quando prendi l’abilitazione al comando , il giorno dopo non attraversi l’Atlantico.
Personalmente, rifuggo da questa similitudine, perché andare per mare, anche a un miglio dalla costa, dove fra l’altro ci sono maggiori rischi che in alto mare, comporta la necessità immediata di essere preparati. E in questo senso, potenzialmente, i nuovi esami vanno nella direzione giusta.

In che senso?
Sul piano teorico sono stati aumentati i quiz base, con maggiore attenzione alla sicurezza e alle norme di conduzione e solo per la vela vengono somministrati 5 quiz pescati fra 250. Al momento dell’esame, inoltre, la possibilità che ci siano irregolarità è pressoché nulla, visto che ogni candidato ha compiti di carteggio e quiz diversi estratti dal portale della Guardia Costiera al momento dell’esame. Per l’esame in mare sono state introdotte manovre di ormeggio e ancoraggio e manovre evolutive.
Rimane un esame, almeno quello in mare, che si risolve in pochi minuti. A differenza dello ‘yacht master’ (titolo attribuito dalla Royal Yachting Association), il cui esame dura ore e viene condotto anche di notte.
A maggior ragione il superamento dell’esame è solo uno degli obiettivi del percorso di formazione, l’altro è l’effettiva preparazione. E per raggiungerla occorrono decine di ore di lezione in aula e in mare, ben oltre le cinque richieste per la certificazione. Diciamo che lo yacht master è un punto di arrivo e la patente nautica italiana è una tappa importante del percorso di formazione.
Un percorso che deve proseguire. In che modo?
Navigando, facendo esperienze commisurate di volta in volta alla propria esperienza, seguendo corsi specifici e di perfezionamento. Con serietà e senza cercare scorciatoie. Ciò che ancora manca in Italia è una visione corretta della nautica, non più vista come una questione per ricchi ma una formidabile occasione di formazione per i ragazzi, di opportunità economiche, di tutela dell’ambiente. Quello che manca è una mentalità diversa che porti a pensare alla cultura del mare come parte di un percorso di formazione che parta dalle scuole.