Energie alternative, purché sia green
La navigazione green non è solo una moda del momento, ma piuttosto l’anteprima di un futuro ormai prossimo e una presa di coscienza per una nautica responsabile e rispettosa dell’ambiente.
Non sarà facile uscirne fuori. Non tanto dal Covid, che prima o poi ci auguriamo sarà solo un ricordo, quanto dai problemi che affliggono il nostro pianeta, verso i quali sta crescendo una confortante consapevolezza, purtroppo però non ancora sufficiente a limitare i danni. Gli stessi cambiamenti climatici sono in parte figli di un’azione antropica difficilmente contrastabile, se non altro perché legata a quelle risorse di cui non possiamo fare a meno per far sopravvivere la nostra società iperindustriale.
Cosa si può fare allora?
La risposta, come diceva il vecchio Bob (Dylan per i più giovani) è nel vento, che in questo caso, peraltro, potrebbe diventare una parte in causa. Senza però anticipare l’argomento che tratteremo più avanti, vediamo che il quadro della situazione è tutt’altro che roseo: dai cambiamenti climatici al depauperamento della fauna terrestre e marina, dal buco dell’ozono all’invasione dei rifiuti – plastica in testa – e alle problematiche inquinanti di vario tipo, cui va anche aggiunto in finale un “inquinamento” umano di cui si parla poco.

Nessuno sembra infatti far caso più di tanto al fatto che la popolazione del pianeta sta aumentando a ritmi vertiginosi e che questo incide pesantemente sulle risorse tanto che, per limitarci al nostro settore, gli oceani si stanno svuotando più per sfamare l’esponenziale crescita della popolazione mondiale che per i fattori ambientali di cui sopra. L’overfishing globale ha già portato più di una specie ai limiti del collasso, mentre per quello che riguarda il nostro Mediterraneo c’è un dettaglio in più. Nessuno può infatti negare l’importanza del canale di Suez, anche se la sua fragilità – come ha dimostrato il recente incaglio del gigantesco portacontainer Ever Given – può mettere in crisi il commercio mondiale.
Tuttavia, dal punto di vista ambientale, non si può non citarlo fra i principali protagonisti dell’invasione aliena che va ormai avanti da decine di anni e che ha già portato nel Mare Nostrum quasi 800 specie marine tropicali che stanno incidendo sul nostro ecosistema.
È dunque così buio il nostro futuro? Poiché ci piace sempre vedere il bicchiere mezzo pieno diciamo pure che qualcosa si sta muovendo in senso positivo. A livello europeo “Nei prossimi cinque anni metteremo in atto una vera e propria agenda di trasformazione” ha affermato Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo della Commissione Europea “lanciando nuove tecnologie pulite, aiutando i cittadini ad adattarsi a nuove opportunità di lavoro e ai cambiamenti nell’industria e, infine, adottando sistemi di mobilità più puliti ed efficienti e optando per un’alimentazione e un’agricoltura più sostenibili”.
A livello mondiale, poi, il faccino perennemente imbronciato dell’iconica Greta, anche se poco comunicativo come direbbero gli esperti di fisiognomica, è comunque riuscito a sollevare il mondo dei giovani riunendoli in un movimento globale che ha lasciato stupiti tutti. E i giovani sono il futuro, un futuro necessariamente sempre più green, sia sulla terraferma sia in mare.
Dalla terra al mare
E poiché è il mare che ci interessa, vediamo che seguendo l’imperante ed attuale spinta dell’automotive, oggi il verde fa tendenza anche fra le onde e se di certo asseconda la consapevolezza di proteggere l’ambiente, altrettanto certamente ha alcuni indiscutibili vantaggi. Anche nella nautica green, come nelle auto, il percorso comprende sia imbarcazioni full electric sia altre più equilibratamente ibride, ma entrambe sottomesse a vantaggi e svantaggi destinati però a risolversi nel prossimo futuro.

Oggi, ad esempio, il costo di un’imbarcazione elettrica o ibrida è piuttosto elevato e il fatto che possa poi essere diluito e recuperato nell’arco degli anni non è ancora un incentivo sufficientemente valido. Però la semplicità strutturale di un motore elettrico è una garanzia non solo per l’affidabilità, ma anche per la manutenzione praticamente ridotta a zero. E non è poca roba. A questo si possono aggiungere una miglior disposizione dei pesi a bordo, il risparmio di spazio e soprattutto la miglior gestione di esso, data la semplicità delle componenti in gioco.
Anche la cantieristica si sta rapidamente adeguando all’ibrido-elettrico, con interpretazioni di vario tipo che spaziano dal mondo del piccolo diporto costiero a quello del megayachting e, andando oltre, anche a quello della grande navigazione commerciale (si stima che il traffico navale elettrico costituisca oggi il 2{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} del totale, ma la crescita del settore è vorticosa). Senza contare che oltre alle barche che già escono dal cantiere con la loro patente green, c’è da considerare la possibilità di un refitting, un po’ più complesso considerando le motorizzazioni entrobordo, ma più semplice se pensiamo ai motori fuoribordo, anche perché l’offerta è in continua crescita.
A questa ondata green non sfugge neanche la vela. Difficile in realtà trovare un mezzo per andar in mare più ecologico, ma è anche vero che se c’era chi come Eric Tabarly riusciva ad ormeggiare a vela con una barca di 15 metri, c’è anche chi ha seri problemi per portare in banchina un gommone armato di fuoribordo. In altre parole anche una barca a vela, un po’ per questione di manovre portuali o meno, un po’ perché una bonaccia prima o poi capita a tutti, del motore non può fare a meno e, nella maggior parte dei casi, si tratta di Diesel che, per quanto i grandi brand del settore si stiano impegnando nel ridurne le emissioni, mantengono pur sempre un discreto potere inquinante.
Così anche la vela strizza l’occhio al green con soluzioni nuove e in continua evoluzione, con la possibilità di utilizzare l’elettrico anche via sail drive, e un idrogeneratore per la ricarica delle batterie. Un problema, quest’ultimo, di primario interesse, ma nell’ibrido nautico vanno considerate anche situazioni miste nelle quali, per supplire al fabbisogno energetico delle batterie, si ricorre a pannelli solari o a generatori eolici, soluzioni che possono essere solo parziali nelle barche di piccole dimensioni, ma che hanno più senso quando, ad esempio, coperta e fly di un grande catamarano ibrido vengono letteralmente coperte di pannelli solari.

di dimensioni importanti.
Ibrida o full elettric
Tradotto in termini nautici, che sono quelli che più ci interessano, il discorso sfocia irrimediabilmente su una crescente tendenza figlia di quanto già accade nel mondo dell’automotive, ovvero quella di passare dalle motorizzazioni endotermiche a quelle elettriche o perlomeno ibride.
Un percorso tutt’altro che semplice perché certe problematiche già evidenti nel settore automobilistico, in primis quella del “rifornimento” elettrico, sono più difficilmente gestibili in ambito nautico.
Di colonnine di ricarica nelle nostre città se ne vedono decisamente poche, ma in mare l’unica possibilità è quella delle prese di corrente in banchina all’interno dei marina, fermi restando tempi di ricarica ben diversi da quelli del fare il pieno dal distributore di carburante.
Le cose stanno però cambiando rapidamente e già stanno nascendo apposite colonnine potenziate per la ricarica rapida, in grado di raggiungere una potenza di 150kW/h e, perciò, di consentire rifornimenti ultrafast.
Oltre al costo iniziale (sempre piuttosto alto ma ci si augura che prima o poi arrivino degli incentivi, come per le auto) e ai problemi energetici, un altro attuale handicap delle motorizzazioni elettriche è rappresentato dalle prestazioni, sia in termini di autonomia sia per quanto riguarda le velocità di punta.
C’è però da dire che la navigazione green si sposa perfettamente con un’altra tendenza in atto, che è quella dello slow-cruising.

Più che correre da una banchina all’altra, o mettersi a manetta per raggiungere la cala isolata in cui inforcare lo spaghetto di turno, sta infatti nascendo la voglia di vivere il mare in navigazione, lasciandosi andare al piacere di essere circondati da un silenzio oceanico, gustando nell’assenza di vibrazioni lo sciabordio delle onde lungo la carena, respirando il vento privo di fumi puzzolenti, per giunta con autonomie virtualmente no-limits. “Potremmo mollare gli ormeggi oggi“, ama dichiarare Michael Köhler, fondatore e co-progettista dei catamarani ibridi della Silent Yachts, “e tornare in banchina dopo 6-7000 miglia”.
Il tutto, aggiungiamo noi, navigando a 5-6 nodi di media e alimentando tutte le utenze di bordo, dissalatore compreso, con un potente spiegamento di pannelli solari. L’ibrido può tuttavia essere integrato a bordo anche con soluzioni diverse come quelle studiate dalla E-Motion, che può vantare già una lunga esperienza in materia, prevalentemente mirata a imbarcazioni fra i 15 e i 65 metri. L’aspetto più interessante del sistema integrato studiato dall’azienda ligure, è che si tratta di un full package che può essere installato a bordo dello yacht dal cantiere stesso con la massima semplicità: tutti i componenti, inclusi i software di gestione, vengono infatti realizzati e forniti dalla E-Motion, per altro aggiungendo ad altri vantaggi un utile guadagno di spazio in sala macchine.
Il discorso delle imbarcazioni ibride, o comunque supportate da sistemi alternativi di produzione energetica, è al momento una delle soluzioni più interessanti. Per supplire ai problemi di ricarica delle batterie, in mancanza di una presa di corrente, si può ricorrere a generatori a motore benzina (più piccoli) o Diesel o eolici – questi ultimi non molto adatti anche perché necessiterebbero di un vento costante e piuttosto sostenuto – ma anche ai già citati pannelli solari.

Sulle barche a vela si può poi parlare di idrogeneratori, che pur creando un certo attrito (ma in molti casi possono essere sollevati e tenuti fuori dall’acqua), soprattutto mantenendo elevate velocità di crociera possono dare un buon contributo alle batterie di bordo. Parliamo come detto di soluzioni di sostegno, che nel caso dei pannelli solari e dei generatori eolici possono avere più senso quando la barca è ferma e inattiva, ad esempio in rada. In caso di necessità, soprattutto sulle barche a motore e sui grandi yacht, magari quando si vuol sfruttare la piena potenza dei motori elettrici, si può però disporre di un cosiddetto “range extender”, ovvero un gruppo elettrogeno in grado più o meno automaticamente di entrare in funzione per ricaricare le batterie.
Fra gli altri vantaggi delle motorizzazioni elettriche, data la totale assenza di emissioni inquinanti, va inclusa anche la possibilità di navigare all’interno delle aree protette, compresi molti laghi in cui la navigazione a motore è vietata, o in città uniche come Venezia o Amsterdam, dove il trasporto privato e commerciale su acqua è ampiamente praticato. Un discorso che vale per le piccole barche, ma che è molto apprezzato anche dai lussuosi tender dei megayacht.

Energia in evoluzione
Nelle barche ibride il passaggio dalla modalità elettrica a quella a motore avviene con la massima facilità quando le batterie per l’elettrico scendono al di sotto del valore impostato, che comunque si presume lasci un minimo di “riserva”. Essendo l’autonomia dell’elettrico piuttosto limitata, questa motorizzazione viene prevalentemente utilizzata per le manovre in porto, per muoversi all’interno di baie e canali quando non si vuole creare troppo disturbo o, come detto, nelle aree marine protette. La velocità è in questo caso molto limitata, diciamo intorno ai 6-7 nodi con un’autonomia di 4-5 ore ovviamente variabile in funzione dell’impegno e della potenza del motore. Nelle barche che dispongono di un sistema di supporto (pannelli solari, generatori eolici) per la ricarica delle batterie, l’autonomia può ovviamente avere valori molto più ampi.
Spostando l’obiettivo sulle prestazioni di velocità il discorso cambia, se non altro perché agli spunti velocistici non possono corrispondere grandi autonomie. Qualche anno fa il Jaguar Vector V20E, tanto per fare un esempio un po’ fuori del comune, ha stabilito il nuovo primato per imbarcazioni elettriche raggiungendo 88,61 miglia orarie (142,60 km/h), ma si trattava di una barca da record. In versione più diportistica, ma sempre per gli amanti della velocità, la canadese Vision Marine Technologies si prepara a lanciare un potente fuoribordo da 135 kW, entrando in competizione con la tedesca Torqueedo che da anni domina il mercato e che solo nel nostro Paese ha venduto oltre 10.000 motori.

E in Italia?
Non stiamo certo a guardare se consideriamo che una start-up come Sealence (per altro già convertita in S.p.A. grazie ad una campagna di crowfunding di assoluto successo) ha annunciato l’arrivo di due nuovi motori jet per la serie Deep Speed, uno da 220 e uno da 500 kW: il primo destinato a imbarcazioni per il diporto veloce in grado di raggiungere i 40-45 nodi; il secondo più adatto a barche semiplananti per un range di velocità tre i 16 e i 26 nodi. Parliamo di un’azienda di grande valore innovativo, dato che i suoi particolarissimi motori idrogetto di ispirazione aeronautica, pur offrendo le migliori prestazioni proprio alle alte velocità, risultano ottimali anche per barche importanti. Attualmente in fase sperimentale sugli yacht di diversi cantieri, i motori della Sealence, al momento centrati su un target nautico compreso fra i 12 e i 24 metri, saranno commercializzati nei primi mesi del 2022.

L’indiscussa economicità a lungo termine delle motorizzazioni elettriche ha comunque già conquistato il mondo professionale, dove sono già molte le tipologie di barche ad aver adottato questo tipo di propulsione. Discorso che vale per il trasporto merci di piccolo tonnellaggio ma anche per le grandi navi e traghetti, tanto che si sta già lavorando per “elettrificare” le banchine di numerosi porti lungo le nostre coste per consentire un rapido rifornimento di energia. Un programma, fra l’altro, che dovrebbe rientrare nel prossimo Recovery Plan anche per rinnovare la nostra flotta traghetti, alquanto vetusta.
Già la Grimaldi, per fare un esempio, ha attrezzato le sue navi più recenti per sostare in porto con il solo uso dell’energia elettrica immagazzinata grazie a batterie che vengono ricaricate in navigazione, prelevando l’energia necessaria da alternatori direttamente collegati ai motori principali (a titolo di pura curiosità sulla Cruise Roma e sulla Cruise Barcellona il sistema funziona con 976 batterie al litio capaci di fornire oltre 5 megawatt).

L’ibrido, per ovvie ragioni di praticità, è indubbiamente molto più diffuso del full electric e anche molti cantieri italiani si sono impegnati in questo settore spaziando in diverse fasce dimensionali. Poco oltre confine non si può poi non citare uno dei maggiori protagonisti del settore, il cantiere sloveno Greenline, mentre l’E4 di Elan, una barca a vela di 10,60 m, è disponibile anche in versione totalmente elettrica. Pochi esempi per segnalare quanto la tendenza abbia già messo in moto gli studi progettuali di molti cantieri. E se poi si volesse dare uno sguardo ancora più avanti, vale la pena considerare quel Futura 101 Ibrida del cantiere Fabiani presentato all’ultimo salone di Genova, le cui notevoli potenzialità elettriche si basano sulle possibilità di ricarica garantite dalle enormi superfici di pannelli solari organizzati su ali retrattili.

Il cuore del sistema
I limiti nelle prestazioni di una motorizzazione elettrica, soprattutto per quanto riguarda l’autonomia, sono principalmente legati alla disponibilità di energia, ovvero alle batterie di bordo, e questa è una delle problematiche su cui si sta più lavorando. In altre parole le batterie sono il vero e proprio giro di boa della propulsione elettrica, anche perché, per una serie di ragioni che vanno dal peso alle prestazioni, vengono preferite le batterie litio ferrofosfato (Li-Fe- PO4) che hanno costi piuttosto elevati. Al giorno d’oggi una buona batteria al litio, prendendo come esempio un amperaggio comune, diciamo 100 A/h, può costare intorno ai 5-600 Euro, che ovviamente vanno moltiplicati nell’ottica di un pacco batterie multiplo.
Un prezzo indubbiamente elevato compensato però dai notevoli vantaggi: innanzi tutto la durata, che può essere anche tre volte superiore a quella delle batterie al piombo, poi l’indifferenza al livello di scarica che può arrivare al 99{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} e allo stesso tempo la velocità di ricarica che con un apparecchio dedicato può essere molto veloce.
Altro grande vantaggio è poi il peso, che può essere inferiore anche del 70{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} rispetto alle batterie al piombo e ne consente l’uso anche su imbarcazioni di piccole dimensioni o per alimentare quei motori elettrici di prua che sono ormai un must per tutti i pescatori di un certo livello.
In ogni caso l’elettrico nautico è figlio dell’automotive, tanto che, per fare un esempio, la già nominata Torqeedo utilizza per le sue batterie quelle direttamente derivate dalla tecnologia BMW. E vista la spinta impressionante che si sta dando alle auto ibride o elettriche c’è da aspettarsi che i progressi avverranno in tempi rapidissimi. Un’evoluzione che però dovrà tenere necessariamente conto di un problemino tutt’altro che trascurabile, soprattutto per mantenere alta la bandiera della compatibilità ambientale sventolata dalle motorizzazioni elettriche: lo smaltimento delle batterie usate, soprattutto quelle al piombo, è infatti un problema da affrontare, ed anche per questo si sta molto puntando sulla possibilità di rigenerare le batterie per prolungarne la vita.

La barca che verrà
Il passaggio all’elettrico non sarà quindi semplicissimo, ma segna chiaramente il futuro dei trasporti, nautica inclusa. Nel nostro caso l’evoluzione tecnologica di tutte le parti in causa sarà rapida e porterà ad una sensibile riduzione dei costi, oggi uno dei maggiori ostacoli alla diffusione del green nautico, ma non bisogna dimenticare l’aspetto psicologico. In auto ci si muove più per necessità che per passione; nella nautica è più o meno il contrario, e la passione è legata a certi canoni pratici ed estetici legati alla tradizione e patrimonio di una nautica destinata a cambiare, soprattutto nella vela.

Per cui gli appassionati di terzaroli e matafioni, dei fiocchi da inserire sullo strallo, garroccio per garroccio, e di compassi e squadrette diventeranno una razza in via d’estinzione. Nel passaggio all’elettrico la rivoluzione porterà anche ad una riprogettazione delle barche: a livello di materiali, puntando alla leggerezza dello scafo e quindi alla fibra di carbonio; di impiantistica, semplificando i cablaggi e ottimizzando i servizi che potranno lavorare a 220V; di linee d’acqua, per massimizzare l’efficienza; di design, poiché potrebbero cambiare anche le tipologie di barca.
È indubbio, ad esempio, che nella formula del full electric siano favoriti i grandi catamarani, inclusi quelli a motore, capaci di esporre estese superfici di pannelli solari senza troppo offendere l’estetica. Tuttavia la creatività dei progettisti nautici è grande, e c’è già chi ha pensato di utilizzare la stessa tecnologia su superfici estensibili e retrattili e quindi utilizzabili solo quando necessario.

È peraltro certo che nel futuro prossimo la corsa verso il green porterà altre realtà. È ad esempio già consolidata, anche se ancora in fase di sviluppo, l’alternativa dell’idrogeno destinato, nei piani dell’Europa che vuole eliminare entro il 2050 le emissioni di carbonio, a sostituire i carburanti fossili. E l’idrogeno è già una realtà in campo marittimo e diportistico, come dimostrato anche dall’H2Boat, una start-up innovativa nata da uno spin-off dell’Università di Genova, il cui Energy Pack – che arriva in cantiere pronto per essere installato ed è integrabile con un sistema ibrido – è in grado di produrre energia elettrica a emissioni zero scindendo l’ossigeno dall’idrogeno e utilizzando quest’ultimo come vettore energetico.

Impegno è stato posto anche nello sfruttamento del vento al di là dei tradizionali armamenti di rande e fiocchi, un discorso che vale per la trazione velica affidata a giganteschi kite in grado di ridurre i consumi del 20{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} nella navigazione commerciale, e non solo, ma anche a pale eoliche di nuova generazione per la ricarica delle batterie destinate ad alimentare motorizzazioni elettriche. Senza contare quella strana evoluzione mista che torna a sfruttare il vento, come nel caso della Ocean Bird, un traghetto da 200 metri e 35.000 tonnellate progettato dalla svedese Wallenius Marine, capace di navigare a 10 nodi con cinque gigantesche ali rigide telescopiche alte ben ottanta metri. Non un progetto onirico, ma una realtà che potrebbe prendere il mare nel 2024.
E ancor meno onirico, in quanto già impegnato in una pluriennale crociera world around dedicata allo studio delle energie alternative, è l’Energy Observer, un mega catamarano di 30 metri made in France, mosso prevalentemente a idrogeno con la collaborazione di 130mq di pannelli solari e due futuristiche pale eoliche.
Come dire che il presente è fatto ancora di code al distributore del carburante, ma per il futuro…si cambia!<p style=”text-align: center;”></p>


