Storie di navi: una nave chiamata Beagle
Era in fondo una nave di scarsa importanza, ma ebbe la fortuna di ospitare a bordo un giovane naturalista che, in un viaggio di cinque anni, si convinse che nelle teorie dell’epoca sull’origine delle specie c’era qualcosa che non andava.
Il termine è probabilmente di origine gaelica, ma il suo significato è sempre rimasto poco chiaro. Per noi “Beagle” è più modernamente legato a una simpatica razza canina e, in particolare, a Snoopy, lo splendido bracchetto filosofo di Charlie Brown. Se però volessimo essere un po’ più seriosi potremmo anche ricordare che “Beagle”, non si sa per quale strana ragione, era anche il nome di una nave divenuta famosa non tanto per le sue imprese quanto per quelle di un suo inaspettato ospite, Charlie anche lui, ma di cognome Darwin.

Il “Beagle” non era una nave da strapparsi i capelli quanto a bellezza di linee e qualità marine. Era stato commissionato il 13 giugno 1817 come parte di un ordine totale di 115 navi che formavano la Cherokee Class e messo in lavorazione l’anno successivo presso i Woolwich Dockyard al costo prestabilito di 7.803 sterline. Il Beagle, che fu poi varato l’11 maggio del 1820, apparteneva a una serie di navi destinate a servire la Royal Navy per i piccoli trasporti interni, per ricerche scientifiche e geografiche, o per compiti di servizio, pur essendo armate con un numero variabile di cannoni (come nel caso del Beagle che, nella sua seconda spedizione, quella che ospitò Darwin, di cannoni ne aveva sei) per essere pronte a eventuali impieghi bellici.
La Cherokee Class fu concepita da Sir Henry Peake al fine di ottenere navi agili e snelle adatte a operare anche in acque basse, ma il suo progetto non deve aver avuto un gran successo presso i marinai, visto che queste unità furono presto denominate “coffin brigs”, dove “brigs” sta per brigantino e “coffin” sta per bara. In effetti molte di esse affondarono ma – riportano le cronache – più per l’inadeguatezza dei compiti loro assegnati che per difetti di progetto o di costruzione.
Però è anche vero che il loro bordo libero basso e la struttura flush-deck facilitavano le imbarcate d’acqua, la quale poi faticava a scivolar via a causa delle massicce impavesate. In parole povere, le Cherokee erano una sorta di bagnarole, tanto che William James, nella sua Naval History, si chiedeva per quale ragione la Royal Navy continuasse a investire in quella che definiva “inutile classe”: vuoi vedere che c’era una storia di mazzette anche lì?
Ricordiamoci di Fitzroy
Forte di queste premesse, il Beagle fu in ogni caso modificato, cosa che non servì a molto visto che Pringle Stokes, il suo primo comandante, durante il viaggio inaugurale dedicato a studi idrografici in Patagonia e in Terra del Fuoco, scrisse “i nostri ponti sono costantemente inondati d’acqua”. Non fu però probabilmente quella la ragione della depressione che prese Stokes durante la sosta nello Stretto di Magellano.
Fatto sta che, dopo essersi rinchiuso in cabina per 14 giorni, il 2 agosto del 1828 si sparò, peraltro senza neanche prendere bene la mira, dato che prima di passare nelle praterie celesti sopravvisse per altri dieci giorni. Per il suo secondo viaggio, quello che lo rese realmente celebre, al Beagle furono apportate diverse importanti modifiche nei cantieri di Devonport.
Il ponte principale fu rialzato di 20 centimetri a poppa e di 30 a prua; fu anche rinforzato lo scafo, cosa che incrementò il suo dislocamento di ben sette tonnellate. Charles Darwin, che capiva di nautica quanto un tombarolo di archeologia spaziale, continuò a lamentarsi dell’acqua che veniva imbarcata ogni volta che si alzava un po’ di mare, tuttavia molti marinai apprezzarono le doti marine del nuovo Beagle, al cui comando fu posto un giovane aristocratico, Robert Fitzroy, che oltre ad essere un bravo comandante era anche un abile ricercatore. E quale fosse il suo impegno fu subito chiaro vista la quantità di sofisticati (per allora) strumenti che furono imbarcati e, ancor più, se si pensa che per evitare interferenze magnetiche Fitzroy aveva richiesto all’Ammiragliato di sostituire i cannoni di ferro con altri in ottone: l’Ammiragliato rifiutò, ma Fitzroy lo fece poi a sue proprie spese appena raggiunta Rio de Janeiro. Fra altre curiosità vale anche la pena di ricordare che Fitzroy era amico personale di Francis Beaufort, quello della scala del vento, per capirci.

Questo brillante personaggio ebbe però un altro merito di non poco conto. Al di là del fatto che per la differenza di lignaggio e di educazione rispetto all’equipaggio temeva fortemente di annoiarsi, per completare le sue ricerche Fitzroy sentiva anche il bisogno di avere a bordo con sé un geologo, possibilmente a costo zero. Una richiesta che attraverso qualche piccola avventura portò a un ragazzo che, dopo deludenti studi in medicina, era già avviato alla carriera clericale, ma che era anche appassionato naturalista e competente geologo: tale Charles Darwin, appunto, che dopo aver sfidato i prudenziali timori paterni accettò con entusiasmo di far parte del team.

Alla rivalutazione di Fitzroy, passato del tutto in secondo piano in quest’avventura della quale era invece protagonista, possiamo però ricordare la sua valenza come geografo e meteorologo, tanto che tornò dal suo viaggio (ricordiamo che a bordo del Beagle Darwin era solo un imbarcato non pagato) con ben 82 carte delle coste allora sconosciute della punta meridionale dell’America del Sud, 40 rilievi idrografici e 80 descrizioni di possibili porti. Poco si è sempre parlato poi, della curiosa situazione per la quale se Fitzroy, fervido credente, aveva fra i suoi scopi anche quello di raccogliere prove scientifiche per dimostrare la veridicità della Bibbia, Darwin si muoveva invece in senso totalmente opposto anche se con le dovute contraddizioni. Per la sua educazione si sentiva infatti fortememente legato alla chiesa, ma per la sua mentalità scientifica il Vecchio Testamento aveva una scarsa aderenza con la realtà. Ciò nonostante, ancora nel 1860, in una sua lettera inviata a un amico scienziato, egli si chiedeva se “questo meraviglioso universo può essere solo il risultato di una forza cieca”. Che però il Beagle portasse un po’ di sfortuna – lo ricordiamo adesso prima di dimenticarcene – doveva essere vero: nel 1865, ben dopo essere rientrato dal suo giro del mondo, anche Fitzroy, come il primo comandante del Beagle, si suicidò.
La nave di Darwin
I tanti pensieri e suggestioni che suscita oggi la figura di Darwin, la cui immagine iconica viene associata a quella di un severo scienziato barbuto e poco comunicativo, distorcono fortemente la realtà di quello che fu l’inizio dell’avventura, ovvero quella di un ventiduenne che prima di quel viaggio non aveva alcuna intenzione di dedicare la propria vita allo studio della natura, e soprattutto non pensava di imbarcarsi per un viaggio di cinque anni a bordo di un brigantino a palo, oggetto per lui sconosciuto. Anche perché Darwin soffriva terribilmente il mal di mare e, nella sua piccola cabina posta a poppa, dormiva su un’amaca dove peraltro aveva grosse difficoltà a salire.
La partenza del Beagle dal porto di Plymouth fu una tragedia: i venti forti e contrari impedirono per diverse settimane alla nave di mollare gli ormeggi e una volta che ci provò fu costretta a rientrare rapidamente a ridosso.
Quando poi si pensò finalmente di potercela fare, la nave, doppiata l’isola di Drake, si incagliò su uno scoglio reso pericoloso da un picco di bassa marea mal calcolato. Curioso ma efficace il tentativo ordinato dal capitano per liberare il Beagle: Fitzroy fece infatti correre l’equipaggio da una parte all’altra della nave creando un moto ondulatorio di rollio che alla fine la liberò dall’incaglio (per la cronaca, il metodo è tutt’oggi ancora valido nel caso piantaste la vostra deriva su un banco di sabbia).
Finalmente, il 27 dicembre 1831 il Beagle salpò…e Darwin ebbe il suo primo serio scontro con il mal di mare. Fra l’altro va ricordato che la spedizione del Beagle, destinata alla scoperta di nuove terre e alla relativa ricerca cartografica, non aveva in realtà limiti di tempo. Darwin partì pensando di restare in mare per non più di due anni ma in realtà, prima di riabbracciare i suoi cari, di anni ne dovette aspettare cinque, dato che il
Beagle riapprodò a Falmouth il 2 ottobre 1836, dopo aver compiuto un intero giro del mondo.
In quel lungo arco di tempo, lo scienziato trascorse quasi tutto il tempo delle lunghe soste esplorando l’interno delle coste e scoprendo cose del massimo interesse: dalle ossa di giganteschi animali preistorici sulla spiaggia di Punta Alta, in Patagonia, ai depositi di conchiglie fossili a 3600 metri sulla Cordigliera delle Ande. Per non parlare dell’arcipelago delle Galapagos, dove maturò la sua teoria.
La sua fama è indissolubilmente legata a un concetto biologico assolutamente rivoluzionario per l’epoca, allora dominata da quella teoria creazionista contro la quale dovettero scontrarsi le sue idee, raccolte in un libro divenuto leggendario, anche se la sua pubblicazione fu molto contrastata: “L’origine delle Specie”.
È interessante ricordare che, quando il libro fu finalmente stampato, il pensiero di Darwin era già ben noto e l’attesa per il volume che ne raccoglieva l’essenza – pubblicato solo nel 1859 e venduto al prezzo di 15 scellini – era fortissima, tanto che le prime 1.250 copie furono esaurite in un solo giorno.
Ovviamente, quella legata a Darwin fu di gran lunga la più importante e la più celebre delle spedizioni del Beagle. Ma non l’ultima. La nave venne infatti impiegata in altre missioni scientifiche e terminò la sua carriera come guardiacoste contro pirateria e contrabbando. Nel 1870 fu fatta arenare e successivamente demolire nel delta del fiume Roach: una fine tutto sommato ingloriosa per la nave che, sotto le sue vele, aveva visto nascere un’intuizione scientifica che avrebbe sconvolto il mondo del XVIII secolo.
L’origine delle specie
Oltre ad avere solide basi scientifiche, su cui ancor oggi poggia la moderna biologia, la teoria sviluppata da Darwin aveva una sua logica in forte contrasto con il creazionismo dell’epoca, tanto che lo scienziato ebbe all’inizio qualche perplessità nel diffonderla, temendo un’accusa di blasfemia.
Tuttavia, l’idea che in una specie potessero sopravvivere solo i più forti, adatti a contrastare le difficoltà dell’ambiente, e che quindi nella selezione naturale e nella conseguente riproduzione si favorissero i geni vincenti, aveva preso tutta la sua solidità durante la famosa sosta alle Galapagos (1835). Resta tuttavia curioso il fatto che, quasi contemporaneamente, una teoria del tutto simile era stata sviluppata da un altro scienziato, anche lui inglese.
Di Alfred Russel Wallace, però, oggi si ricordano in pochi, anche se le sue idee furono presentate alla Linnean Society come frutto di una ricerca congiunta tra lui e Darwin. La gloria toccò quasi esclusivamente al vecchio Charlie, l’unico ad essere immortalato nella storia, tanto da essere sepolto nell’abazia di Westminster accanto ad altri grandi scienziati di ieri, come Isaac Newton (1727), o di oggi, come Stephen Hawking (2018).<p style=”text-align: center;”></p>





