Grandi storie: L’epopea delle tonnare
Per millenni, rotte migratorie guidate dall’istinto della riproduzione hanno consentito all’uomo di intercettare
il cammino dei grandi banchi di tonni calando barriere di rete. Ben poche delle antiche tonnare fisse sono però sopravvissute, nonostante si tratti di un sistema perfettamente ecosostenibile.
All’epoca degli antichi Romani l’età media dell’uomo era di circa trent’anni, quella dei tonni superava facilmente i cinquanta. Oggi l’Homo sapiens campa abitualmente quasi il triplo, la donna (forse perché più sapiens) ancora di più, l’età media dei tonni del Mediterraneo è invece drasticamente calata, e forse in futuro potrebbe calare ancora di più fino a raggiungere “ground zero”, ovvero l’estinzione. Ricorderemo allora i tonnosauri immortalati nelle mitiche immagini degli anni ’70 e ’80, quelli impressi nella memoria dei vecchi pescatori, sia professionali sia sportivi.

Ma se è vero che quando fra pescatori ricreativi si parla di tonni e di pesca professionale è come nominare Satana, e viceversa, se quando si parla di tonnare volanti o di gabbie d’ingrasso è come citare la fonte di un disastro ambientale, è però anche vero che occorre fare una distinzione. E non una distinzione sottile o parziale, ma una distinzione profonda come il mare, perché gabbie d’ingrasso a parte, tonnare sono le volanti con tutto il loro carico di responsabilità, e tonnare sono gli impianti fissi che per secoli – in realtà per millenni – hanno pescato senza arrecare alcun danno agli stock ittici, creando una civiltà del tonno che ha lasciato una scia di cultura e di preziose tradizioni.

Se ricordiamo che la filiera del tonno rosso si porta dietro una scia di decine di miliardi, dollari o euro fa poca differenza, e che nonostante le limitazioni imposte dall’ICCAT (International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas) che ha determinato precise regole di pesca il suo impatto sugli stock ittici mediterranei è tutt’altro che indifferente, poca meraviglia che la prima conseguenza di questa pesca intensiva sia stata in primis una forte riduzione di taglia dei tonni dei nostri mari.
Là dove fino a venti o trent’anni fa esemplari di 250-300 chili erano tutt’altro che rari, oggi, nonostante le quote pesca imposte dall’ICCAT, già si sorride di fronte a tonni che superino i 100 chili. E ben poco si può imputare alla pesca sportiva agonistica, tenuta per normativa federale a rilasciare tutti i pesci allamati, né a quella ricreativa sottoposta a norme abbastanza ridicole in quanto, al rapido esaurimento delle quote della pesca professionale, si blocca anche quella sportiva.

Per dirla in pratica, le prime si esauriscono in genere verso fine luglio, con il risultato che quando i pescatori ricreativi – motori in moto e canne in resta – sono pronti a godersi le loro vacanze alieutiche, arriva il decreto ministeriale che vieta la pesca. A quel punto resta unicamente la possibilità del catch&release, ovvero del rilascio della preda, non la stessa cosa che portarsi a casa un tonno appena pescato per la gioia della tavola, ma comunque una possibilità per soddisfare la propria passione.
C’era una volta
Lo sforzo di pesca generale sul tonno rosso è oggi elevatissimo, sicuramente superiore alle possibilità degli stock, e se la specie mantiene ancora un suo comunque precario equilibrio in Mediterraneo è solo grazie all’elevata natalità favorita dal rialzo delle temperature. Negli anni scorsi, grazie alle anomalie climatiche e al forte aumento termico del mare, si è infatti avuta fra i tonni una capacità riproduttiva notevolmente superiore al normale, il che ha forse contenuto la minaccia d’estinzione della specie, ma non ha recuperato il gap dimensionale, essendo oggi la taglia media dei tonni catturati (con qualunque tecnica) scesa di molto rispetto al passato. Dagli anni ’80 a ieri, per quanto riguarda le tonnare fisse, siamo passati da una media di 150-180 kg a pesce, a una media di 40-60kg.

Eppure alla fine dell’’800 nel Mediterraneo calavano ancora più di trecento tonnare con una media di cattura di 3-400 tonnellate a stagione, e non si è mai avuto un calo di catture o di taglia, tanto che nella tonnara di Favignana si ricorda con una specifica iscrizione come: “Al 1859, anno ultimo gabella Florio, la tonnara di Favignana pescò 10.159 tonni, amministrava A. Ribaudo, rais A. Casubolo”. Stagione tuttavia inferiore a quella del 1845 in cui furono pescati 14.020 tonni, ma immensamente superiore a quella dell’ultima mattanza della tonnara di Favignana che nel 2007 pescò meno di 100 pesci.
Per capire però meglio l’importanza di quello che fu questa tonnara e di cosa rappresentò la famiglia Florio per l’isola, è bene spendere due parole in più. Famiglia di industriali siciliani di grandi potenzialità economiche, i Florio subentrarono nella tonnara di Favignana nel 1841 affittando la tonnara dai Pallavicino.
Vincenzo Florio, in particolare, si dedicò ad una serie di innovazioni che migliorarono notevolmente la cattura e la lavorazione del pescato. Successivamente, suo figlio Ignazio la acquistò del tutto, nel 1874, insieme alle isole Egadi per la cifra di 2.700.000 lire: erano gli anni d’oro delle tonnare, e l’impianto si rivelò una miniera d’oro pescando e inscatolando il tonno nell’isola stessa, che in pochi anni si sviluppò in modo incredibile. Il seguito della storia è però meno entusiasmante e vede il lento decadere della tonnara che passò più volte di mano fino a diventare quello che è oggi, uno splendido museo con le strutture della tonnara considerate un interessante esempio di archeologia industriale.
Oggi la situazione dello stock mediterraneo del tonno rosso sta migliorando, ma al di là delle catture delle nostre tonnare fisse, la situazione permane globalmente preoccupante anche a causa della pesca illegale e degli esuberi di pesca che svolgendosi in alto mare sono poco controllabili.

Per saperne di più
Precisato che la tonnara fissa è il sistema più ecosostenibile di cattura della specie, precisati i valori storici e tradizionali che questa pesca si porta dietro, dobbiamo ahimè anche precisare che parliamo di una tecnica in via d’estinzione. Delle centinaia di tonnare fisse operanti lungo le nostre coste a fine ‘800 ne restano oggi attive solo due, quella di Portoscuso (Carloforte) e quella di Isola Piana, entrambe proprietà di una società ligure, ma la cui storia risale al 1654, quando un finanziere genovese acquistò la tonnara da Filippo IV di Spagna. Favignana, la più nota delle tonnare, ha fatto la sua ultima mattanza nel 2007 soprattutto a scopo turistico e, nonostante vari tentativi, non si è riusciti a farla ripartire essendo insostenibile la bilancia fra costi e ricavi a causa delle quote pesca assegnate.

Anche se riteniamo che le caratteristiche di una tonnara fissa siano ben note, due parole in più su questa metodologia di pesca non guasteranno. La sua storia è antica, molto antica, e ci ricorda quanto stretto sia stato nei secoli il rapporto fra l’uomo e il tonno. Già Greci, Fenici e Romani avevano capito come intrappolare questo superbo gigante del mare, poi furono gli arabi a perfezionare la tonnara e a portarla ad un disegno di base rimasto poi immutato nei secoli ed ancor oggi, pur essendo i tempi fortemente cambiati, la tonnara fissa può essere considerata un sistema di pesca perfettamente ecocompatibile. È infatti una postazione fissa che da secoli viene calata negli stessi punti, con variazioni minime nella postazione delle reti che hanno un’azione assolutamente passiva. In pratica al passaggio del banco, la tonnara cattura solo la flangia che più si accosta, e che non è più del 15-20{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} dell’intero banco.

Inoltre, se è vero che i tonni accostano in periodo di riproduzione, è altrettanto vero che è stato più volte documentato come i fenomeni di accoppiamento e fecondazione delle uova continuino anche all’interno delle reti, dove i pesci possono sostare anche più di una settimana prima della mattanza. L’azione delle tonnare fisse non incide quindi sul mantenimento dello stock, sia per le basse percentuali di cattura sia per la qualità del pescato, visto che si tratta esclusivamente di tonni in età di riproduzione e quindi con un peso ampiamente superiore non solo alla taglia minima consentita per legge (115 cm di lunghezza per 30 kg di peso), ma soprattutto a quella suggerita dal buon senso ecologico. Una tonnara volante cattura in una sola calata quanto una tonnara fissa può catturare in un’intera stagione di pesca.

Come noto il 90{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} del pescato di tonno rosso del Mediterraneo è destinato ai mercati dell’estremo oriente, dove i cultori del sushi sono disposti a pagare cifre astronomiche per l’alta qualità del nostro pesce. Ciò nonostante siamo a livello europeo fra i maggiori consumatori di tonno in scatola (ci supera solo la Spagna): peccato che nella gran maggioranza dei casi – occhio sempre all’etichetta – si tratti di Thunnus albacares, ovvero tonno pinna gialla, specie inesistente in Mediterraneo. E se si vuole approfittare di quella scarsa produzione di vero tonno rosso, bisogna accettare un prezzo ben diverso o, meglio ancora, fare un salto dove la tradizione delle antiche tonnare è ancora viva: vale a dire a Favignana, antica regina delle tonnare che, come detto, da qualche anno ha tirato le reti in secco, o alle tonnare di Carloforte, in Sardegna, che ha una produzione propria e di alto livello.

Una storia antica
Se la tradizione fa risalire la pratica della tonnara fissa agli arabi, come del resto alcuni termini di questa pesca farebbero supporre, le sue origini sono ben più antiche. Parliamo di una pesca basata sulla perfetta conoscenza delle rotte migratorie dei grandi banchi di tonni, che ieri come oggi entrano periodicamente dallo Stretto di Gibilterra per il sacro rito della riproduzione, ma va notato che queste rotte, che seguono in senso antiorario il grado di salinità e la spinta delle correnti, sono note da millenni, già ben individuate da Aristotele, tanto per dire, e ben conosciute dai Fenici.
Ma volendo spingersi ancora più indietro nel tempo, e non di poco, ovvero di diverse migliaia di anni, si possono ricordare le pitture rupestri della Grotta del Genovese, a Levanzo, dove fra le altre spicca la figura di un grosso pesce molto somigliante a un tonno: forse non lo pescavano, ma di certo ne conoscevano qualche esemplare spiaggiato.

Poco si sa delle tonnare operanti nel primo Medioevo, ma già in epoca rinascimentale il tonno rosso era una fonte di ricchezza, e molte erano le dispute fra i signori dell’epoca per assicurarsi le concessioni di pesca. La vera età d’oro delle tonnare fisse fu tuttavia l’Ottocento, considerando che verso la fine del secolo erano operative lungo le nostre coste più di trecento tonnare. Forse erano troppe, sia per mantenere un buon quoziente di catture sia per evitare crolli di prezzo sul mercato. Così, una dopo l’altra, decine di tonnare fisse hanno tirato su le reti, rimanendo mute testimoni di un glorioso passato. Oggi molte sono state trasformate in residence immobiliari; qualcuna, come Favignana, è diventata uno splendido museo; qualcun’altra attende in silenzio di essere valorizzata.

In tavola
Tutto il lavoro di una tonnara avrebbe poco senso se poi quel tonno pescato con tanta fatica non ci fossimo noi a mangiarlo, e allora cominciamo a chiarire un paio di cose. L’Italia è tradizionalmente un fortissimo consumatore di tonno in scatola, il secondo in Europa, ma non è tutt’oro quel che luccica. Il che tradotto equivale a dire che almeno il 90{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} del tonno commercializzato in scatola non è tonno rosso (basta guardare attentamente l’etichetta) ma Thunnus albacares, ovvero tonno pinne gialle, specie che non ha mai messo il muso in Mediterraneo.
Niente di male, ma non è tonno rosso, che quando si trova ha prezzi scoraggianti…e non si taglia con un grissino, anzi, è una carne soda e compatta, a volte cromaticamente alterata con sostanze non sempre lecite come il monossido di carbonio per migliorarne l’estetica, e che si taglia con il coltello come una bistecca.

In compenso la crescente passione per il sushi ma soprattutto per il sashimi, sia a livello europeo sia sul nostro mercato nazionale, ha inciso sul consumo di tonno fresco. Il sashimi richiede pesci di alta qualità e questo porta su il prezzo, ma soprattutto occorre essere certi che il tonno sia stato propriamente abbattuto (in senso termico) per evitare il potenziale rischio di contaminazione da un parassita, l’anisakis, che può provocare gravi danni all’intestino.
La carne di tonno al naturale presenta un contenuto proteico di alto valore biologico che, quando inscatolata, tende però a perdere molti dei suoi grassi, incluso il benefico Omega 3, al punto da diventare un alimento ipocalorico che trova riscontro in molte diete. In compenso, si fa per dire, il tonno rosso come tutti i predatori di vertice è un accumulatore di mercurio, ma non bisogna dipingere il diavolo più brutto di quel che è, basta infatti non esagerare. Nel dettaglio EFSA e FDA consigliano per un adulto un consumo settimanale non superiore ai 340 gr.

Il principe degli oceani
Se l’evoluzione è frutto di adattamenti alle esigenze biologiche delle singole specie, bisogna dire che quando ha messo le mani sul tonno rosso ha fatto veramente un buon lavoro. Dapprima creando un profilo idrodinamico perfetto fin nei minimi dettagli anatomici, poi lavorando sulla fisiologia di questo straordinario pesce, ovvero creando quella rete mirabile che è una specie di turbo che i tonni e alcuni squali possono inserire durante l’azione predatoria per aumentare le proprie prestazioni. Il che tradotto in cifre vuol dire essere in grado sullo scatto di raggiungere i 115 km/h, di accelerare da 0 a 100 Km orari in 7 secondi, ma anche di nuotare come un vero fondista per migliaia di miglia a un passo di 7-8 nodi: la velocità con cui i grandi banchi di tonni traversano l’Atlantico per raggiungere le aree di riproduzione.

Per i meno addetti ai lavori ricordiamo che la rete mirabile è una fitta rete di capillari che circonda le masse muscolari del pesce, agisce come una sorta di scambiatore di calore che, prelevando energia termica dal sangue venoso alimentato dal movimento muscolare, lo cede al sangue arterioso proveniente dall’ossigenazione delle branchie. Insomma una specie di radiatore che consente ai muscoli di questi pesci di lavorare ad una temperatura leggermente più elevata di quella ambientale, ottenendo appunto straordinarie prestazioni.

Superato lo stadio giovanile, in cui può facilmente restare vittima dei grandi predatori, il tonno non ha più nemici, salvo ovviamente l’uomo, e può superare i trent’anni di vita. Le sue dimensioni possono raggiungere misure impressionanti: oltre tre metri di lunghezza per un peso che può arrivare a sfiorare i 700 kg, dimensioni limite oggi difficilmente raggiungibili perché le rotte migratorie che caratterizzano il suo vagabondare fra gli oceani, ne hanno sempre facilitato la cattura rendendolo uno dei pesci più sfruttati al mondo dal punto di vista commerciale, obiettivo di una caccia spietata che ha fortemente inciso sulla consistenza degli stock. Nonostante la sua importanza economica, e nonostante le numerose ricerche fatte con l’aiuto di tag satellitari, le conoscenze sulla biologia del tonno rosso presentano però ancora molte lacune.
L’intervista a Giuliano Greco

Procuratore Generale della Carloforte Tonnare e Responsabile Tecnico delle tonnare della Sardegna, Giuliano Greco è figlio d’arte, genovese come del resto tradizione vuole per molti proprietari di tonnare, e vive il suo lavoro a 360 gradi: è infatti imprenditore e manager, e sovrintende sia la produzione dell’annesso stabilimento di inscatolamento del tonno, sia l’andamento generale del mercato.
Un tempo in tonnara finivano veri e propri giganti: qual è stato il tonno più grande mai pescato?
Probabilmente è stata la coppia di tonni, maschio e femmina, pescati nel 1967 nella tonnara di Stintino. Pesavano rispettivamente 680 e 637 kg e furono venduti ad uno stabilimento di Modena per l’inscatolamento, anche se prima furono esposti a pagamento come attrazione. Negli ultimi due anni in cui è rimasta attiva, al contrario, il tonno più grosso pescato dalla stessa tonnara non arrivava a 300 kg. (Il tonno più grande mai pescato, in questo caso da un pescatore sportivo, spetta invece a Ken Fraser, che nel 1979 in Nuova Scozia, Canada, catturò un pesce da 678.58 kg – n.d.r.)
Si parla spesso di una diminuzione di taglia dei tonni dovuta ad un insieme di fattori negativi (pesca illegale, tonnare volanti, inquinamento, traffico marittimo, e via dicendo), avete riscontrato anche voi questo andamento?
Il mondo del tonno rosso è strano e a volte risponde a principi poco conosciuti. Basti pensare che nel 2003 le tonnare del Sulcis erano scese a catturare tonni con una taglia media di 35 kg, mentre oggi possiamo dire che le cose sono drasticamente cambiate in meglio, grazie anche all’intervento protezionistico dell’ICCAT. L’anno scorso abbiamo pescato tonni con una taglia media di 100-120 kg, e non sono mancati esemplari di 4-500 kg.
Come vede il futuro della tonnara fissa?
Il nostro futuro potrebbe essere più che confortante se le Istituzioni gestissero meglio la suddivisione delle quote. Oggi le 12 tonnare volanti, ovvero i pescherecci che operano con le reti di circuizione e che hanno base nel salernitano, gestiscono il 76{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} delle quote dividendosi la fetta più grande del pescato. Sottolineando che grazie alle moderne tecnologie l’investimento delle volanti in termini economici e di tempo è decisamente minimo rispetto al nostro lavoro. Dietro la calata di una tonnara fissa, infatti, ci sono almeno sei mesi di lavoro di preparazione e l’impegno di 50-60 persone per un periodo di pesca che non supera i 50 giorni. Vorrei però sottolineare che il tonno di tonnara è di altissima qualità. Sono pesci che passano dalla “camera della morte” al primo processo lavorativo in tempi brevissimi (in appena 20-30 minuti nella tonnara di Isola Piana), e che quindi si prestano al miglior “sushi” del mondo.

