Vai al contenuto

Alla ricerca del continente perduto, il mistero di Atlantide

Atlantide

Torna al sommario

Perennemente in bilico fra realtà e fantasia, Atlantide continua ad accendere la nostra immaginazione, ma anche a impegnare studiosi e ricercatori in un lavoro che forse non avrà mai fine.

Nell’affrontare temi costantemente in bilico fra mito e realtà, anche se in questo caso il primo pesa più della seconda, difficile non cadere vittime della fantasia e farla spaziare fra le più suggestive ipotesi. Per cui, se parliamo di Atlantide, il continente perduto, ovvero l’isola misteriosa, la civiltà sommersa nelle profondità dell’oceano, l’enigma più affascinante di tutti i tempi e via dicendo, a questa fantasia è ben difficile porre un freno.

Platone

Del resto non è un caso che migliaia di studiosi e di ricercatori, e perfino svariati medium, abbiano speso le loro energie cercando una qualche evidenza di questa terra apparentemente ricca e felice. E non è un caso che le soluzioni proposte siano state nel tempo tanto diverse quanto a volte inaccettabili. Così Atlantide è stata geograficamente collocata nel Mediterraneo a Santorini come in Sardegna, in Atlantico alle Azzorre come alle Bahamas, senza dimenticare il Polo Nord e l’Antartide.

Ma l’isola leggendaria, tanto per dire, è stata ipotizzata persino su quella che è oggi terraferma come l’Iran e il Sahara marocchino, dove – guarda caso – si erge il massiccio dell’Atlante. E allora perché sorridere di chi ha pensato anche che Atlantide potesse essere una base aliena?

Dove tutto ebbe inizio

È buffo pensare come tanta scienza, vera o presunta, sia stata elaborata su una base in realtà alquanto limitata. Prima di affrontare qualunque approfondimento sul tema di Atlantide, è infatti fondamentale tener presente che non esiste alcuna testimonianza storica di questa misteriosa terra e tutto quel che sappiamo nasce dalle poche pagine scritte nel IV secolo a.C. da Platone nei suoi dialoghi del Crizia e del Timeo. Che peraltro non sono notizie di prima mano – e a dire il vero neanche di seconda, e neanche di terza – dato che Platone riporta una storia raccolta in prima battuta da Solone (suo zio), che ne aveva avuto notizia dai sacerdoti egizi di Sais, e trasmessa poi in linea generazionale fino a Crizia il Vecchio e poi a Crizia il Giovane.

Una storia molto antica di cui i Greci – riferivano gli antichi sacerdoti – avevano perso il ricordo. Platone ha in ogni caso descritto in alcuni passi il continente perduto con una tale dovizia di particolari che viene difficile pensare che si tratti esclusivamente di un parto della fantasia. Solo che a questo punto è facile restare vittime di una certa confusione, a partire proprio dal resoconto del grande filosofo, che peraltro raccolse queste testimonianze in tarda età.
“Innanzi a quella foce stretta che si chiama colonne d’Ercole, c’era un’isola. E quest’isola era più grande della Libia e dell’Asia insieme, e da essa si poteva passare ad altre isole e da queste alla terraferma di fronte. [..] In tempi posteriori [..], essendo succeduti terremoti e cataclismi straordinari, nel volgere di un giorno e di una brutta notte [..] tutto in massa si sprofondò sotto terra, e l’isola Atlantide similmente ingoiata dal mare scomparve”.

Partendo dalle pagine del Crizia si può fare una serie di considerazioni. Pur dando per scontato che i riferimenti a Libia e Asia di allora fossero un po’ diversi dagli attuali concetti geografici, resta il fatto che Platone parla di un’isola immensa che, considerando i tempi in cui presumibilmente nulla si sapeva di che cosa ci fosse oltre le Colonne d’Ercole, farebbe pensare ai residui di quella deriva dei continenti ben nota e documentata. Basti pensare al perfetto incastro fra America del Sud e Africa occidentale. Un’immensa isola che legava, o quasi, l’Europa all’America occupando gran parte dell’Oceano Atlantico.

Il famoso e supposto continente-ponte che spiegherebbe certe analogie faunistiche e antropologiche fra vecchio e nuovo continente.Credibile? Poco. Per quanto non siano state fatte specifiche e approfondite ricerche, non c’è alcuna evidente traccia storica-archeologica-geologica di questa teoria. Però è anche vero che la famosa mappa di Piri Reis, elaborata nel 1513, disegna una geografia delle terre emerse assai diversa da quella attuale e lancia inquietanti interrogativi.

Tanto per dire, essa descrive una geografia quale poteva essere quella antecedente l’ultima glaciazione, con una precisione di dettagli impensabile per l’epoca. Ed è anche vero che alla fine dell’’800, durante la posa di un cavo transatlantico nei pressi delle Azzorre (per inciso, anch’esse candidate al ruolo di Atlantide), dai 3000 metri del fondo marino furono recuperate alcune schegge di ossidiana, ovvero di una lava vulcanica che si può formare solo in ambiente aereo: come a dire che i fondali a Nord delle Azzorre erano un tempo emersi.

E mettiamoci anche che una delle tante spedizioni del celebre comandante Cousteau scoprì in alcune grotte sommerse dell’Honduras Britannico un’impressionante distesa di stalattiti, evidentemente formatesi in ambiente aereo, che peraltro, essendo inclinate di 10-15 gradi, testimoniavano lo sconvolgimento della crosta terrestre conseguente all’ultima glaciazione.

Immersa nel passato

A questo punto possiamo fare una supposizione. Oggi abbiamo una lingua arricchita da migliaia di termini cresciuti nei secoli con l’evoluzione sociale e tecnologica, tuttavia, anticamente, il lessico comune era certamente più povero ed essenziale.

È quindi possibile che certi termini, come quelli riferiti a realtà geografiche di cui si sapeva poco o nulla, non rispecchiassero la realtà. Platone colloca Atlantide oltre le Colonne d’Ercole, ma a quel tempo più che un riferimento geografico queste indicavano il limite oltre il quale c’era solo l’ignoto, e identificarle secondo tradizione con lo Stretto di Gibilterra potrebbe anche essere un’ipotesi aleatoria.

E dato che la storia di Atlantide nasce sulle sponde del Mediterraneo perché non collocarle allora nel Mare Nostrum, magari identificandole con il Canale di Sicilia e aprendo quindi nuove prospettive? Magari finendo con l’identificare Atlantide con l’attuale Sardegna? Sarà anche il caso di ricordare che, sempre secondo quanto afferma Platone, nostra unica fonte di notizie, il cataclisma che fece scomparire Atlantide avvenne circa 9.600 anni prima della sua epoca, ovvero circa 12.000 anni fa. Ma è pensabile che in un’era così lontana esistesse una civiltà tanto avanzata da oscurare quelle che diverse migliaia di anni dopo avremmo già giudicato straordinarie?

Ed è possibile che questa civiltà sia scomparsa senza lasciare traccia? Ma se un cataclisma sconvolgesse oggi la Terra annientando i nove decimi del pianeta e della sua popolazione, siamo certi che i pochi sopravvissuti saprebbero riallacciare i fili della nostra avanzatissima tecnologia o che, di fronte a uno smartphone scarico, rimarrebbero muti e impotenti tornando in breve a tam-tam e piccioni viaggiatori?

Lasciamoci suggestionare da qualche altra considerazione. La scomparsa di Atlantide è più o meno coeva di un’altra immane catastrofe di cui troviamo traccia nelle antiche tradizioni di molti popoli ben distanti gli uni dagli altri: il diluvio universale. E tiriamo in ballo anche le piramidi, quale che fosse il loro scopo, peraltro non ancora del tutto compreso, che sono stranamente una struttura presente in Egitto come in Iraq, in centro America come in Cina, affiancandosi alle molte analogie esistenti nei miti delle due sponde dell’Atlantico.

Ed ecco riapparire l’immagine di un continente-ponte fra Europa e America, un continente che non certo in un giorno e in una notte, come nella descrizione di Platone, ma forse nel corso di tempi geologicamente accettabili, è finito sommerso probabilmente a causa dello scioglimento dei ghiacci. I tempi più o meno coincidono, perché 12.000 anni fa i ghiacciai ricoprivano ancora gran parte dell’Europa e tutto il Canada e si presume che il livello degli oceani fosse 145 metri più basso di quello attuale, mostrando una geografia assai diversa da quella oggi conosciuta. Il che ci fa pensare che gran parte della preistoria umana sia ancora celata nelle profondità marine, dato che il successivo scioglimento dei ghiacci sconvolse l’aspetto della Terra e portò a una situazione assai simile a quella attuale. Uno “scongelamento” che causò inevitabilmente pesanti cataclismi climatici, tanto che nella coincidenza cronologica si riaffaccia proprio quel mito comune a tanti popoli: il diluvio universale. Forse anche conseguenza della contemporanea attività sismica (peraltro ancor oggi rilevabile lungo la dorsale atlantica che attraversa longitudinalmente l’intero oceano) che di certo, in epoche lontane, si è manifestata con fenomeni di grande rilievo. In altre parole, 11-12.000 anni fa per la Terra dev’essere stato un momento di grande sfiga.

A quanto detto sopra si affianca infatti un’altra ipotesi, peraltro documentata, che chiama in causa un gigantesco meteorite caduto in mare causando una serie di sconvolgenti cambiamenti tellurici e climatici, tanto che la massiccia evaporazione prodotta dal calore e l’oscuramento del cielo provocato anche da varie eruzioni vulcaniche portò a un’incessante stagione di piogge. In altre parole, un diluvio se non universale quantomeno mondiale.

Nei Caraibi?

Per non restare immersi nella confusione provocata dall’accavallarsi di tante ipotesi, sarà però il caso di provare a selezionare quelle più credibili. Accantonata con qualche dispiacere quella della base aliena, con tanti piccoli E.T. che si aggiravano fra città coperte d’oro e d’argento, partiamo dall’ipotesi più esotica, quella che chiama in causa i Caraibi.

Al di là delle citate scoperte di Cousteau, una delle fonti a sostegno dell’ipotesi caraibica è quella del famoso “muro di Bimini”, dal nome delle deliziose isolette delle Bahamas occidentali: una costruzione di grandi blocchi calcarei più o meno rettangolari (una strada, un muro, un frangiflutti?) perfettamente connessi l’uno all’altro, che si estende a Nord dell’isola principale. Questa strana formazione, lunga quasi un chilometro (ma successivamente ne furono trovate altre due), fu scoperta nel 1968 da una spedizione di cui faceva parte anche il celebre apneista Jacques Mayol. La realtà fu presto superata dalla fantasia, con l’istintiva identificazione del “muro” come testimonianza del continente perduto.

Ma nonostante la grande suggestione provocata dal ritrovamento, gli esami al Carbonio 14 di alcuni residui organici presenti nei blocchi e una complessa serie di studi geologici – i quali tra l’altro dimostrarono che 15.000 anni fa quell’area emergeva per ben 95-100 metri sulla superficie dell’oceano – stabilirono l’assoluta origine naturale di queste rocce. Il che, a testimonianza di quanto intricata ma sempre più affascinante sia la faccenda, non toglie che l’ipotesi caraibica abbia ancora i suoi accesi sostenitori, eredi di quello psicologo americano – tale Edgar Cayce – che, nel 1930, affermò di aver “parlato” con un suo paziente in trance della sua vita precedente di cittadino di Atlantide.

In Sardegna?

Tralasciando tutta un’altra serie di ipotesi che ci porterebbero ancor più lontano, torniamo dalle nostre parti, anche perché Platone era un greco ed è più facile pensare che nei suoi dialoghi si riferisse al Mediterraneo.

Un’analisi dettagliata delle coincidenze geologiche fra la descrizione di Platone e le caratteristiche morfologiche della Sardegna sud-occidentale richiederebbe diverse pagine e sarebbe forse anche un po’ noiosa, ma sull’argomento esistono molti libri di notevole interesse a disposizione di chi volesse approfondire l’argomento. Il riassunto di quanto sopra porta a un’ipotesi poco conosciuta ma non per questo lontana da una potenziale realtà. Se infatti riportiamo le Colonne d’Ercole – perno delle maggiori elucubrazioni in materia – allo stato di porte del mondo conosciuto, possiamo anche identificarle con il Canale di Sicilia, oltre il quale si fantasticava di una grande isola e di una potente civiltà: Atlantide…o la Sardegna?

Per unificare le due ipotesi occorre spogliare un po’ la descrizione di Platone, però quello che poi si trova è del massimo interesse. Sempre considerando le possibili corruzioni linguistiche dovute alla prima traduzione dalla lingua dei sacerdoti di Sais al greco e alle varie possibili licenze poetiche, possiamo riportare il continente a un’isola. Sottolineando la potenza distruttiva di un megatsunami capace di cancellare città e modificare la morfologia di una costa, fenomeno di cui si ha certezza per tutta la zona sud occidentale della Sardegna ed in particolare del Campidano in epoca coincidente con quella della distruzione di Atlantide, l’ipotesi non è più tanto remota. La civiltà megalitica nuragica è ancora densa di misteri, ed è curioso che la quantità di queste torri di pietra così tanto diffuse sia pressoché nulla nella zona potenzialmente travolta dallo tsunami. Resta un interrogativo: da dove arrivava questo tsunami?

Una serie di reperti suggerisce un’inquietante possibilità: quella di una gigantesca onda provocata dalla caduta in mare di un meteorite, evento anch’esso datato a circa 11-12.000 anni fa. L’enorme calore causato dal corpo incandescente potrebbe aver causato l’evaporazione di enormi quantità d’acqua, riversatesi poi sulla Terra con straordinaria intensità per un lungo periodo: un vero e proprio diluvio. Magari universale?

In Spagna?

L’esodo delle popolazioni colpite dallo tsunami, in altre parole la diaspora degli atlantidei, potrebbe essere testimoniata da una serie di reperti rinvenuti soprattutto sulle coste meridionali della Spagna, tutti legati dalla ricorrente immagine di una sorta di labirinto, che è l’esatta descrizione che Platone fa di Atlantide, o perlomeno della sua capitale.

L’ipotesi ci porta al Parco Nazionale di Doñana, la zona paludosa nel profondo Sud della Spagna, che si affaccia sull’Atlantico appena dopo lo Stretto di Gibilterra. Per quanto poco conosciuta in questo ruolo atlantideo, l’ipotesi ha delle basi da considerare con attenzione.

Pochi anni fa, osservando una serie di scansioni satellitari, alcuni ricercatori inglesi notarono una serie di forme circolari non visibili ad altezza d’uomo, oltre a una serie di rovine sparse lungo costa. Da qui a considerare la vasta e pianeggiante distesa di sedimenti che formano il parco quale residuo del devastante tsunami che distrusse Atlantide, e ad analizzare i riferimenti dei “Dialoghi” di Platone notando una serie di perfette coincidenze, il passo fu breve.

La notizia del ritrovamento del continente perduto da parte dell’equipe dell’archeologo Richard Freund fece il giro del mondo e una casa di produzione inglese chiamò nientedimeno che James Cameron (premio Oscar per “Titanic”) per realizzare un documentario che sarebbe poi stato trasmesso sui canali del National Geographic. Il lavoro fu accusato di un certo furbesco sensazionalismo e il gruppo di archeologi spagnoli che lavorava da tempo sul sito accusò Freund di essersi approfittato delle loro ricerche, perché quegli insediamenti erano da tempo già noti agli esperti. Che poi si trattasse di Atlantide o meno è tutta un’altra storia.

In Grecia?

Diciamo la verità, in questa corsa all’indentificazione del continente perduto tifiamo tutti per Santorini, l’antica Thera. Un po’ perché la conosciamo bene e possiamo toccarla con mano, un po’ perché le sue testimonianze storiche sono ben attendibili, un po’ per la sua straordinaria bellezza. Forse, però, più di tutto perché, della spaventosa eruzione che distrusse Atlantide Santorini porta ancora oggi il segno nella grande caldera incastonata tra le sue coste.

Certo, se volessimo restare fedeli al racconto di Platone, la più meridionale delle Cicladi non avrebbe molte chance, a partire dalla collimazione dei tempi. Ma perché non pensare a un possibile errore di traduzione decimale o anche solo di scrittura – dati i simboli utilizzati all’epoca – per cui ciò che il Crizia fa risalire a 9000 anni prima potrebbe invece essere accaduto solo 900 anni prima?

A questo punto, se aggiungiamo che Platone era vissuto nel IV secolo a.C., ci avviciniamo all’età in cui si ipotizza l’eruzione di Santorini: il 1600-1500 a.C.. Una data che risulta non solo dalle analisi del Carbonio-14 e dalla dendrocronologia applicata sui resti di alcuni alberi di olivo sepolti dalla lava, ma anche dai carotaggi eseguiti addirittura in Groenlandia, dato che le ceneri dell’eruzione arrivarono fin là.

Il fatto che in questa Pompei dell’Egeo non siano state trovate tracce di vittime fa pensare che prima della catastrofica eruzione ci siano stati diversi giorni o settimane di minacciosi avvertimenti (più o meno come accadde nel 1902 per l’eruzione del Mont Pelée in Martinica), durante i quali la gente ebbe modo di lasciare l’isola via mare, salvo poi trovare la morte fra le onde dello spaventoso tsunami causato dal crollo di tutta la parte centrale dell’isola: la caldera che testimonia l’antico cataclisma, oggi la maggiore attrazione dell’isola, ha un diametro di 15 chilometri e nel suo centro (Nea Kameni) ospita la bocca ancora attiva del vulcano.

Per avere un’idea della potenza di questa eruzione, giudicata oltre cinque volte superiore a quella del Krakatoa (1883), che causò in poche ore più di 40.000 morti, basti pensare che è stata considerata pari all’esplosione di 40 bombe atomiche o, se preferite, cento volte superiore a quella che distrusse Pompei, e che l’effetto dei terremoti che ne conseguirono causò danni in tutto il Mediterraneo, mentre le ceneri oscurarono il cielo per settimane. Testimonianza ancor oggi ben visibile di questa spaventosa eruzione sono le cave di pomice sulla sommità dell’isola, spesse oltre 30 metri, mentre un’idea più toccante ci viene suggerita dai resti di Akrotiri, antica capitale dell’isola, scavati a livello del mare da Spyridon Marinatos, un archeologo che dedicò a Thera la sua vita.

Grecia

Come detto, oltre al diffondersi di ceneri e gas velenosi, l’eruzione di Santorini causò un impressionate tsunami con onde che, secondo le stime degli studiosi, oscillarono tra i 40 e i 150 metri di altezza e si propagarono ovunque, abbattendosi senza pietà sulla vicina isola di Creta, che al tempo ospitava una fiorente civiltà che dominava il Mediterraneo e della quale faceva parte la stessa Santorini.

Dopo questo tragico evento, la civiltà minoica non fu più in grado di recuperare l’antico splendore e, poco alla volta, scomparve nell’anonimato: in questo caso, una versione più storica che figurata della fine di Atlantide, dato che il resoconto di Platone è molto più scenografico e ricco di dettagli difficilmente collimanti con la realtà di Thera. Come a dire che la soluzione dell’enigma è ben lungi dall’essere definita e il mistero del continente perduto continuerà ad affascinarci scatenando le più fantastiche ipotesi, sempre in attesa che il mare – che nelle sue profondità nasconde molte verità – ci dia qualche certezza.

Migliaia di studiosi e di ricercatori continuano comunque a spendere le loro energie nel tracciare un profilo storico di questa terra perduta e, ancor più, nel collocarla geograficamente in una posizione credibile, supportandola con qualche possibile legame letterario. Non avendo la benché minima presunzione di inserirci in questo elenco, preferiamo in realtà e molto più modestamente che sia il lettore stesso, sulla base delle nostre poche righe, ad essere stimolato ad approfondire il tema: un giochino che, a voler esser seri, data la mole di documentazione, potrebbe richiedere qualche anno. Nel frattempo possiamo accontentarci di visitare Atlantide salendo a bordo del Nautilus sotto la vigile guida del Capitano Nemo.<p style=”text-align: center;”></p>

Leggi anche