Progettare e costruire per il futuro, verso la barca sostenibile, non solo ecologica
Mobilità sostenibile è un concetto che riguarda non solo i consumi e le emissioni di un qualsiasi mezzo di trasporto, ma tutta la sua vita, dalla costruzione al fine vita, passando per la fase di utilizzo. Anche per una barca, dove questo concetto fa ancora fatica ad affermarsi.
Quando si parla di barca sostenibile si pensa immediatamente a una barca con emissioni inquinanti limitate o, addirittura, assenti, come nel caso di una propulsione full electric. Ma il concetto di sostenibilità di un qualsiasi mezzo di trasporto – barca compresa – va ben oltre le sole emissioni e comprende tutte le sue fasi di vita, dalla produzione allo smaltimento finale. Passando, ovviamente, per la fase di utilizzo, che però non basta per definire la barca stessa un oggetto sostenibile o meno. Così come non è sufficiente utilizzare materiali riciclabili.

Addirittura, l’inesauribile fonte di informazioni rappresentata da Wikipedia, descrive la mobilità sostenibile come quella “modalità di spostamento in grado di diminuire gli impatti ambientali, sociali ed economici generati dai veicoli”.
Quindi sono da considerare non solo gli aspetti prettamente ambientali, come siamo abituati a pensare, ma anche l’impatto che il mezzo di trasporto e/o la modalità di spostamento ha sulla vita delle persone, anche dal punto di vista economico. Insomma, un bel po’ di roba, molta della quale esula dagli obiettivi di questa nostra chiacchierata.
Al tempo stesso, è però importante iniziare a valutare la sostenibilità di una barca non solo dall’eventuale presenza di una bella fumata nera quando si accende il motore. Per carità, premesso che quella fumata va assolutamente evitata per limitare il più possibile le emissioni inquinanti, pensare alla sostenibilità di una barca significa anche pensare a come è stata costruita, al suo fine vita, a come verrà utilizzata. Nello schema di figura 1 sono riportati i mezzi con cui si possono raggiungere i tre obiettivi che permettono la piena realizzazione di una barca sostenibile.

Riduzione emissioni inquinanti
L’obiettivo di riduzione delle emissioni inquinanti si può perseguire agendo sul tipo di propulsione (elettrica e/o ibrida) e sull’efficienza della propulsione (elica e carena), ma si può anche guardare al futuro e pensare all’utilizzo dell’idrogeno o all’uso del vento per aiutare la propulsione anche sulle barche a motore (Sky sail, vele automatizzate). Allo stesso tempo, le emissioni inquinanti si hanno non solo quando la barca si muove, cioè quando funziona il motore, ma anche prima, in fase di produzione. Ecco, dunque, che diventa importante come si costruisce, quanta energia si consuma e quante emissioni inquinanti si producono, soprattutto quando si tratta di materie plastiche e materiali compositi.

Sostenibilità economica
Per quanto riguarda la sostenibilità dal punto di vista economico, il primo passo è quello di ridurre i consumi, quindi aumentare l’efficienza propulsiva a cui abbiamo accennato sopra. Ma non basta. Un altro importante passo è quello di rendere la barca utilizzabile per più funzioni. Quindi multifunzionalità che si può ottenere in tanti modi, a partire da una carena con un range di velocità efficiente più esteso.
Questo significa avere una barca capace di procedere regolarmente sia a una velocita di trasferimento di 10 nodi sia a una velocità di crociera di 16. Oppure lavorare sui layout e gli allestimenti per avere “più barche in una” come ad esempio nel caso di una barca utilizzabile sia come day cruiser sia come fisherman. Si tratta di concetti ben noti e utilizzati anche in altri settori della mobilità, a partire da quello dell’auto dove, dopo le station wagon, le monovolume, i SUV, è stato addirittura coniato il termine “cross over” per indicare un’auto la cui carrozzeria racchiude caratteristiche mutuate da due o più tipi di altre carrozzerie, in cui si amalgamano e si fondono più tipologie di auto: cross over, appunto, un temine che in inglese significa “accavallare”.
Ma la multifunzionalità è un concetto ormai presente anche nel mondo navale dove, per esempio, le navi militari degli ultimi decenni hanno perso la loro storica classificazione di pattugliatori, fregate, incrociatori o caccia torpediniere, per diventare unità polivalenti e multimissione. Pensiamo alle fregate europee multi-missione (FREMM) della classe Bergamini oppure ai pattugliatori polivalenti d’altura (PPA) della classe Thaon di Revel. Sono le nuove navi della nostra Marina Militare progettate e costruite per svolgere più ruoli e funzioni, da quelle etimologicamente proprie del pattugliatore (ricognizione e controllo) e della fregata (protezione di flotta) ad altri compiti oggi propri del ruolo di una moderna istituzione, come quello di controllo e assistenza dei migranti in mare, il supporto in operazioni di protezione civile eccetera.
In questo modo è stato possibile realizzare importanti economie di scala della progettazione e della costruzione, senza contare che, grazie a questa impostazione, è necessario un minor quantitativo di unità. Considerando che il costo di una nave non è quello di un’auto, il risparmio è davvero significativo.
Un altro importante aspetto per la sostenibilità economica è l’utilizzo di componenti commerciali. Potrebbe, questa, essere una prassi non sempre praticabile in ambito nautico in quanto, in alcuni casi, la barca è un manufatto realizzato completamente in modo artigianale, compresi gli arredi e i piccoli accessori. Un aspetto che certamente contribuisce a rendere uniche e particolarmente affascinanti certe realizzazioni. Ma spesso non è così. Specialmente quando si costruisce in vetroresina, come accade nella maggior parte dei casi, l’utilizzo del componente commerciale – dalla bitta all’elettrodomestico – permette sia di risparmiare al momento dell’acquisto sia la possibilità di un futuro riutilizzo. Anche per l’arredamento si può – e si dovrebbe – incominciare a pensare all’utilizzo di componenti e intere parti di mobilio commerciali.
Certo è necessaria una progettazione ad hoc della barca. Ma non è impossibile, come dimostrano alcuni esempi riportati nelle immagini di questo articolo.
End of Life Boat
Per quanto riguarda il fine vita della barca, l’obiettivo è quello di ricavarne una risorsa e non un rifiuto inutilizzatile e costosissimo da smaltire, come quelli che purtroppo vediamo abbandonati in tante discariche abusive. Sarà quindi necessario costruire con materiali riciclabili o riutilizzabili, adottare componenti che possano essere reimpiegati. Prima di tutto, però, sarà necessario progettare e costruire in modo tale che tutti i componenti della barca, o quantomeno buona parte di essi, possano essere facilmente smontati.
Questo modo di pensare prende il nome di Design for Disassembly (DFD), ovvero progettare pensando a come poi smontare. Immaginate un po’ un Ikea al contrario! Se i mobili di questa azienda sono progettati e costruiti per essere facilmente (si spera) montati, il DFD funziona al contrario: non a caso è figlio del Design for Assembly (DFA) con cui, appunto, sono costruiti quei mobili. Come detto, entrambi sono modi di pensare che non determinano una procedura standard di approccio, ma indicano solamente una serie di tecniche specifiche da adottare, settore per settore, al fine di permettere, nel caso del DFD, lo smontaggio, la manutenzione e il ricondizionamento di un assieme e dei suoi sottoinsiemi.
Utilizzando questo approccio progettuale nella realizzazione di un manufatto, il tutto si traduce in termini di guadagno, sia di costi di produzione e di smaltimento sia di impatto ambientale. In ogni caso, nel DFD bisogna essere in grado di ripercorrere il ciclo di vita del prodotto anche a ritroso, partendo cioè dal momento in cui ogni singolo componente andrà riciclato o smaltito, in modo da scegliere il materiale migliore con cui costruirlo.
Bisogna poi prevedere in fase di progettazione una serie di riutilizzi del singolo componente/materiale prima del suo definitivo smaltimento. In questo quadro, un ulteriore aspetto essenziale del DFD è il calcolo della “profondità” di smontaggio, ossia il numero complessivo delle fasi sequenziali che ne fanno parte. Si tratta, evidentemente, di un indicatore molto sensibile per le tasche di un produttore. Certo, quando si parla di produzione su larga scala è più facile standardizzare un processo e quindi prevedere tutto il ciclo di vita del singolo componente. Basti pensare all’automotive, dove tutti i pezzi meccanici ed elettrici di un’automobile hanno un loro scopo di utilizzo, di reimpiego e di smaltimento. Ma quando si tratta di prodotti one-off, o comunque costruiti in tirature limitate e customizzate come succede nella nautica da diporto, il problema risulta molto più complesso.

L’opinione dell’esperto
Riguardo al DFD e, più in generale, alla barca sostenibile, abbiamo chiesto l’opinione dell’ingegnere Luca Carboni, una vita passata nel settore dell’automotive ma con la passione del mare che lo ha portato, negli anni, a utilizzare le sue competenze e la sua esperienza per affrontare il tema del fine vita delle imbarcazioni e studiare come diminuire il loro impatto ambientale.
Per una nautica realmente sostenibile è fondamentale pensare anche al fine vita di una barca, affinché essa non diventi sono un rifiuto inutilizzabile e inquinante. Ciò è difficile perché i numeri sono piccoli: addirittura ci sono imbarcazioni che vengono prodotte in pochissimi esemplari, a volte uno solo. Cosa succede nel mondo dell’auto dove i numeri sono ben altri?
L’industria manifatturiera sta attraversando una profonda modificazione delle sue attività che trovano riscontro nella produzione dei beni ad essa riferibili e nella conseguente struttura aziendale e di filiera. Esemplificativo di questo cambiamento epocale è l’automotive, settore che vede i suoi prodotti caratterizzati da una crescente elettrificazione e da una modificazione percentuale dei materiali di cui sono costituiti.
Le normative sempre più stringenti in termini di emissioni e di gestione della fase di fine vita dei veicoli hanno determinato una rimodulazione del prodotto, oggi caratterizzato da una progettazione in ottica riuso e riciclo dei componenti e dei materiali. Parliamo di greendesign e del cosiddetto Design for Disassembly, il cui fine è quello di facilitare il riuso/riciclo e ridurre le sostanze inquinanti dei veicoli a fine vita per minimizzare i costi di smaltimento.
Come dicevo, le problematiche sono ulteriormente aumentate con l’introduzione sul mercato di veicoli elettrificati e la conseguente presenza di componenti – quali le batterie – che devono essere riciclati, laddove non possono più essere utilizzati. Per dare un’idea delle dimensioni del problema, gli autoveicoli a fine vita in Europa sono circa 12 milioni l’anno, di cui 1.5 soltanto in Italia. A fronte di questa situazione, è possibile ribaltare quello che è un problema e considerare, invece, l’autoveicolo come una potenziale fonte di reddito, in particolare per quel che riguarda il riutilizzo delle parti di ricambio e il riciclaggio dei materiali.
Dall’auto passiamo alla barca. Che cosa accade?
Le esperienze che si stanno accumulando nell’automotive possono essere senz’altro riportate alla nautica da diporto, in quanto industria manifatturiera, seppur con i dovuti aggiustamenti legati ai minori numeri di produzione. Inoltre, va pensato un percorso per implementare la mobilità sostenibile in acqua. In particolare, attraverso il DFD, i costruttori di imbarcazioni realizzeranno componenti di più facile rimozione, agevolata ulteriormente dall’etichettatura delle parti stesse, che ne permette una più facile identificazione, così come per i materiali costituenti. Proprio come avviene nell’automotive. Nel DFD, i componenti impiegati, i metodi di connessione e assemblaggio sono poi progettati per consentire assemblaggi/riparazioni/montaggi/smontaggi quanto più semplici possibile. Ciò consente facilmente sia il riuso del medesimo componente per la medesima funzione sia, più in generale, il riciclo del componente o del materiale. Per far ciò è però importante, mutuando quanto viene fatto nell’automotive da decenni, ridurre e uniformare i materiali impiegati per la costruzione della barca al fine di consentire il recupero di intere parti costituite da materiale omogeneo, senza il bisogno di infinite operazioni di separazione. Ciò determina evidenti risparmi di costo e una migliore qualità del recuperato in ottica circular economy.
Qualche esempio pratico?
Il catamarano multifunzione – un concept che ho sviluppato qualche anno fa – interpreta secondo me tutte le caratteristiche di una barca sostenibile. Si tratta di un’unità lunga poco più di tre metri, progettata interamente secondo la DFD. Dunque, i suoi componenti sono smontabili intuitivamente per un loro riuso e riciclo nel caso di fine vita del manufatto e i metodi di connessione e assemblaggio sono stati studiati per consentire montaggi, smontaggi e riparazioni quanto più semplici possibile per abbattere i costi di manodopera. Anche i costi di produzione sono minimizzati grazie sia all’utilizzo di componenti commerciali sia alla limitazione di quelli progettati e costruiti espressamente.
Allo stesso tempo, il prodotto è caratterizzato da una grande flessibilità produttiva, intesa come possibilità di produrre manufatti “custom made” pur massimizzando il numero di componenti di reperibilità commerciale inseriti a distinta base. Infine, è un catamarano multifunzione, ovvero ha molteplici possibilità di utilizzo tra catamarano a motore (anche elettrico a zero emissioni), catamarano a vela, windsurf, campeggio nautico. Ad esempio, se un momento prima avevo un catamarano con propulsione fuoribordo, con rapidità e semplicità posso smontare i galleggianti laterali e avere a disposizione due windsurf. Sempre nell’ottica di pensare a una barca sostenibile a 360°, la scelta delle dimensioni della piattaforma è stata fatta sulla base dell’esigenza di trasportabilità, in modo che sia possibile utilizzare un carrello stradale senza operazioni di smontaggio.
Oltre a questa, c’è qualche barca realmente sostenibile in produzione?
Sicuramente Gogo, una barchetta elettrica prodotta da Gardasolar, pluripremiata start-up del Parco Tecnologico di Rovereto e frutto di un progetto di Davide Tagliapietra, ingegnere aerospaziale componente del team di America’s Cup Luna Rossa Prada Pirelli. Per ottenere un mezzo sostenibile, riciclabile e anche silenzioso, in grado di navigare nel rispetto dell’ambiente, l’ingegnere Tagliapietra ha disegnato un trimarano di 3.85 metri di lunghezza e 2 di larghezza che può trasportare da 4 a 6 passeggeri, a seconda delle varianti.
È poi possibile ricaricare le batterie tramite pannelli fotovoltaici che svolgono anche la funzione di protezione dall’irraggiamento solare dei passeggeri. Con la copertura solare, oltre a incrementare l’autonomia di Gogo, è possibile anche creare un hub di interscambio energetico collegando tra loro i vari Gogo ormeggiati in banchina. La decisione di optare per un multiscafo ha consentito di assicurare stabilità ed efficienza, minimizzando l’onda durante la navigazione che, date le dimensioni, è ovviamente limitata alle acque interne e alle aree marine protette. Inoltre, la barca è autovuotante grazie agli scarichi sotto i sedili.
Per quanto riguarda il concetto di sostenibilità generale, la costruzione in polietilene multistrato riciclabile impatta sia sul fine vita sia sulla riduzione delle emissioni e dell’energia necessaria in fase di costruzione. Non ultimo, Gogo è anche un natante facilmente governabile, con un joystick che permette la manovra e il controllo in maniera intuitiva e un sistema GPS/GSM che ne consente la costante localizzazione, particolarmente utile nel caso di noleggio.
Costruzione in polietilene multistrato riciclabile: di cosa si tratta?
Il polietilene è il più semplice dei polimeri sintetici ed è la più comune fra le materie plastiche. Inoltre è riciclabile al 100{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8}. Per ottenere una sufficiente rigidità e robustezza del materiale, il polietilene di Gogo è stato realizzato con più strati, da cui appunto multistrato. Si tratta di due spessori di polietilene, tra i quali è interposto uno strato interno additivato, che ne determina una espansione di circa 5 volte lo spessore nominale. In pratica questo strato interno diventa l’anima espansa del multistrato che aumenta la rigidezza del pezzo finale.

Trattandosi di materiale omogeneo, anche il polietilene multistrato, come quello semplice, può essere triturato a fine vita del manufatto, così da poter essere oggetto di riciclo secondario dal quale ricavare, a seconda delle caratteristiche meccaniche che vengono richieste, per esempio vasi per fiori, barriere stradali eccetera. Utilizzato per la costruzione di una barca, il polietilene multistrato consente diversi vantaggi: da una parte assicura la necessaria robustezza dello scafo che, tra l’altro, non necessita di manutenzione; dall’altra è un materiale interamente riciclabile che consente di risparmiare sulle materie prime e sull’energia utilizzata per la realizzazione del manufatto, stante il fatto che quando si impiega plastica riciclata al posto della nuova il consumo energetico si riduce di oltre il 50{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8}.<p style=”text-align: center;”></p>




