Conoscere il mare, tutti insieme appassionatamente
L’unione fa la forza, ma in alcuni casi anche la debolezza. È questo il principio portante di un banco di pesce, soluzione che la natura ha sviluppato per la conservazione delle specie e che, per chi ha la possibilità di mettere la testa sott’acqua, è uno dei più affascinanti spettacoli del mare.
Che siano uno sparuto gruppo di poche unità, magari di mole imponente, o una mostruosa massa di qualche decina di migliaia di esemplari capace di avvolgerci e stravolgerci come una nuvola vivente, i banchi di pesce sono sempre uno degli spettacoli più affascinanti che il mondo sommerso possa offrirci. Il fenomeno è decisamente più incredibile nelle sue espressioni macroscopiche, quando migliaia di individui della stessa taglia si muovono all’unisono nuotando a pochi centimetri l’uno dall’altro, compattandosi o allargandosi, o prendendo forme strane e in continua trasformazione a seconda del grado di allarme.
Ed è dall’osservazione di queste masse, più che da quella di gruppi formati da pochi esemplari o tutt’al più da poche decine di grandi predatori, che nasce spontanea una domanda: ma chi, fra tante migliaia di pesci decide per primo di muoversi a destra o a sinistra, di fermarsi, raggrupparsi, fuggire, esplodere o compattarsi coinvolgendo poi in un nanosecondo l’intero banco? Come fa la decisione di uno a trasmettersi a migliaia di individui in uno spazio di tempo quasi impercettibile? Il quesito è affascinante ma i biologi non sono ancora in grado di darci una risposta soddisfacente, tuttavia non possiamo che pensare che il movimento del banco sia guidato da un istinto comune, evolutosi a difesa di una precisa strategia comportamentale grazie a specifici stimoli sensoriali propri di ogni individuo. Stimoli che appartengono a un preciso codice genetico e che cominciano a svilupparsi fin dal primo stadio post larvale, quando già si possono notare aggregazioni embrionali del futuro banco.
Nel comportamento di un banco di pesci, studi del Woods Hole Oceanographic Institute affidano un ruolo importante, anche se non determinante, alla vista. Sembra che molte delle specie che sono solite unirsi in grandi gruppi abbiano infatti una capacità visiva confusa e piuttosto miope, anche se sufficiente ad aiutarle nel mantenere la propria posizione all’interno del banco, compito in cui ancor più determinante risulta però l’aiuto della linea laterale, il famoso sesto senso con cui un pesce può, attraverso specifiche cellule, rilevare vibrazioni anomale e percepire onde di pressione generate da un qualunque movimento. Sia quel che sia, quel che è certo è che il banco, come dimostrano le migliaia di specie che lo hanno adottato con successo, è una forma vincente di aggregazione animale. Tanto che a sceglierlo sono sia pesci piuttosto primitivi come aringhe, sardine, cefali e via dicendo, sia i perciformi più evoluti e a noi più vicini come dentici, ricciole, cernie. Anzi per essere più precisi, la scienza ufficiale afferma che circa il 50{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} dei pesci oggi esistenti passa in banco una buona parte della propria vita, mentre per il 25{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} il banco è la ragione unica della propria esistenza.
Un miracolo di sincronia
Guidato da una precisa informazione genetica, che causa comportamenti simili in tutti i mari del mondo, il banco è un sistema di difesa/offesa legato ai principi stessi del fenomeno evolutivo, un’organizzazione intuitiva a cui, a ben vedere, si è ispirata con successo anche la specie umana. Ma mentre nel nostro caso, o in quello dei mammiferi terrestri a noi più vicini, i comportamenti sociali e le gerarchie sono precisi e ben delineati, poco si sa di quel che succede all’interno di un banco di pesce, un’aggregazione che può arrivare a contare milioni di individui, tutti – salvo qualche eccezione – della stessa taglia.
Le difficoltà di studiare “anatomicamente” un banco di pesce e le relazioni che intercorrono fra le sue “cellule” sono però evidenti. Non è uno studio che può avvenire in laboratorio e sicuramente non è un’analisi facilmente conducibile in acqua libera senza alterare il comportamento del banco stesso, tanto che in proposito sono sicuramente più le domande che tali restano, che le risposte soddisfacenti. E anche in questo caso, pur non avendo il crisma dell’ufficialità, le osservazioni di subacquei e pescatori possono offrire spunti interessanti.
Dal punto di vista biologico, un banco di pesce è un’organizzazione sociale anonima al cui interno decine, centinaia, o migliaia di individui condividono un comportamento strettamente coordinato e stereotipato che a volte può offrire spettacoli straordinari. Quando un muro di pesce si muove in perfetta sincronia di movimenti quasi fosse un unico immenso individuo, con scatti e cambi di direzione a volte repentini ma sempre perfettamente sincroni, si resta veramente senza parole. Ma ancor più affascinante è osservare le strategie di attacco dei predatori e quelle di difesa delle prede, quasi un videogioco tridimensionale che però risponde unicamente alle leggi della sopravvivenza.
Politicamente, il banco è invece una forma perfetta di comunismo animale. Nella maggior parte delle specie, all’interno del gruppo non c’è un vero e proprio leader e quando il banco nuota e si muove con scarti improvvisi da destra a sinistra, è il primo pesce del gruppo a ricoprire automaticamente quel ruolo. Ma la condivisione del “tutti per uno, uno per tutti” può andare ben oltre, poiché le strategie difensive impiegate a volte da un banco di fronte ad un predatore ammettono il sacrificio di alcuni per il bene di tutti.
E quando i pesci si “appallano”, se da un lato è nell’illusione di offrire l’immagine di un unico grande esemplare, intimorendo così il predatore, dall’altro è nella consapevolezza che gli esemplari più esterni della formazione saranno destinati a soddisfare la fame del predone di turno, evitando in ogni caso la decimazione della famiglia. Per questo in situazioni in cui la reazione del banco di fronte a un pericolo può essere determinante, tutti i componenti del gruppo devono essere in grado di avere le stesse reazioni a livello di spostamento e velocità di nuoto, il che con poche eccezioni porta invariabilmente alla formazione di banchi omogenei per taglia e quindi per età.
La macchina strategica
Fra i vari vantaggi offerti dalla vita in banco va inclusa anche la maggior facilità di individuare la disponibilità di cibo, poiché migliaia di individui si muovono in un grande spazio con migliaia di occhi, quindi con una grande capacità d’ispezione, ma dove la scoperta di uno va poi a beneficio di tutti. Le esigenze di alimentazione sono però anche fra le poche situazioni che causano la disomogeneità del branco: simile a un “rompete le righe” quando pesci erbivori e grufolatori come salpe e cefali si buttano disordinatamente sul fondo brucando come un gregge di pecore, o a un posizionamento strategico quando a muoversi sono invece grandi predatori come dentici, ricciole e tonni.
La strategia più spettacolare è però quella che avviene applicata dal banco in fase difensiva, già concettualmente raffinata e racchiusa nel concetto: se siamo in 10.000, perché mai questo dentice dovrebbe mangiare proprio me?
In termini più pratici la difesa del banco, che numericamente può arrivare a diverse decine di migliaia di individui, offre altre e più dinamiche strategie. Come abbiamo detto qualche riga addietro, singoli pesci possono infatti ammassarsi a palla in maniera tanto compatta da apparire un solo grande individuo in grado di spaventare il predatore, ma la palla può anche aprirsi in una frazione di secondo di fronte all’attacco del predatore, per richiudersi subito dopo alle sue spalle in quello che viene conosciuto come “effetto fontana”.
Non manca neanche l’effetto bomba, nel quale la palla compatta di pesci esplode in ogni direzione esattamente come fossero schegge di un ordigno bellico in grado di disorientare totalmente il sistema sensoriale del predatore. In altre parole un giochino a base di vita e di morte con vincitori necessariamente alterni, perché se ogni tanto il predatore non facesse centro morirebbe di fame.
Ecco allora da parte dei predatori le contro-strategie, come quella di cacciare quando il sole è basso (alba e tramonto, come ben sanno i pescatori, sono le ore di maggior attività) e la visibilità li favorisce, o quella di puntare una singola preda, meglio se in difficoltà, ma ancor di più quella più devastante che punta sulla forza pura, ovvero quella che pone banco contro banco, l’un contro l’altro armati.
Ecco allora i banchi di grossi pelagici come tonni, ricciole, e barracuda schierati nei pressi nel banco-bersaglio, pronti a partire con attacchi missilistici a ripetizione che disperdono le vittime designate rendendole indifese.
Di certo il tonno che si rimpinza su un banco di sardine non fa lo stesso cruento effetto di un leone che sbrana una gazzella, ma la protagonista di entrambe le situazioni è sempre la stessa: la fame. E che il banco, o il branco nel caso dei leoni, come forma strategica di offesa-difesa sia una soluzione vincente, lo dimostra anche il fatto che ad adottarlo in mare come forma di aggregazione siano anche i mammiferi marini, in primis i delfini sulla cui intelligenza non ci sono dubbi.
Soluzione vincente
Un ulteriore e non secondario vantaggio del banco è quello di un considerevole risparmio energetico nelle lunghe migrazioni, perché in un grande gruppo in movimento i pesci di prima linea aprono un canale idrodinamico che consente una fatica molto minore agli esemplari che seguono. In questo sfruttamento reciproco si può notare anche il perfetto adattamento del banco alle esigenze del singolo.
I pesci non nuotano infatti esattamente uno dietro l’altro, perché in questo modo al contrario di quel che potrebbe apparire a prima vista, si troverebbero contro le turbolenze generate dalla coda del pesce che precede. Il posizionamento idrodinamico di ogni singolo esemplare è in realtà molto più scientifico, ponendosi in linea leggermente diagonale in modo da sfruttare al meglio i vortici creati del nuoto dell’esemplare che precede. Come detto, un vantaggio di questo tipo viene particolarmente sfruttato nelle grandi migrazioni, fenomeno a cui sono soggette molte specie di pesci, tonni in primis, e nel quale la stessa conformazione del banco assume un assetto di forma idrodinamicamente vantaggioso per il nuoto, ovvero normalmente a cuneo.
All’interno di un banco non ci sono né vittime né predatori e ogni componente condivide le esigenze primarie del gruppo che, in omaggio a quanto sopra detto, sono soprattutto quelle di mangiare e quelle di non essere mangiati. In altre parole il banco è una forma di strategia comportamentale dalla cui organizzazione può dipendere il successo o meno della specie, tanto più che soddisfa un’altra esigenza primaria del mondo animale, quella della riproduzione, ma qui gli adattamenti possono variare da specie a specie, pur confidando nella massa e nella casualità. Il che, per spiegarci meglio, vuol dire che all’interno di un banco non ci sono evidenti dimorfismi sessuali e che, al momento giusto, maschi e femmine rilasciano i propri prodotti genetici che, data la massa vivente e il supporto comunicativo dell’acqua, non avranno difficoltà a unirsi garantendo l’unione dei gameti. Il banco mostra invece tutta la sua debolezza di fronte a un nemico non previsto da madre natura: l’uomo. Oggi oltre l’80{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} delle risorse ittiche è sovrasfruttato da flotte pescherecce di gran lunga superiori a quanto sostenibile e, per quanto i governi dei vari Paesi cerchino di contenere questi esuberi, il trend porterà presto a una situazione irreversibile. Più si impoverisce la risorsa più aumentano le tecnologie di ricerca e di sfruttamento e oggi gli strumenti sempre più sofisticati messi al servizio della pesca industriale, che hanno come principale bersaglio i grandi banchi di pesce, hanno portato a una seria minaccia d’estinzione molte specie di grande interesse commerciale, soprattutto tonni e merluzzi. Senza contare che questi esuberi di pesca, non lasciando spazi di crescita, hanno creato anche una forte riduzione di taglia per le singole specie e non ci fa certo onore che l’Italia sia uno dei Paesi che vengono più frequentemente multati dall’Unione Europea per aver ecceduto le proprie quote di pesca.
Banco o branco?
Per quanto il mestiere di giornalista imponga il dovuto rispetto linguistico, confesso di aver faticato non poco negli anni ad adattarmi a un vizio terminologico comune a tutto il nostro mondo di pescatori. Perché, come recitano le regole della nostra lingua, definire branco un gruppo di pesci è errato, essendo questo un termine generico che nello specifico diventa invece stormo, mandria, gregge o appunto “banco” quando si tratta di pesci.
Essendo la lingua una convenzione viva, elastica, e mutante nel tempo (altrimenti parleremmo ancora come ai tempi di Dante, né potremmo mai discutere di informatica), potrebbe aprirsi un dilemma fra il rispetto delle regole e il parlare comune, che diventa per la sua incisività regola prorompente della lingua d’ogni giorno. Che fare? Ognuno si regoli come crede, ma noi abbiamo deciso di prendere la più salomonica delle decisioni, quindi parlando di pesci continueremo a scrivere “banco” ma in mare, fra amici e pescatori, almeno per il momento, continueremo a parlare di “branco”.
Con l’occhio del pescatore
Alcune tecniche della pesca di superficie traggono decisamente vantaggio dall’individuazione di un banco di pesce, sia esso sul fondo o in superficie come nel caso delle mangianze. In quest’ultimo caso il discorso è diretto prevalentemente agli appassionati di spinning o di big game, che si avvalgono non solo di elevati tuna-tower da cui è possibile spaziare con la vista lungo ampi tratti mare, ma anche di una particolare funzione degli strumenti di cui ormai dispongono tutti i principali brand della strumentistica elettronica.
Chiamata in molti modi (Bird Mode, tanto per dirne uno) è in realtà una funzione del radar in grado di individuare a distanza eventuali concentrazioni di gabbiani sulla superficie del mare. Il banco di mangianza è in questo caso l’elemento sacrificale: la massa dei piccoli pesci è infatti spinta in superficie dall’incalzare dei sottostanti predatori, ma così finisce preda dei gabbiani che banchettano senza pietà. Spesso l’arrivo del fisherman, che ovviamente mira solo ai predatori, diventa così una salvezza per il banco, che sentitamente ringrazia.
<p style=”text-align: center;”></p>




