Osservazioni in Mediterraneo: squali in vista
Nonostante il forte declino e le continue minacce, nel mare nostrum ci sono siti dove è possibile osservarli e sviluppare una forma di turismo sostenibile a essi legato.
Parlando di squali, il Mediterraneo non rappresenta certo un mare rassicurante per la loro sopravvivenza.
Delle quasi 50 specie presenti, molte sono a rischio estinzione e per alcune non ci sono dati sufficienti a valutarne la presenza. Stanno scomparendo repentinamente diverse specie, un tempo diffuse, come lo squalo angelo. Responsabili di ciò sono le attività umane, condotte in maniera sconsiderata ed illegale, a partire dalla pesca. Soprattutto nei Paesi costieri nordafricani, molte catture sfuggono ai controlli o non vengono dichiarate, ignorando divieti internazionali di pesca e commercio su specie che, ancora oggi, entrano comunemente nei carnieri di molti pescatori.
Come avviene, ad esempio, nel golfo di Gabès, in Tunisia, che ospita, insieme al vicino canale di Sicilia, la più alta diversità di squali e razze del Mediterraneo.
Talvolta, vengono compiute stragi in una sola battuta, con l’uccisione contemporanea di giovani immaturi e femmine gravide, portando così al collasso intere popolazioni in determinate aree.
Secondo un recente report del WWF, oltre la metà del pesce spada venduto è effettivamente squalo, frode ittica comune anche in Italia e in Grecia, mentre i primi Paesi importatori di carne di squalo al mondo sono Spagna e Italia.
Non vanno dimenticati gli impatti negativi di altre attività antropiche, come lo sfruttamento di zone per attività industriali, commerciali e turistiche, l’inquinamento riversato da varie fonti, i cambiamenti climatici e marini indotti.
Per questi motivi, è sempre più difficile scorgere pinne che nuotano liberamente, in superficie o in immersione. Quando avviene, si tratta di avvistamenti sporadici, fugaci e talvolta preoccupanti.
Le verdesche, ad esempio, appaiono vicino a riva o entrano spaesate nei porti sempre più spesso, nonostante si tratti di una specie d’alto mare, palesemente lontana dal proprio ambiente naturale. Al cambio di stagione fra inverno e primavera, in alcuni tratti costieri è possibile avvistare il cetorino, il secondo squalo più grande al mondo, mentre nuota tranquillo in superficie con la bocca spalancata per nutrirsi. Ma la sua presenza non è costante, né assicurata.
Ci sono invece alcuni siti, in Mediterraneo, dove è possibile osservare gli squali con una certa regolarità. Una specie, in particolare: lo squalo grigio Carcharhinus plumbeus, pure esso classificato in pericolo di estinzione in Mediterraneo.

Nelle acque intorno all’isolotto di Lampione, nell’arcipelago delle Pelagie, tra luglio e settembre è possibile osservarli sotto costa, mentre nuotano radunandosi in gruppi anche di una dozzina di esemplari. Circostanza che ha attratto un turismo subacqueo in costante crescita.
Per studiare meglio questo fenomeno e la sua compatibilità con le attività umane (in particolare turismo sub e nautica da diporto), nel maggio 2019 il gruppo di ricerca in Ecologia Marina e Conservazione del Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare dell’Università di Palermo, composto da Marco Milazzo, Carlo Cattano, Gabriele Turco e Manfredi Di Lorenzo, ha ottenuto un finanziamento per un progetto di ricerca di 12 mesi dalla French Facility for Global Environment e dalla Fondazione Principe Alberto II di Monaco, selezionato nell’ambito del bando MedPAN.
Il progetto pilota mira a creare un codice di condotta per adottare comportamenti responsabili, che riducano al minimo le interazioni negative fra uomini e squali, promuovendo azioni di gestione e conservazione sostenibili. Si stima che questa popolazione si componga di una quarantina di esemplari, forse provenienti dal golfo di Gabès, dove gli squali grigi si radunano e la pesca incontrollata li sta drasticamente riducendo.
Ma l’assembramento di squali che sta destando maggior stupore in Mediterraneo, è sicuramente quello che, nel periodo invernale, si verifica presso le centrali elettriche delle coste israeliane intorno a Tel Aviv. Davanti all’impianto di Hadera, ma anche di Ashdod e Ashkelon, si radunano squali grigi e bruni (Carcharhinus obscurus) a centinaia, attratti dalle acque calde di scarico delle centrali. Nei bassi fondali sabbiosi circostanti, gli squali (ma anche varie specie di raiformi ed altre in cerca di cibo) nuotano senza timore, talvolta formando ampi gruppi, al punto da generare un turismo sempre più interessato a vedere (o nuotare con) loro a pochi metri dalla riva. Autorità e scienziati, nello sviluppare studi approfonditi sul caso, stanno cercando il modo di rendere sostenibile e sicura questa pratica, affinché possa trasformarsi in un’opportunità durevole, che non rechi danni agli squali e all’uomo.

Altro caso oggetto di studio è quello degli squali grigi che si radunano nella baia di Gökova, nella Turchia sud occidentale. In una piccola insenatura, chiamata Boncuk Cove, tra la primavera e l’estate, dozzine di esemplari stazionano in acque basse, pare a scopi riproduttivi. Lo scoprirono le ricercatrici italiane Eleonora De Sabata (apprezzata collaboratrice della nostra rivista) e Simona Clò, durante un campagna di ricerca in loco fra il 2001 e il 2004, quando individuarono un centinaio di esemplari, in prevalenza femmine mature, riuscendo altresì ad osservare un parto.

Le successive indagini scientifiche, tuttora in corso, hanno confermato la zona come una “nursery area”, rilevando purtroppo molti piccoli e giovani esemplari catturati accidentalmente nelle reti. Perciò la specie è stata dichiarata protetta in Turchia nel 2010 e la baia di Gökova interdetta alla pesca, anche se, nonostante la vigilanza, continuano a operare pescatori di frodo.
Leggi severe, aree protette, limitazioni alla pesca e adeguati controlli si dimostrano essenziali per la sopravvivenza degli squali e, al contempo, per poterli osservare in natura. Avendo chiaro il concetto che “vale più uno squalo vivo che morto”, come dimostra il valore aggiunto prodotto dal turismo subacqueo dedicato agli squali in varie zone del mondo.

nei fondali di Lampione
Interviste
Aviad Scheinin – Ricercatore della Morris Kahn Marine Research Station, Dipartimento di Biologia Marina – Università di Haifa.
Da quanto tempo seguite l’aggregazione degli squali ad Hadera?
Stiamo portando avanti la ricerca dal 2016. Stimiamo che vi siano oltre un centinaio di squali bruni e più di trenta squali grigi.
Ci sono altri siti dove gli squali si aggregano?
Sì, ad Ashdod, più a Sud, intorno agli scarichi caldi della centrale elettrica, alle gabbie per gli allevamenti marini e alle piattaforme per l’estrazione del gas. Probabilmente esistono siti dove gli squali si aggregano naturalmente, che devono ancora essere scoperti.
Qual è l’impatto della pesca sugli squali?
Israele è l’ultima oasi per gli squali nel Mediterraneo, in quanto, insieme alle razze, sono protetti legalmente e non possono essere pescati, importati o venduti nei mercati, senza deroghe.
Durante il periodo estivo dove vanno? Avete tracciato le loro migrazioni?
Per lo squalo bruno ancora non lo sappiamo. Per lo squalo grigio, un esemplare taggato ha nuotato verso Cipro e un altro verso l’Egitto. Ma, per avere un dato più attendibile, contiamo di piazzare più tag satellitari sugli squali, nel corso delle prossime stagioni di ricerca, sperando che ci diano un quadro più completo dei loro spostamenti.
Alan Vahit – Ricercatore della Mediterranean Conservation Society – Marine Conservation in Turchia.
Perché gli squali grigi si aggregano a Gokova Bay?
I dati raccolti in 5 anni mostrano che la riproduzione è una delle ragioni principali. Inoltre, molti piccoli frequentano l’area. Tra primavera ed estate, si possono osservare almeno 25 esemplari.
Ci sono altre aree di aggregazione?
Alcune ricerche indicano Iskenderun Bay, vicino al confine siriano, ma considerando altre specie di squali, riteniamo esistono altre zone di riproduzione e crescita in Turchia.
Monitorate altre specie in pericolo?
Nella baia di Gökova, abbiamo incontrato la foca monaca, tartarughe marine, lontre di mare, cernie brune e tonni pinna blu. Tutte specie in pericolo, secondo la Lista Rossa IUCN.
Qual è l’impatto antropico sugli squali? Ci sono zone di protezione dedicate?
A Gökova ci sono sei baie vietate alla pesca (NFZ) e 268 chilometri quadrati interdetti a reti strascico e circuizione. Le NFZ, come fossero zone di protezione, favoriscono la presenza di molte specie a rischio in Mediterraneo. Boncuk Cove, nel 2012 è stato dichiarato NFZ e sito protetto per gli squali grigi. Per ora l’unico.
Sono creature timide e la presenza umana può farle fuggire subito. Per questo, è necessario creare aree protette, ma le più efficaci sono quelle con divieto di pesca e di accesso.
È possibile un turismo legato all’osservazione degli squali?
È difficile, perchè Boncuk Cove non è agevole da raggiungere, anche se vicino a luoghi turistici. Nella baia esiste solo un piccolo campeggio. Ci sono molte conflittualità nel rendere fruibili questi siti, non essendo possibile la convivenza con attività umane di qualsiasi tipo.
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