Dall’aragosta alla lobster boat, storia e tradizioni di pesca
Dall’aragosta alla lobster boat
Nel nostro immaginario collettivo il consumo di astici e di aragoste è associato al lusso. Sulla costa orientale degli Stati Uniti e del Canada, invece, questi crostacei rappresentano una risorsa più comune, che viene gestita facendo attenzione agli equilibri ecologici. Le imbarcazioni che si dedicano alla loro pesca hanno influenzato il disegno di un tipo di yacht, diffuso oggi anche in Mediterraneo.
Quando parliamo genericamente di “aragoste” spesso attribuiamo erroneamente questa definizione anche agli astici, che sono classificati in una diversa famiglia zoologica. Per fare chiarezza, gli astici appartengono ai nefròpidi, mentre le aragoste ai palinuri. Ambedue vivono su fondali rocciosi, a profondità che vanno dai 15 ai 150 metri, ma l’aragosta (Palinurus Elephas) che viene pescata nell’Atlantico orientale e in Mediterraneo è facilmente distinguibile perché manca delle grosse chele, tipiche degli astici, mentre presenta due lunghe antenne ripiegate all’indietro di colore giallo con striature rosse. Il corpo, che è protetto da una serie di spine difensive, è di un colore che va dal rosso al viola brunastro.
L’astice europeo (Homarus Gammarus) è presente nelle zone orientali dell’Oceano Atlantico, nel mar Mediterraneo e nel mar Nero. Presenta un carapace liscio di colore marrone-bluastro (che diventa rosso vivo solo dopo la cottura), due coppie di antenne, di cui una più corta. La sua caratteristica più appariscente è rappresentata da due grosse chele che hanno una struttura diversa: una più massiccia e pesante, che serve a rompere il guscio delle prede, mentre quella più piccola e dentellata che è utilizzata per estrarle dal guscio.
L’astice americano (Gammarus Americanus), che prolifera nelle acque dell’America Settentrionale, è molto simile a quello europeo, a parte il colore marrone scuro della corazza, con chiazze gialle sul ventre.
Nei nostri mari l’aragosta ha sempre rappresentato una parte secondaria del pescato, dunque destinata alle tavole dei più abbienti o alle occasioni speciali, come il Natale.
Ecco perché in una stampa dell’Illustrazione Italiana del 1909, che mostra la Pescheria Vecchia di Genova sotto le feste natalizie, le ceste delle aragoste sono debitamente ritratte in primo piano. Da parte sua, a metà del ‘900, Enrico Bassano riporta così il punto di vista dei pescatori di Boccadasse nei confronti di questi crostacei: “Quando i pescatori salpano i tremagi o rovesciano le gabbie delle nasse sulla spiaggia, scaricandole delle aragoste che sono entrate nel traditore canestro attirate da un’esca e non hanno potuto più uscirne, bofonchiano ‘Roba da signori, questa; roba da ricchi’ e manifestano coi gesti e con le parole smozzicate fra le gengive un evidente rimprovero alla povera innocente.
Infatti il pescatore non mangia aragoste. Forse, a memoria d’uomo, in nessuna casa di Boccadasse si è mai gettato in pentola un’aragosta. Mangiano pesci crudi, fanno scorpacciate di moscardini teneri appena tolti dalla sacca della rete a strascico, una gritta larga quanto il palmo della mano la mettono fuori combattimento in due bocconi, una seppia giovane e bianca come una sposa la buttano giù senza nemmeno privarla del calamaio, ma l’aragosta dei ‘signori’, i pescatori non la mangiano né cruda né cotta” (1).
Visto che in Mediterraneo le aragoste sono sempre state presenti in quantità piuttosto limitate, non si è sviluppata una tipologia di imbarcazioni destinata specificatamente alla loro pesca. Per saperne di più su come viene praticata al giorno d’oggi, su YouTube (2) si può accedere a un filmato didattico2 che, ambientato nello stretto di Messina, mostra anche le fasi della costruzione delle nasse. Si può notare come queste, messe in mare in numero limitato, siano di notevoli dimensioni: alte più di un metro e mezzo, hanno una forma troncoconica e sono fatte per catturare, oltre alle aragoste e gli astici, anche gli scampi, i gronghi e le murene.
Va poi ricordato che, a limitarne la pesca, c’è il fatto che l’aragosta è diventata una specie protetta e la sua cattura è quindi regolamentata. Un tempo, il problema, da noi, era costituito soprattutto dal trasporto di questi crostacei, che dovevano raggiungere i mercati di consumo ancora vivi. A questo scopo vennero modificati diversi velieri e, a Camogli, è rimasto il ricordo della ragustea di Praìn Martini, che negli anni ’50 operava con nasse che venivano calate lungo le coste della Sardegna.
Una volta catturate, le aragoste venivano immesse nella stiva appositamente allagata a mezzo di fori praticati lungo l’opera viva (la parte sommersa dell’imbarcazione) per farle giungere ancora vive a Camogli. Il ricambio dell’acqua avveniva grazie alla corrente generata dallo stesso movimento del veliero (3). La stessa funzione aveva la chiatta aragostiera in cemento armato che è stata a lungo ormeggiata nel porto di Genova e che oggi, trasformata in unità di supporto per subacquei ed escursioni di whale-whatching, ha trovato posto nel Porto Antico accanto al galeone Neptune.

L’astice americano
La storia della pesca dell’astice americano, detto lobster, nasce con la scoperta del Nuovo Mondo: è infatti lungo le coste di quelli che sarebbero diventati il Canada e il New England che gli europei si imbatterono in una specie di astice che era presente in quantità massicce. Le tribù indiane che popolavano queste coste, come i Mic Mac, erano solite raccoglierne grandi quantità lungo le spiagge dopo che la marea – che qui raggiunge escursioni notevoli – si era ritirata, per utilizzarli come cibo, foraggio per gli animali e ornamento. Hilton McCully racconta che nel 1597, nel porto di Cibou (Sydney, Cape Breton), il contenuto di una piccola draga rovesciò a terra ben 140 astici (4).

Per i “Padri Pellegrini” del Mayflower che sbarcarono su quelle coste nel 1620, i crostacei che gremivano le spiagge a bassa marea, tanto da poter essere raccolti con i forconi, risultavano piuttosto repellenti e quindi non rappresentavano una valida risorsa alimentare. Si racconta infatti che, nonostante la fame e le malattie che li decimò durante i primi inverni passati sul suolo americano, si limitassero a raccoglierli solo per nutrirne il bestiame.

Il tipo di cottura degli astici praticata tradizionalmente dagli indiani ha lasciato le sue tracce nelle feste che d’estate si organizzano sulle spiagge del New England: si mettono in un pentolone degli strati di kelp (un’alga dalla consistenza gommosa), alternati ad astici e pannocchie di mais. La cottura avviene a vapore e quando questa è terminata si rovescia il pentolone sulla sabbia, mentre il contenuto si dispone sopra il letto di alghe. Crostacei e mais si consumano poi condendoli con il burro.

Se le coste del Nord America sono sempre state particolarmente ricche di astici, questi venivano comunque pescati con imbarcazioni di modeste dimensioni. A metà dell’800 si trattava di barche a remi, simili alle nostre lance o ai gozzi, mentre alla fine di quel secolo venne adottata la tipologia del friendship sloop, un veliero di circa 24 piedi di lunghezza, armato con una vela aurica e un fiocco.
Il Novecento vide poi l’adozione generalizzata del motore e la tipologia della lobster boat, pur con alcune differenziazioni regionali, si stabilizzò intorno ad uno scafo dalla lunghezza variabile tra i 26 e i 35 piedi. Questi esaurivano le loro navigazioni nel raggio di poche decine di miglia dal porto di armamento ed erano caratterizzati da una timoneria aperta sul lato destro, quello riservato al verricello, oltre che da un ampio spazio di lavoro, che terminava con una poppa a specchio. Lo spazio a poppa era necessario per le operazioni di alaggio e di recupero delle nasse e per stivare quelle necessarie alla pesca.
Le nasse, attrezzate con uno sportello laterale che ne consentiva una rapida ispezione, avevano una forma bassa e allungata che ne permetteva un facile accatastamento a bordo – una sopra l’altra – ed erano assicurate con un cavetto a una boa, destinata a rimanere in superficie. Visto che diversi pescatori operavano davanti alle stesse scogliere, per distinguere le proprie boe dalle altre, queste dovevano essere colorate con uno schema di forme e colori facilmente individuabile, che rappresentava una specie di codice cromatico.

Ancor oggi, al mattino, le lobster boat del Maine escono velocemente dal porto e passano la giornata a recuperare le nasse, affondate sottocosta.
L’equipaggio è di solito composto da due pescatori: mentre uno timona, l’altro, dopo aver portato a bordo la boa, ne passa il cavo su un verricello motorizzato, che issa la nassa a bordo. Qui il suo contenuto viene ispezionato: si selezionano gli astici adulti e si scartano quelli sopra e sotto misura. Per far ciò, il pescatore tiene legato alla cintura un calibro metallico che consente un’immediata misurazione della lunghezza del carapace. Poi, con un apposito strumento, le chele – che possono causare seri danni – vengono “bendate” per renderle inoffensive.

Infine, si introduce nella nassa dell’esca fresca e si ricala il tutto a mare. Nel corso della giornata l’operazione dell’avvistamento, del recupero e dell’ispezione viene ripetuta decine, se non centinaia di volte. Si lavora a poca distanza da coste strapiombanti, dove il vento e la violenza della marea fanno alzare un minaccioso mare incrociato che frange sugli scogli. Perché la giornata sia fruttuosa, è necessario che l’imbarcazione sia veloce nel passaggio tra una boa e l’altra e che possegga anche un’ottima tenuta di mare. Occorre, infine, che sia stabile e che la poppa disponga di un ampio spazio di lavoro. La pesante usura alla quale sono sottoposte queste imbarcazioni ne limita la vita operativa a non più di una quindicina d’anni.
Politiche di conservazione
Anche se oggi i lobster del Nord America non si pescano più in quantità massicce come un tempo, sono sempre presenti nei menu dei ristoranti costieri del New England e il loro prezzo, piuttosto contenuto, ne fa un piatto popolare tra i turisti. Visto che molti avventori non si sono mai trovati un simile crostaceo nel piatto, tutti vengono debitamente provvisti di un grembiulino di plastica per ridurre i rischi di schizzi durante le operazioni di spezzatura delle chele e di una tovaglietta di carta che illustra le varie fasi della corretta degustazione.
Ai consumatori che fanno notare che nello Stato del Maine i lobster sono più cari e più piccoli che nel vicino Massachusetts, Marianne LaCroix, direttore esecutivo del Maine Lobster Council, fa notare che questo è dovuto al fatto che a partire dalla metà dell’800 il Maine ha adottato delle severe misure di conservazione delle sue risorse. “Oggi queste includono la proibizione della pesca con draghe (sono permesse solo le nasse) e limiti dimensionali, minimi e massimi. Il Maine ha così adottato un calibro a doppia misurazione, il cui uso protegge sia gli esemplari giovani sia quelli più adulti, che hanno maggiori potenzialità riproduttive.
LaCroix aggiunge: “Il Massachusetts protegge invece solo i lobster giovani e non prevede un limite massimo per le dimensioni. Visto che quelli di maggiori dimensioni producono esponenzialmente più uova degli altri, il nostro è un’importante strumento di conservazione.” Qual è dunque il limite massimo nel Maine? “Cinque pollici di lunghezza del carapace” risponde LaCroix “oppure un peso di 5 libbre. I lobster che si trovano nel Maine sono quindi più piccoli ma gli sforzi di conservazione sembrano davvero funzionare perché noi abbiamo un record di pescato negli ultimi anni. Ad esempio, nel 2011 nel Maine sono stati pescati 104 milioni di libbre di lobster, mentre il Massachusetts si è fermato a poco più di 13 milioni” (5).

Le lobster boat e lo yachting
Le linee slanciate delle lobster boat da lavoro, ben diverse da quelle che hanno fatto guadagnare a certe imbarcazioni l’epiteto di “ferri da stiro”, si prestano ad essere adottate dai motoscafi mediterranei, che possono così offrire agli armatori ampi prendisole all’aperto nella zona di poppa. In tal modo negli ultimi anni anche da noi la tipologia delle lobster boat ha incontrato un certo successo e alcune realizzazioni hanno raggiunto dimensioni notevoli.

Visto che le sovrastrutture di queste imbarcazioni sono ridotte al minimo, in qualche caso una parte degli spazi poppieri è stata riservata alla cabina dell’equipaggio.
Tra le prime realizzazioni italiane va ricordato “Leontine”, scafo di 18,35 metri costruito in legno nel 1993 a Genova-Prà da Luigi Mostes, discendente di una famiglia di maestri d’ascia (6).

Nelle sue stesse parole, i motivi di questa scelta tecnico-stilistica: “Ho visitato la costa del New Jersey, fino ad Atlantic City. Le loro lobster boat sono state scoperte a partire dagli anni ’30 dai ricchi newyorchesi che si erano allontanati dalla metropoli durante un’epidemia di tubercolosi che aveva colpito la città: veloci e stabili, si sono affermate anche per le loro linee eleganti”.
NOTE:
1) Enrico Bassano: Sugo di mare, 1955
2) YouTube: La pesca nello stretto.
Le aragoste.
3) Camogli, Ag.Bozzo, Immagine 839
4) Hilton McCully Pictou Island, 1995.
5) www.bonappetit.com/trends/article
Why do big lobsters cost more
in Maine than in Massachusetts ?
6) Giovanni Panella: Mostes, dal lago
al mare, Yacht Digest n°92