Il film sul padre ritrovato di Tommaso Romanelli di Corrado Ricci il 17 Dic 2024 Con il film “No more trouble – Cosa rimane di una tempesta” Tommaso Romanelli racconta il padre scomparso in Atlantico. Tutto grazie ai video delle sue navigazioni, alletestimonianze dei protagonisti della tragedia e alla ricostruzione del suo mini American Express Un viaggio nel tempo e nel vuoto mosso dal bisogno di conoscere il padre. Un’operazione alimentata dalla passione per il cinema che, in parallelo alle riprese, si è saldata al desiderio di avvicinarsi al mare, di praticare la vela. Così Tommaso Romanelli in “No more trouble – Cosa rimane di una tempesta”, il docufilm girato per scoprire e raccontare la storia del papà Andrea, l’ingegnere visionario scomparso, poco più che trentenne, nell’Atlantico. Andrea Romanelli I fatti Accadde il 3 aprile nel 1998, nella scuffia di Fila, l’Imoca 60 di Giovanni Soldini e da lui stesso concepito in tandem con Jean Marie Finot. Fu inghiottito dalle onde generate dal vento forza 9 durante il tentativo di record nella traversata da New York-Cape Lizard. Una narrazione struggente, garbata e mai retorica, capace di innescare profonde emozioni. Una ricerca personale che – stimolata dal ritrovamento di pellicole d’epoca, attraverso le interviste ai protagonisti della tragedia e il linguaggio del cinema – ha segnato l’esordio artistico di Tommaso. Aveva quattro anni quando è rimasto orfano. Ora ne ha 30. Il proposito del film – prodotto da Teorema Studio e Indingo – nasce quattro anni fa. Racconta, riavvolgendo il nastro dei vhf trovati casualmente in casa: “Nel momento in cui ho incrociato lo sguardo di mio padre ho avuto una folgorazione. Ho riconosciuto immediatamente il suo volto, la sua voce, la sua gestualità. È cresciuto così il desiderio di cercare altri video da un passato che non conoscevo…”. Il salvataggio di Fila La ricerca è stata positiva, con la scoperta dei video girati dal nonno sugli esordi del papà sull’Optimist, delle sue registrazioni audio-video quando, diventato velista provetto, sul mini 6.50 American Express, partecipò alla Transat. Andrea racconta la sua felicità di stare in mare, parla alla moglie e al figlio cercando di farli partecipi di quello che vede e sta provando: tramonti, albe, pensieri, voglia di famiglia. Un vissuto diventato trama grazie a uno snodo chiave della ricerca. “A un certo punto ho deciso di andare a trovare Giovanni Soldini. Lui mi aveva cercato per anni…”. Fino ad allora, non si erano mai parlati. In mezzo a loro c’era il dolore della mamma Fabrizia Maggi, l’assenza del padre. La vedova ha capito che era venuto il momento di raccontarsi. Insieme alla sua scorrono, nel ventre di Fila ritrovata a Les Sables d’Olon e usata come teatro delle riprese, le testimonianze dei sopravvissuti: oltre a Giovanni, Andrea Tarlarini, Guido Broggi, e Bruno Laurent. Solitaria a bordo dei American Express I film La ricostruzione della forte e tenera figura di Andrea Romanelli, della tempesta e delle sue conseguenze si salda alla narrazione di una rinascita, reale e ideale. Quella di American Express. Accade in un capannone di Monfalcone come conseguenza del lavoro a quattro mani di Tommaso con lo zio Marco che aveva recuperato anni fa la barca per darle un futuro. Marco, tra interventi alle strutture in lamellare e resinature, racconta il fratello e il suo genio progettuale. Il Team di Fila nel 1997 L’effetto è quello di alimentare il desiderio del nipote di navigare secondo gli umori del tempo. Il primo maestro è così diventato Giovanni Soldini che compare anche sulla scena della movimentazione del mini sulla via del ritorno al mare, con un grande valore simbolico. “Concorrere all’opera di Andrea è stata per me una liberazione” confessa lo skipper. Tommaso e Marco Romanelli Alla distanza non poteva avere effetto migliore la sua premura, avvolta dal riserbo, di consegnare alla moglie di Andrea le cassette vhs dell’ultima navigazione del marito, quando si sciolse il segreto dell’inchiesta che escluse responsabilità. Il giovane e promettente regista ringrazia. “Il documentario – spiega – ha corrisposto alla necessità intima e personale di scoprire chi fosse davvero mio padre, di ricucire insieme ciò che la sua morte sembrava aver spezzato per sempre ma cerca anche di riflettere sul valore della memoria, e sul rapporto tra voce, sguardo e formazione dell’identità. Affrontando il dolore dell’assenza e della perdita, ho scoperto la potenza dell’amore e delle passioni, le uniche forze che muovono e riempiono la vita di lampi di felicità. Ho trovato quello che davvero resta dopo la tempesta…”. Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!
Il trasporto del futuro: nuove tecnologie, nuove esigenze operative ,nuovi contratti di Redazione Nautica il 30 Ott 2024