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Apnea da diporto: vietato improvvisare

apnea

L’incredibile senso di libertà che si prova immergendosi in apnea alla scoperta delle meraviglie del mondo sommerso ha però le sue regole. Ed è bene conoscerle per evitare fastidi e incidenti che possono anche essere gravi

Poche cose, una volta appurata la consapevolezza tecnica e la compatibilità fisica, sono più affascinanti dello scendere sott’acqua con l’unico ausilio delle proprie forze, senza l’aiuto e l’ingombro di apparecchi ausiliari, con l’emozione di entrare in un mondo proibito e di fondersi con l’ambiente ammirandone la bellezza con un senso di libertà difficilmente comparabile.

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Ammirare le bellezze del fondo marino sarà ovviamente più gratificante immergendosi in quelle riserve marine ricche di pesci e invertebrati che ci ricordano il mare di cinquant’anni fa.

Ma c’è qualcosa in più, come afferma il dottor Pasquale Longobardi, specialista e ricercatore iperbarico: “Recenti studi hanno appurato che l’apnea modifica positivamente il nostro cervello intervenendo sulle reti neuronali e, detta in parole povere, potenzia fortemente lo sviluppo del sistema aumentando l’autostima e una visione positiva della vita”.

apnea
L’immersione in apnea offre continue emozioni, sia scendendo a pochi metri sia affrontando discese più impegnative.
Una volta apprese le tecniche basilari e accertata la propria idoneità fisica, non ci sono controindicazioni. L’attrezzatura necessaria è elementare e avere un minimo di capacità apneistiche può tornare utile in molte circostanze legate alla propria barca.

L’apnea

Inoltre, esistono connesse attività ludiche pronte a trasformarsi in vera e propria passione, come la fotografia e la pesca, che possono dare soddisfazioni anche senza essere campioni.

Naturalmente – e la cosa è tutt’altro che secondaria – c’è apnea e apnea.

Volendo semplificare, esiste un’apnea agonistica, quella per capirci che ha visto in passato la sfida fra dualismi storici come quelli fra Maiorca e Mayol o fra Pipin e Pelizzari, ed esiste l’apnea strettamente legata alla pesca subacquea, disciplina che vede oggi prestazioni atletiche impensabili solo 10-15 anni fa, dato che parliamo di pescatori in grado di scendere a 40-50 metri, seppur con tecniche particolari, per stanare una cernia.

anatomia dell'orecchio

Ma c’è anche – ed è la cosa che più ci interessa in questa occasione –  un’apnea che potremmo chiamare “da diporto”, ovvero quella che chiunque può praticare per il proprio piacere o per la necessità di risolvere piccole problematiche legate alla propria barca: dal liberare un’elica da una cima al disincagliare l’ancora   incastrata fra le rocce del fondo; dal controllare lo stato della carena, magari dopo una carezza sugli scogli, al recuperare un oggetto caduto in acqua.

La cosa importante è ricordarsi che se un’atleta affronta la competizione forte di una tecnica e di un’esperienza maturate in anni di pratica, oltre che di un organismo allenato e costantemente monitorato, un apneista improvvisato può andare incontro a rischi imprevisti.

La bellezza dell’apnea

L’apnea è uno sport meraviglioso e certamente non particolarmente pericoloso, ma è anche uno sport in cui improvvisare è vietato, perché dal piacere alla tragedia il passo può essere breve. Proviamo allora ad esaminare la materia per acquisire quella consapevolezza che ci eviterà brutte sorprese.

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Le cose da sapere

Escludendo possibilità di incidenti legati solo indirettamente all’apnea – leggi, essere arrotati dall’elica di un’incosciente – e premesso un ottimale stato fisico, i rischi dell’immersione trattenendo il respiro sono prevalentemente legati ai barotraumi e all’ipossia, il che, tradotto per i meno addetti ai lavori, vuol dire problemi derivanti da una cattiva compensazione con possibile rottura della membrana timpanica e sincope derivante da mancanza di ossigeno, dovuta a un’immersione prolungata oltre i propri limiti.

Una corretta pratica della compensazione, necessaria per equilibrare la pressione dell’orecchio con quella crescente in proporzione alla profondità, è il necessario passaporto per evitare i già citati barotraumi.

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Si tratta di una manovra più che semplice, ma che se non appresa e messa in pratica nel modo corretto può creare due problematiche: una tecnica e una diciamo così sociale.

Da una parte troviamo quelli che asseriscono di non poter scendere oltre i 4-5 metri non potendo compensare per problemi fisici, ma più spesso per nascondere le proprie limitate capacità apneistiche; dall’altra quelli che provano comunque a vincere il dolore a volte lancinante causato dalla pressione – e spesso esteso anche ai seni paranasali – con conseguenze a volte traumatiche.

In entrambi i casi non approfondiremo la tecnica di una corretta compensazione, che lasciamo più propriamente a un corso didattico.

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In estate quando il traffico diportistico diventa intenso e pericoloso, evidenziare la propria presenza con una boa è una fondamentale misura di sicurezza.

La compensazione

Tuttavia anche per chi conosca le varie manovre di compensazione, può presentarsi una problematica conseguente a raffreddore, sinusite o infiammazioni varie che, rendendo difficoltoso il passaggio dell’aria attraverso le ben note tube di Eustachio (quei canalini che collegano l’orecchio medio alla rinofaringe), ne impediscono una corretta esecuzione.

In questo caso la cosa più logica sarebbe quella di evitare di immergersi, ma volendo provare a bypassare il problema si può ricorrere ad antistaminici o decongestionanti vari, il più semplice dei quali è quello di inalare attraverso il naso acqua di mare per poi liberarsi da ogni ostruzione con un’energica soffiata: sistema un po’ primitivo ma nella maggior pare dei casi funzionante.

carena
L’ispezione della carena dopo una leggera “carezza” sul fondo

Il colpo di ventosa

Un ulteriore problema legato all’aumento della pressione è quello derivante dal cosiddetto “colpo di ventosa”, ovvero la mancanza di compensazione dell’aria intrappolata nella maschera al momento della discesa.

Poiché anche quest’aria subisce la pressione esterna in proporzione alla profondità, è necessario compensarla emettendo un filo d’aria dalle narici evitando così uno schiacciamento doloroso.

Sottolineando che per i più fortunati questa manovra è spontanea e porta contemporaneamente a una naturale compensazione delle vie aeree, ovvero timpani e seni paranasali, evitiamo di spaventarci: una volta apprese, queste manovre avvengono in assoluta semplicità e aprono le porte al piacere dell’immersione in apnea.

murena
Nei nostri mari non ci sono particolari pericoli ambientali. Anche pesci banalmente temuti come le murene non sono mai aggressivi; al contrario, possono sempre essere osservati e fotografati senza problemi.

I possibili rischi

Se un barotrauma può avere conseguenze poco piacevoli come la rottura di una membrana timpanica, ben diverse sono le conseguenze di una sincope da apnea prolungata, i cui esiti in mancanza di un immediato soccorso spesso sono drammatici.

La consapevolezza dei propri limiti fisici e la prudenza nel non oltrepassarli sono la prima necessaria misura di attenzione, ma prima ancora se ci si vuole avventurare in profondità è bene avere la certezza di essere fisicamente idonei.

Il che si traduce in una visita di controllo prima di iniziare l’attività, possibilmente presso un medico iperbarico, per accertarsi del buon funzionamento del nostro organismo.

meduse
Il “polmone di mare”, una delle meduse più grandi e comuni nei nostri mari, ha tentacoli corti e poco urticanti, può quindi essere avvicinata e ammirata senza timore.

I traumi

Mantenendoci nell’ambito dell’apnea da diporto e senza appesantire scientificamente il discorso, ricordiamo che le conseguenze di una sincope cardiorespiratoria non sono necessariamente letali poiché molto dipende dall’immediatezza del soccorso e dal tipo di sincope.

Va infatti distinta quella volgarmente detta “bagnata”, in cui l’apneista al limite della resistenza finisce per inalare acqua marina nei polmoni perdendo inesorabilmente la spinta positiva del corpo e affondando, da quella “asciutta” nella quale subentra un blocco respiratorio a livello cerebrale che impedisce la ripresa della respirazione, grazie al quale l’apneista riemerge comunque e in questi casi può essere immediatamente soccorso.

Addirittura, a volte, soprattutto se indossa un boccaglio, potrebbe riprendere la respirazione spontaneamente.

Vale la pena di sottolineare che, nella maggior parte dei casi, la sincope subentra negli ultimi metri di risalita, ed è per questo che il subacqueo con la spinta positiva dei polmoni, oltre eventualmente a quella della muta, riemerge poi facilmente.

I consigli

A fini pratici, ricordando di parlare a chi non ha molta esperienza, è importante evitare una respirazione forzata prima dell’immersione, la cosiddetta iperventilazione, che tende ad abbassare i livelli di CO2 e quindi a ritardare gli stimoli respiratori; è altresì importante prepararsi psicologicamente, avendo già in mente quello che si farà sott’acqua, perché uno dei maggiori pericoli che predispongono alla sincope è il panico che subentra in caso di difficoltà, portando a movimenti inconsulti con conseguente eccessivo consumo di ossigeno.

Esistono poi rischi indiretti che possono riguardare più l’apneista occasionale che il subacqueo che si immerge con le bombole e con tutta l’assistenza di un centro diving. Il primo, soprattutto in estate quando in mare circola una massa di incoscienti, è quello di essere colpiti da un’elica, sia essa quella di un motoryacht lanciato in velocità o quella di un tender con un piccolo fuoribordo.

Il risultato alla fine non cambia molto, perciò prudenza, il che significa segnalare opportunamente la propria presenza in acqua.

Come intervenire

Al di là del puro divertimento e della scoperta del mondo subacqueo, sono diversi i casi in un cui il saper scendere in apnea può essere utile al diportista. Uno dei più comuni è quello di un’ancora incagliata su un fondo roccioso o magari su un relitto non necessariamente profondo.

Non sempre il grippiale, ammesso di usarlo, può essere la soluzione, e se occorre scendere in apnea vanno fatte alcune considerazioni a partire dall’attrezzatura che a nostro parere dovrebbe sempre essere presente a bordo.

Pinne, maschera e boccaglio le diamo per scontate, ma se si vuole o si deve scendere un po’ in profondità è anche necessaria una cintura di piombi, a prescindere che si indossi o meno una muta.

La spinta positiva del nostro corpo, anche semplicemente in costume da bagno, soprattutto a polmoni pieni, è infatti dura da vincere nei primi metri e brucerebbe una notevole quantità di ossigeno. Una sistema che aiuta può essere quello di scendere tirandosi a braccia sulla catena, per altro con la sicurezza di arrivare sul target senza spendere ulteriori energie. Disincagliare un’ancora, soprattutto se di buon peso e dimensioni, può a volte essere difficile.

A volte è sufficiente spostarla di una decina di centimetri per liberare la presa, altre volte si può provare a passare una cima nel punto più favorevole per poi effettuare una trazione positiva dalla superficie; altre volte si scoprirà che il blocco non è nell’ancora ma nella catena e quindi il compito di liberarla sarà più facile.

Consigli

Altre volte però si è chiamati a sforzi massimali tutt’altro consigliabili in una situazione di apnea prolungata, inoltre è bene fare la massima attenzione a dove mettere le mani soprattutto se con un po’ d’onda la barca tende a beccheggiare con conseguente e pericoloso movimento della catena, alias ancora: c’è il rischio di restare bloccati, o per lo meno di ferirsi.

Una soluzione da considerare può essere quella di un bombolino di aria compressa da 1 litro, in alcuni casi fornito anche di erogatore: basta ricordarsi che si tratta di un dispositivo di emergenza con scarsa autonomia, e che su questi volumi l’esaurimento dell’aria non dà segni premonitori ma si blocca di colpo.

Problemi improvvisi

Un’altra circostanza che può richiedere un intervento in apnea è l’incattivamento di una cima o peggio di uno spezzone di rete nell’elica di una barca con trasmissione in linea d’asse. Non essendo infatti possibile intervenire dalla superficie, l’unica è quella di immergersi per sbrogliare o tagliare l’imbroglio.

L’impegno “atletico” è ovviamente minore, ma qualche accortezza è d’obbligo. In primis, per una piena tranquillità psicologica, non solo spegnere il motore ma staccare proprio le chiavi di accensione e nasconderle, soprattutto se ci sono ragazzini in giro.

Poi tener presente che per lavorare efficacemente con il coltello, che dev’essere tagliente e bello robusto, occorre avere sott’acqua  il dovuto equilibrio, il che vuol dire avere non solo le pinne ai piedi, ma soprattutto una piombatura che consenta di annullare la galleggiabilità, altrimenti si continua a sbattere la testa sulla carena, o peggio sull’elica. Con lo stesso principio, scegliendo un fondale basso e sabbioso in modo da recuperare facilmente qualunque cosa cada sul fondo, è possibile cambiare lo zinco sull’asse elica senza necessariamente tirare la barca in secco.

Un mare tranquillo

Il Mediterraneo è un mare tranquillo e fare incontri pericolosi è veramente raro, a meno di non considerare come tali le periodiche invasioni di meduse che non sono da trascurare. A proposito è bene sottolineare le differenze fra le principali specie che incontriamo normalmente nei nostri mari. La più grande e vistosa, il cosiddetto “polmone di mare” (Rhyzostoma pulmo), è anche la più innocua: viaggia isolata, è ben visibile con il suo grande cappello bianco e quindi evitabile, e i suoi tentacoli sono corti e poco urticanti.

Possiamo quindi osservarla con tutta la meraviglia del caso notando anche i pesciolini – in realtà giovanili di varie specie, ricciole incluse – che trovano protezione fra i suoi tentacoli. Discorso del tutto analogo per la Cassiopea (Cotylorhiza tuberculata) una medusa un po’ più piccola e color ambra, con i corti tentacoli che terminano con un peduncolo viola.

La situazione si fa più seria con la Pelagia noctiluca, che non ha un nome volgare ma è in assoluto la più pericolosa. Il corpo è piccolo ma i tentacoli, sottili e quasi invisibili, possono superare il metro di lunghezza e sono fortemente urticanti.

L’ulteriore problema è che queste meduse vengono spesso raccolte dalla corrente in ammassi di decine o anche centinaia di individui, e finirci dentro senza una muta è un’esperienza che può avere serie conseguenze, soprattutto per chi ha una particolare sensibilità epidermica.

I polpi sono molluschi di straordinaria simpatia e intelligenza: avvicinandoli con delicatezza possono diventare inusuali compagni di giochi.

I pericoli

Nei nostri mari i pericoli derivanti dai pesci sono invece del tutto trascurabili, a meno di non mettere il dito nella bocca di una murena, o di mettersi a giocare con una tracina, anche perché la possibilità di ritrovarsi davanti uno squalo, che per altro spesso è il primo a darsi alla fuga, equivale a una vincita al Superenalotto. Più subdolo il problema di reti e spezzoni di palamiti abbandonati in mare.

Il nylon è infatti trasparente e quasi invisibile e finire imbrigliati può facilmente portare al panico l’apneista non preparato. In questi casi mantenere la calma è fondamentale perché liberarsi dall’impiccio è in genere rapido e facile.

Del pericolo di venire arrotati da un’elica di qualche incosciente abbiamo già accennato e vale la pena di ribadire, poiché si tratta di uno dei pericoli che ogni anno miete purtroppo più vittime. Abbiamo visto barche passare in planata a poche decine di metri da imbarcazioni ancorate, ignorando la possibile presenza di gente in acqua, o magari sott’acqua.

pesca in apnea
Grazie anche ad attrezzature e tecniche sempre più sofisticate, la pesca in apnea ha oggi raggiunto straordinarie prestazioni atletiche. Per divertirsi ed allietare la mensa di bordo bastano comunque un po’ di pratica e la capacità di scendere a una decina di metri

Come comportarsi

In questo caso comanda la legge del buon senso: se si pensa di allontanarsi dalla propria barca per fare un po’ d’apnea, collegarsi a un pallone segnasub e magari farsi accompagnare da qualcuno che, restando in superficie, controlli la situazione: nessuno dei due sistemi è sicuro al 100%, ma di certo aiuta.

In ogni caso ricordare che sott’acqua il rumore si amplifica ma non offre direzionalità, quindi in immersione è facile sentire il rombo di un motoscafo senza tuttavia capire bene da che parte arriverà nel momento in cui si tornerà in superficie.

Anche stando in superficie tuttavia, non è detto che il motoryacht che ha mirato inconsapevolmente alla vostra testa riesca a vedervi.

Per segnalarvi meglio potreste alzare con le mani una pinna, o battere l’acqua con le mani per sollevare più spruzzi possibile: paradossalmente – per esperienza personale – questi stratagemmi possono risultare più visibili e riconoscibili di un pallone segnasub, spesso scambiato per la boa di una rete.

direttore sanitario centro iperbarico
Pasquale Longobardi, Direttore Sanitario del Centro Iperbarico di Ravenna

L’intervista

Pasquale Longobardi è il Direttore Sanitario del Centro Iperbarico di Ravenna,  ricercatore scientifico presso la Scuola Superiore  Sant’Anna di Pisa, e Presidente della fondazione Mistral.

Quali esami medici consiglierebbe per chi volesse avvicinarsi all’apnea durante le proprie vacanze?

Avere la certezza del proprio stato fisico è della massima importanza, per cui più che i consigli del proprio medico di base, sarebbe bene interpellare uno specialista iperbarico che dia un quadro completo dei vari sistemi fisiologici sottoposti a sforzo durante l’immersione.

Fra l’altro il medico iperbarico può in questo caso rilasciare un referto che, attraverso lo studio di vari parametri, rileva il nostro stato di salute nei prossimi dieci anni, a partire dall’indice di rischio cardiovascolare.

Naturalmente in questo subentrano una serie di variabili che vanno dall’età a eventuali problematiche genetiche, a eventuali e controindicate terapie in corso, allo stile di vita, o al proprio stato di allenamento. Se non sussistono problemi fisici, l’età, con un minimo di attenzione e senza forzare, resta invece un problema marginale: va considerato, senza approfondire troppo l’argomento, che l’apnea è un tonificante per il nostro organismo.

Quali sono i rischi di uno sforzo massimale in apnea, magari per disincagliare una grossa ancora malamente incastrata fra le rocce?

Un’accortezza da tener presente è che oltre una certa profondità la pressione idrostatica provoca un senso di benessere dovuto alla conseguente pressione dell’ossigeno, che facilmente si traduce in un prolungamento eccessivo dell’apnea. Il problema è che al momento della risalita la pressione ambientale cala bruscamente, così come la nostra riserva di ossigeno e ci si può ritrovare in seria difficoltà proprio negli ultimi metri della risalita.

La compensazione è una manovra di estrema semplicità, tuttavia ci sono persone che non riescono a effettuarla: quali possono essere le cause?

Al di là comunque di capire come va eseguita, i problemi possono riguardare il naso e lo stomaco. Il reflusso gastroesofageo, ad esempio, che alla luce degli ultimi studi è diventata competenza dell’otorino e non più del gastroenterologo, può avere effetti negativi sulla capacità di compensazione andando a infiammare le vie respiratorie. Ovviamente anche le cavità nasali, leggi turbinati e tube di Eustachio, possono irritarsi per cause varie non escluse quelle alimentari, o per eventuali allergie.

Quali sono le più immediate operazioni di pronto soccorso in caso di sincope?

È raro che la sincope causi un arresto cardiocircolatorio, per cui la prima cosa in assoluto è quella di far nuovamente respirare l’infortunato, anche se a volte può essere difficile causa le mandibole fortemente serrate. Una volta che il subacqueo torna a respirare il recupero può essere immediato, il che riporta all’esigenza di immergersi quando possibile con l’assistenza di un compagno in superficie pronto a intervenire, sempre ovviamente che ne abbia le capacità.

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