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Storia della navigazione, Medioevo da marinai – seconda parte

galee

Storia della navigazione, Medioevo da marinai – seconda parte

Quanto era buio il Medioevo? In mare per qualcuno poteva essere notte fonda, per qualcun altro un po’ meno, ma tutto dipendeva, come spesso capita, dalla propria posizione gerarchica. Ciò non toglie che prima di aprirsi allo sviluppo tecnologico, anche marittimo, per la navigazione furono secoli poco felici.

A bordo delle navi, le derrate alimentari fresche avevano vita breve e, se il loro rifornimento era legato alle eventuali soste nei porti, andava meglio col vino, che a bordo non mancava mai.

Master chef

Poiché, qualunque fosse il grado gerarchico, mangiare era comunque una necessità per tutti, può essere interessante dare un’occhiata in cucina, parola un po’ grossa nel caso di navi decisamente rustiche, almeno nel Basso Medioevo.

Dai pochi documenti disponibili – per lo più liste di acquisti presenti sui libri di bordo delle galee o resoconti di viaggio – possiamo apprendere che, soprattutto sulle navi militari dove la buona forma fisica dell’equipaggio era fondamentale, ogni porto toccato era l’occasione per rifornirsi di pane, acqua, sale e di derrate alimentari fresche: in primis cavoli, legumi vari, frutta, uova e cipolle che sembra avessero una parte importante nell’alimentazione quotidiana, fornendo per altro un buon apporto di vitamine, proteine e fibra vegetale.

A questo bisogna aggiungere che nelle lunghe navigazioni erano sempre presenti animali da macello per i quali, dopo la lunga permanenza nell’inferno della stiva, passare a miglior vita doveva essere una liberazione.

cibo

Cosa si mangiava a bordo

Ciò non toglie che a bordo erano sempre presenti buone scorte di cibo secco, fra cui gallette, carne e pesci salati, formaggio stagionato e naturalmente vino, il cui consumo in molti casi veniva però scontato dalle paghe dei marinai quando superava la razione giornaliera di mezzo litro.

Anche olio e aceto utilizzati a volte per usi alternativi, rientravano nei periodici rifornimenti effettuati nei porti: l’olio era spesso usato come emulsionante per i farmaci, mentre l’aceto poteva essere una sorta di antisettico per disinfettare le riserve d’acqua, un po’ come si fa oggi con l’amuchina. Un altro singolare sistema per rendere più potabile l’acqua, che conservata in barili diventava rapidamente poco bevibile, era l’aggiunta di vino o birra.

Da notare che a bordo si rispettava una sorta di democrazia alimentare, per la quale non c’erano particolari privilegi riservati a comandante e ufficiali, un’usanza particolarmente marcata sulle navi militari dove la solidarietà che si creava  nell’imminenza di uno scontro armato, ovvero di una lotta per la sopravvivenza, riduceva la differenziazione dei ranghi sociali e di quelli militari.

Quando il cibo finiva

Diversa poteva essere la sorte di quelle navi destinate a lunghe navigazioni per commercio o esplorazione di nuove rotte, dove le disavventure tecniche e meteorologiche potevano portare a situazioni estreme. Valga per tutte, anche se parliamo di un periodo di pochi anni posteriore al Medioevo (primi anni del ‘500), la drammatica nota di Antonio Pigafetta, storico cronista dei viaggi di Magellano, che ricorda come in un’occasione alquanto sfortunata, avendo esaurito ogni forma di riserve alimentari, l’equipaggio si ridusse a mangiare i legacci di cuoio delle vele e a cacciare con disperata ferocia i topi di bordo. E proprio lungo il confine fra Medioevo e Rinascimento possiamo prendere qualche nota interessante dai documenti relativi alla spedizione di Cristoforo Colombo.

cucchiai e forchette d'epoca
Un set di posate d’epoca che comprende anche alcune forchette, introdotte in Occidente solo alla fine del Quattrocento.

Cibo e vino

Le carte recuperate ci raccontano infatti che a bordo delle caravelle non si lesinava sul vino – oltre un litro di vino rosso al giorno a testa – e sulle gallette; i giorni pari a pranzo veniva servita carne essiccata, in quelli dispari, sabato incluso, zuppa calda piena di aglio e cipolle in funzione anti scorbuto. Più consistente la cena, dove figuravano anche formaggio e pesce salato, mentre la domenica era una festa, con distribuzione di uva passa, fichi secchi, mandorle e miele. Fermo restando che Colombo, pur non disdegnando di mangiare spesso sul ponte con il suo equipaggio, da quel gran goloso che era aveva fatto imbarcare a suo uso esclusivo delizie varie come datteri e cedri canditi, cotognata e prosciutto, zafferano e conserve di vario tipo.

Le cose migliorarono ulteriormente nell’epoca delle repubbliche marinare, quando, mentre il cibo base restava il biscotto (non dolce ovviamente) di cui ogni singolo membro dell’equipaggio aveva diritto per 800 grammi al giorno, la mensa di bordo sulle navi genovesi era addirittura invitante in quanto serviva zuppe di pesce e cappon magro, caponata e pasta condita con erbe, formaggio e frutta secca, e spesso anche la “mesciua”, parola dal suono arabeggiante che indicava invece una zuppa spezzina a base di orzo, farro e fagioli, per altro apprezzatissima ancor oggi. Curiosa anche l’attenzione per la qualità del cibo, considerando che qualora i fornitori dei biscotti non avessero fornito un prodotto di qualità, potevano subire severe sanzioni, galera inclusa.

le caravelle di Colombo
Con l’avventura delle tre caravelle di Colombo e la scoperta dell’America finisce per tradizione storica il Medioevo, epoca che, fra i tanti pericoli dell’andar per mare, doveva considerare anche la pirateria, da sempre uno dei flagelli della navigazione commerciale.

Il commercio e la guerra

L’importanza del cibo a bordo era fondamentale ai tempi in cui i viaggi per mare, data la lentezza delle navi, erano particolarmente lunghi, tanto più considerando che se i venti erano sfavorevoli i tempi potevano allungarsi ulteriormente. È stato ad esempio calcolato che se le velocità medie oscillavano fra i 4 e i 6 nodi con vento a favore, con vento meno propizio potevano scendere a 2 nodi e talvolta richiedere l’aiuto dei remi.

Inoltre c’era indubbiamene una notevole differenza di prestazioni fra gli scafi snelli e leggeri delle navi militari e quelli più larghi e pesanti delle navi commerciali. Nonostante la lentezza della navigazione, e nonostante il mare incutesse sempre timore in quanto territorio ignoto e potenzialmente rischioso, era comunque considerato di grande importanza sia per gli scambi commerciali sia per scopi bellici.

Pirati a bordo

I pericoli

I pericoli in ogni caso non mancavano, sia quelli immaginari, dato che in nessun’altra epoca furono immaginati tanti mostri marini dalle improbabili sembianze pronti a divorare uomini e navi, sia quelli ben più concreti costituiti dalla pirateria, per non parlare – relativamente a determinati periodi, soprattutto in quello delle Repubbliche Marinare – degli attacchi dei Saraceni che, ricordiamo, fin dall’VIII secolo dominavano la penisola iberica.

Una situazione tutto sommato poco tranquilla che richiedeva particolare impegno nell’allestimento delle navi militari. Le galee medievali erano snelle  e leggere: si parla in genere di scafi lunghi circa 40 metri per 5 di baglio, scarsi di bordo libero, i quali soprattutto nelle fasi di attacco si basavano prevalentemente sulla forza dei remi…e ovviamente dei rematori, che di certo non avevano una vita facile.

A seconda delle dimensioni della nave, si potevano avere dai 2 ai 5 uomini per remo, che poteva essere lungo anche 12 metri, di cui 8 fuori bordo.

Uomini ai quali era richiesta non solo la forza muscolare ma anche un ottimo addestramento, in quanto per ottenere la massima efficienza il sincronismo della vogata doveva essere perfetto. Il che non impediva che in certe situazioni, magari dovendo remare contro un forte vento contrario, gli uomini – frustate o non frustate – arrivassero allo sfinimento e a volte alla morte.

La galea

Più remi che tela, dunque, anche perché per le loro caratteristiche costruttive le galee erano poco stabili sotto vela, tanto da avere alberi corti e abbattibili armati con vele prima quadre e in seguito latine, che in ogni caso consentivano solo andature portanti o al massimo di traverso. Prima che l’evoluzione tecnologica consentisse di mettere a bordo un limitato numero di cannoni di piccolo calibro, la loro principale tecnica di attacco era l’abbordaggio, e anche in questo caso i remi giocavano una parte fondamentale.

Bassa di bordo libero e con un ponte che lasciava poco spazio sottocoperta, la galea era una barca di pessima abitabilità, che esponeva alle onde di un mare appena formato sia l’equipaggio sia le truppe imbarcate, per altro stivate malamente perché lo spazio a bordo era assai limitato per un numero di persone che poteva arrivare anche a 600 fra vogatori, soldati, ufficiali di vario grado, funzionari come il cappellano, lo scrivano e il chirurgo, e spesso prigionieri catturati lungo il percorso.

I vogatori

In pratica la coperta era occupata quasi interamente dai banchi dei vogatori, lungo i quali correva una passerella a centro barca per consentire la sorveglianza e la ”stimolazione” a mezzo frusta della ciurma, ovvero del motore della nave. Per altro i “galeotti” non erano unicamente avanzi di galera, come spesso si crede, bensì schiavi o, in alcuni casi, giovani pagati a contratto che sfuggivano alla fame che imperava sulla terraferma e perciò disposti a subire le durezze della vita di voga, dove la fatica era ben nota mentre le staffilate dei comiti, che fungevano da acceleratore, dipendevano dalle situazioni.

Altrettanto, contrariamente a ciò che spesso si pensa, la ciurma non sempre era sempre incatenata ai banchi, tanto che ogni tentativo di fuga costava caro: taglio delle orecchie al primo tentativo, taglio del piede al secondo.

A supporto di questa “normalità” non mancavano le eccezioni, con eccessi di crudeltà difficilmente concepibili, dove frustate e bastonate potevano non essere la pena maggiore, perché se il taglio delle orecchie e del naso erano il castigo per colpe anche lievi, le bestemmie prevedevano la perforazione della lingua con un ferro rovente, mentre il colpevole di una rissa o di un furto poteva anche finire impiccato al pennone più alto.

Finito il Medioevo, le cose cominciarono a migliorare con l’avvento del Rinascimento, ma con una progressione lenta che stentò a fare del mare un polo d’attrazione com’è oggi per chiunque resti sedotto dal grande senso di libertà e di contatto con la natura che nasce quando l’unico orizzonte tutto intorno è un’immensa distesa blu.

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