Pesca ricreativa: il palamito
Un’iniziativa da contestare
foto di Marco Meloni
Un recente decreto del MASAF ha profondamente inciso sulla pratica di una disciplina di pesca ricreativa che, al di là del minimo impatto ambientale, affonda le sue radici nella tradizione delle nostre marinerie. Nel mai risolto scontro tra pescatori professionisti e ricreativi, forse trovare un punto d’incontro sotto l’egida di un sapiente compromesso potrebbe essere la migliore soluzione.
Esistono probabilmente poche leggi che abbiano sulle spalle quasi sessant’anni di vita statica e monolitica durante i quali però molte sono le cose cambiate senza che intervenissero modifiche, salvo le poche eccezioni dovute ad ordinanze o decreti locali. Non può quindi che sorprendere l’iniziativa portata avanti dal MASAF che, con un decreto dello scorso 30 gennaio, ha inciso su quella che pur essendo una nicchia di settore porta sulle spalle un gran numero di appassionati che da questo decreto vengono fortemente penalizzati.
Di cosa parliamo?
Il palamito, palangaro o coffa che dir si voglia, è una tecnica di pesca che affonda le sue radici nella tradizione di tutte le nostre marinerie costiere, una tecnica peraltro difficile e con un modesto impatto ambientale. In pratica, sintetizzando per i meno addetti ai lavori, parliamo di un sagolino (lenza madre) lungo 200-300 metri affondato e ancorato al fondo ai due estremi e mantenuto in tensione da appositi galleggianti, lungo il quale è disposta una quantità “X” di braccioli terminanti con un amo innescato.
Il problema che sta sollevando una serie di iniziative di protesta molto determinate da parte dei pescatori ricreativi sta proprio in quella “X”. La norma aveva già limitato il palamito ricreativo consentendo un massimo di 200 ami indipendentemente dalle persone a bordo, tuttavia, con un Decreto Ministeriale dello scorso febbraio, il MASAF (Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste) bypassando una pur logica e doverosa interlocuzione con le parti ha ulteriormente ridotto il numero degli ami portandolo a 50, oltre a vietare l’uso di verricelli salpareti elettrici per il recupero del palamito stesso e di fatto rendendo questo attrezzo, già limitato rispetto ai palamiti professionali che arrivano ad avere migliaia di ami, praticamente inutile.
A questo proposito sarà il caso di far notare al MASAF che un verricello salpareti come indicato nel decreto ha poco a che fare con un salpapalamito, e che un mulinello elettrico per il bolentino di profondità non può in alcun modo essere confuso con un verricello salpareti.
Ragioni contestabili
La domanda che molti si pongono è quale ragione abbia generato questa decisione del Ministero che non ha nessun serio riscontro ambientale, dato che il pescato dei palamiti ricreativi non solo è minimo ma, giocando sulla dimensione degli ami, può essere anche molto selettivo.
Considerando i numerosi messaggi di compiacimento giunti dal mondo professionale, tuttavia, non è difficile capire l’origine del decreto, anche perché le lobby dei professionisti hanno un peso non indifferente nel mondo politico. Difficile tuttavia giustificare le consuete lamentele della pesca professionale, che vedono nella pesca ricreativa un’impensabile concorrenza a causa della pessima abitudine di alcuni – fortunatamente pochi – che usano vendere il proprio pescato.
Questa illegalità comunque minimale non può giustificare un provvedimento che danneggia migliaia di pescatori pienamente rispettosi delle norme, tanto più che se parlassimo di illegalità anche nel mondo del professionale ci sarebbero da raccontare un bel po’ di cose. Quanto ai danni ambientali, ad esempio, si potrebbe parlare delle strascicanti (che per altro la UE prevede di vietare entro il 2030), o di reti e palangari persi e abbandonati sul fondale che, soffocando il substrato o continuando comunque a pescare per un discreto periodo di tempo, creano danni ambientali di non poco conto.
La cosa fondamentale nel giudicare l’illegalità nei due settori, è però quella di ricordare che chi trasgredisce la legge non va considerato un pescatore, né professionista né ricreativo, ma semplicemente un bracconiere e come tale dovrebbe essere perseguito. Senza contare che per contrastare il pescatore amatoriale che vende le proprie catture a ristoranti e pescherie (ma talvolta anche agli stessi professionisti), sarebbe più semplice controllare in primis proprio chi acquista illegalmente questi prodotti.
La parola ai professionisti
Altra consueta contestazione da parte dei professionisti, è quella che evidenzia la loro pesca come fonte di lavoro, al contrario di quella ricreativa fonte unicamente di divertimento… ma aggiungiamo noi anche di passione, motore di non poco conto in ogni attività dell’uomo.
Peccato però che questo ragionamento dimentichi come dietro il mondo della pesca sportiva lavorino migliaia di persone e centinaia di aziende molte delle quali, non dimentichiamolo, appartengono al mondo della nautica. Se infine volessimo aggiungere una chiusa finale potremmo anche ricordare che il mare non è esclusiva di nessuno e che il pesce è considerato res nullius fin dal tempo degli antichi Romani.
La parola alla difesa
A difesa di questo provvedimento, che il MASAF giustifica con affermazioni del tutto contestabili, stanno insorgendo in primis importanti istituzioni liguri e toscane come il Consorzio Nautico di Livorno, consiglieri regionali bipartisan e parlamentari di vari partiti, oltre a varie associazioni o federazioni come la stessa FIPSAS (Federazione Italiana Pesca e Attività Subacquee) che ha già chiesto un incontro a livello ministeriale. Va infatti notato che fra le affermazioni che giustificano il decreto figura anche un “in virtù dei colloqui intercorsi con le associazioni di categoria della pesca”, aggiungiamo “professionale”, che non ha tenuto in minima considerazione l’esigenza di interpellare anche le associazioni della pesca ricreativa.
E appare decisamente singolare, ai fini della validità delle sue affermazioni, che il Ministero citi l’approvazione di un’associazione di pesca ricreativa, la FIPO, che nel proprio sito, per altro cronologicamente un po’ obsoleto, non fa il minimo accenno alla questione.
L’obiettivo delle contestazioni da parte della pesca ricreativa è quello di ottenere la modifica del decreto, ricorrendo dapprima al TAR del Lazio ed eventualmente anche al Consiglio di Stato.
Come abbiamo visto, le possibilità di un maggior controllo sull’attività potrebbero risolvere le principali problematiche senza penalizzare più di tanto il palamito ricreativo. Si potrebbe fra l’altro imporre l’uso di ami di grossa dimensione per rendere questa pesca ancor più selettiva, magari far rispettare un fermo pesca durante i periodi di riproduzione delle specie più pregiate, o anche imporre il taglio della pinna caudale sulle prede catturate al fine di marcarne la provenienza dalla pesca ricreativa e limitare la compravendita del pescato.
In ogni caso, qualunque forma di illegalità – e questo vale anche per la pesca professionale – è comunque legata alla possibilità e all’efficienza dei controlli, un compito purtroppo non facile in un ambiente vasto e difficilmente controllabile come quello marino.




