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Il mare del futuro, dall’eolico galleggiante agli arcipelaghi energetici

pale eoliche in mare

Il panorama marino è destinato a cambiare

Così come è accaduto per alcune delle nostre montagne, anche il panorama marino lungo le nostre coste è destinato a cambiare con la presenza di turbine eoliche che svettano sulla superficie del mare. Che, magari, fanno da corona a delle vere e proprie isole artificiali dove le navi attraccano per fare rifornimento. Prima di dire che sono brutte e deturpano il paesaggio, andiamo a vedere di cosa si tratta.

pale eoliche in mare
Nei mari del Nord, le wind farm – i parchi eolici – fanno già parte del paesaggio marino.

 

Il mare ricopre oltre il 70% della superficie terrestre e, fino ad oggi, le sue immense risorse sono state sfruttate solo in minima parte. Di contro, la continua crescita della popolazione e delle attività umane sta spingendo sempre di più a cercare spazio e risorse proprio in mare.

Lo sanno bene le società energetiche che investono enormi risorse per cercare nuovi giacimenti di petrolio o gas in tutti i mari del mondo, oppure per installare impianti per la produzione di energia rinnovabile da onde, correnti e vento.

trasporto pale eoliche
Il 5 ottobre 2023, lungo un tratto della variante della SS106 Jonica, Taranto-Reggio Calabria, il traffico rimase bloccato per ore a causa di un enorme camion che trasportava una gigantesca pala eolica, rimastoincastrato in una curva. Questa foto fa capire più di tante parole perché sulla terraferma, diversamente che in mare, le dimensioni degli impianti eolici non posso crescere più di tanto.

MAre rappresenta nuovi spazi per attività umane

Ma il mare significa anche nuovi spazi per moltissime attività umane, esistenti oppure ancora tutte da inventare. Non a caso l’Europa, con la direttiva 89/2014 ha imposto ai paesi dell’UE di elaborare piani di gestione dello spazio marittimo nei quali mappare le attività umane nelle proprie acque marine e identificare il loro sviluppo territoriale futuro più efficace.

Nei 27 punti di considerazione iniziali, il Parlamento “evidenzia il rapido ed elevato incremento della domanda di spazio marittimo per insediare diverse attività, come gli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, la prospezione e lo sfruttamento di petrolio e gas naturali, il trasporto marittimo e le attività di pesca, la conservazione degli ecosistemi e della biodiversità, l’estrazione di materie prime, il turismo, gli impianti di acquacoltura e il patrimonio culturale sottomarino”.

Piattaforme di estrazione di petrolio o gas

Tutto ciò significa che sarà sempre più frequente incontrare in mare non solo una quantità sempre maggiore di piattaforme di estrazione di petrolio o gas, che comunque sono limitate a quelle zone ricche di questi combustibili fossili, ma anche impianti eolici offshore posizionati in alto mare. Così come impianti di acquacultura e tutte quelle altre infrastrutture alle quali abbiamo già accennato. Insomma, almeno per alcune zone, dovremo abituarci a un profondo cambiamento del panorama marino. 

Un po’ come è già avvenuto in alcune aree del Mare del Nord dove, guardando verso il largo, è possibile osservare decine e decine di torri eoliche che si perdono all’orizzonte, anche di fronte a grandi città come Copenaghen o Amsterdam.

impianti eolici
Impianti eolici sempre più grandi: era solo il 2019 – 5 anni fa – quando si prevedeva che una turbina da 250 metri con una potenza di 17 MW fosse possibile non prima del 2035. Dallo scorso anno, con 12 anni di anticipo rispetto a questa previsione, in Cina è operativa una turbina da 16 MW con un diametro di 246 metri. Questo in mare. Ma anche a terra la corsa al gigantismo eolico è in pieno sviluppo.

Eolico Offshore, lontano dal mare

Parliamo del cosiddetto eolico offshore, ovvero lontano dalla costa, in alto mare. Si tratta, né più né meno, di impianti eolici come quelli che vediamo normalmente installati a terra, con la loro bella turbina, ovvero un’elica che anziché essere propulsiva, quindi fatta ruotare da un motore per spingere un’imbarcazione, è generativa, ovvero viene fatta girare dal vento.

A sua volta, questo movimento di rotazione viene trasmesso a un generatore elettrico. L’unica differenza, oltre a quella di non svettare su una collina o in una valle ma di sporgere dall’acqua in mare aperto, è quella di essere impianti più grandi, molto più grandi.

Si pensi che, a differenza delle turbine a terra, le cui dimensioni sono condizionate dai problemi legati al trasporto su gomma, per cui generalmente le pale non sono mai più lunghe di 12, massimo 15 metri, in mare non c’è la necessità di inerpicarsi su una montagna lungo stretti tornanti e, perciò, il trasporto dei vari componenti dell’impianto – pale comprese – avviene con delle speciali navi adibite proprio alla movimentazione e all’installazione delle infrastrutture marine. Veri e propri giganti che permettono il trasporto di carichi ben più eccezionali di quelli trasportabili via terra.

impianti eolici
Man mano che ci si allontana dalla costa e la profondità supera i 30-50 metri non è possibile installare le turbine eoliche su strutture fissate al fondo marino ed è necessario passare a strutture galleggianti che possono essere di diversi tipi a seconda del sistema che le rende stabili. Nella figura: le Tension Leg Platform (TLP), piattaforme stabilizzate da linee di ancoraggio tese su piloni in depressione piantati nel fondo (suction pile); le Semi Submersible, stabilizzate grazie alla grande area di galleggiamento (stabilità di forma); le Spar, stabili per il peso concentrato molto in basso (stabilità di peso).

Per dare un’idea delle dimensioni, si pensi che la turbina più grande al mondo recentemente installata in mare a Pingtan, nella provincia del Fujian, nella Cina orientale, ha tre pale da 123 metri di lunghezza. Il diametro complessivo della girante è quindi di quasi 250 metri con un’area di spazzamento di circa 50.000 metri quadrati. In pratica quanto 7 campi da calcio. Montata sopra un traliccio di 152 metri raggiunge, complessivamente, l’altezza di 275 metri: un grattacielo di tutto rispetto.

Queste dimensioni, ben maggiori degli impianti di terra, e il fatto che in mare il vento è generalmente più intenso e più stabile, rendono l’eolico offshore molto produttivo, tanto che i suoi maggiori costi riescono ad essere ammortizzati più rapidamente. Questo anche grazie al costante sviluppo tecnologico del settore che permette di realizzare strutture capaci di resistere meglio alle insidie dell’ambiente marino, sistemi di trasferimento dell’energia a terra più efficienti eccetera.

L’impatto ambientale

Inoltre, se i problemi legati all’impatto ambientale sono da studiare e valutare né più né meno di quanto succede con gli impianti terrestri, quelli legati all’accettazione delle comunità locali sono molto ridotti visto che si parla di impianti a considerevole distanza dalla costa, generalmente non inferiore a 20 chilometri.  

Ma, in Italia, la conformazione del fondo marino – che raggiunge subito profondità importanti, a differenza di altri mari come il Mare del Nord, che ha fondali limitati a 30-50 metri anche a molte miglia dalla costa – non ha permesso l’installazione dei classici impianti eolici costituiti da un grande traliccio “interrato”. Per questo, nel nostro Paese l’eolico offshore praticamente non esiste.

impianti eolici in mezzo al mare
Impianto eolico della piattaforma galleggiante Hexafloat progettata e brevettata da SAIPEM, una piattaforma con un diametro di 73 metri e un’altezza di 26, dotata di un contrappeso di 1900 tonnellate immerso a 115 metri dalla superficie libera. Un nuovo tipo di piattaforma denominata “pendular floater”, una via di mezzo tra una piattaforma ‘semisub’ ed una ‘sparbuoy’.

Almeno fino ad oggi, perché per il futuro gli scenari sono ben diversi grazie alle nuove tecnologie che permetteranno di avere anche lungo le coste italiane grandi impianti per la produzione di energia pulita e rinnovabile costituiti non solo da grandi pale eoliche sistemate su piattaforme galleggianti che potremo notare osservando l’orizzonte, ma anche impianti più articolati contenuti in un’isola energetica.

Parliamo di vere e proprie isole delimitate dalle piattaforme galleggianti degli impianti eolici al cui interno trovano posto altri dispositivi per la generazione di energia, pannelli solari galleggianti, dispositivi di recupero di energia dalle onde o dalle correnti marine, ma anche impianti di acquacultura così come di generazione di idrogeno. Insomma, veri e propri arcipelaghi energetici.

Può sembrare fantascienza ma è proprio questo quello che stanno studiando all’Istituto di Ingegneria del Mare (INM) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) anche con prove sperimentali, sia su prototipi in scala negli impianti di Roma (nella vasca navale) sia in mare aperto con prototipi di grandi dimensioni. Per saperne di più abbiamo rivolto qualche domanda proprio ad alcuni dei ricercatori dell’INM che da anni sono impegnati su questi progetti.

Intervista Ing. Alessia Lucarelli, ricercatrice

Ing. Alessia Lucarelli, vento e sole sono le due fonti di energia, pulita e rinnovabile, più diffuse, anche in Italia. Perché?

L’abbondanza di queste risorse, presenti praticamente ovunque e la maggiore efficienza nei processi di conversione in energia con gli standard tecnologici fanno di vento e sole le due principali risorse di energia rinnovabile sulle quali puntare per il completamento della sfida connessa con la transizione e l’indipendenza energetica del nostro Paese. Però, nonostante lo sviluppo che queste fonti energetiche hanno avuto a terra negli ultimi due decenni, non è possibile pensare di soddisfare la richiesta del fabbisogno energetico con un mix che includa solo impianti terrestri.

Ad esempio, per quanto riguarda il solare c’è un evidente problema di disponibilità di spazio dove installare i pannelli fotovoltaici che, se non sono posizionati sui tetti, che comunque sono superfici limitate, consumano molto suolo. A tal proposito è bene ricordare che ogni MW prodotto richiede oggi circa 15.000 metri quadrati di terreno.

Per gli impianti eolici a terra il problema è ancora più complesso: rumore, disponibilità e stabilità della risorsa energetica, microclima, occupazione di suolo e accettabilità sociale sono problemi spesso di difficile soluzione che spingono a spostare l’eolico verso mare. Qui, grazie alle distanze elevate dalla costa, è possibile pensare a turbine sempre più grandi che possono generare enormi potenze per singolo impianto.

Attualmente sono stati superati i 15 MW. Si tratta di turbine con diametri del rotore di circa 230 metri (corrispondente a un’area spazzata pari circa a 6 campi di calcio), capaci di produrre energia per coprire il fabbisogno energetico di oltre 12.000 famiglie.

Turbina eolica gigante
Dimensioni al vero dell’impianto eolico installato sulla piattaforma galleggiante Hexafloat e modelli in scala utilizzati per le prove nel laboratorio a mare MaRELab e in vasca navale.

Sta parlando dei grandi impianti presenti, ad esempio, nei mari dei paesi del Nord Europa. Perché questi impianti non sono presenti lungo le nostre coste?

I fondali marini dei paesi del Nord Europa hanno la caratteristica di essere “bassi” fino a 20-30 chilometri dalla costa. Ciò ha permesso un facile travaso della tecnologia eolica terrestre verso il mare, mediante la cosiddetta bottom-fixed technology, cioè pali fissati sul fondo marino.

Diversamente, la batimetria del Mediterraneo, già con profondità superiori ai 50-100 metri dopo solo pochi chilometri dalla costa, non consente l’uso di tale tecnologia. Pertanto è necessario andare verso soluzioni galleggianti che, però, necessitano ancora di studi e di verifiche prototipali.

Questo motiva, in gran parte, la quasi totale assenza di turbine eoliche offshore nei nostri mari, eccezion fatta per l’impianto da 30MW di Taranto, che però non può essere considerato come un impianto offshore, ma piuttosto vicino alla costa e quindi installato con la tecnologia ben consolidata del bottom-fixed.

Pur tuttavia, l’energia dal vento su piattaforma galleggiante è molto promettente, come testimoniato dalle decine e decine di richieste di connessione ricevute da Terna, la società che gestisce la rete elettrica italiana, per fattorie eoliche galleggianti. In tale settore, l’INM, e più in generale il CNR, sono leader in Italia e in Europa, e per questo presenti in vari comitati per lo sviluppo e la pianificazione strategica sia a livello nazionale sia europeo.

test vasca navale
Per i test in vasca navale è stato realizzato un apposito setup sperimentale per verificare il comportamento della piattaforma galleggiante Hexafloat completa di aerogeneratore in presenza combinata di vento e onde. In particolare, è stata costruita una galleria del vento ancorata al carro dinamometrico. Nella foto sopra si vedono i 17 ventilatori in grado di indirizzare sulla turbina un flusso d’aria con una velocità fino a 5 m/s.
test vasca navale
Nella foto sopra si vede la turbina davanti alla galleria del vento durante i test preliminari a terra.

Ci parli allora di qualcuno di questi progetti nei quali siete coinvolti.

Ad esempio, siamo coordinatori del progetto più importante in Italia per l’eolico offshore finanziato dal fondo della Ricerca di Sistema Elettrico (RdS) nell’ambito dell’accordo di programma stipulato con il Ministero dello Sviluppo Economico.

Proprio nell’ambito di questo progetto, ideato e coordinato dal Cnr insieme all’Università degli Studi della Campania, dal 2021 abbiamo installato il primo prototipo funzionante di turbina eolica galleggiante del Mediterraneo nel laboratorio a mare MaRELab, un’area di mare al di fuori del porto di Napoli attrezzata e dedicata al testing prototipale di dispositivi per le energie rinnovabili marine.

Si tratta di un aerogeneratore da 10 kW di 14 metri di diametro montato sulla piattaforma galleggiante innovativa Hexafloat progettata e brevettata da Saipem, uno dei partner di progetto.

Parliamo del prototipo in scala 1:6.8 di una turbina del diametro di 130 metri e che si alza sull’acqua per oltre 150 metri. Della stessa turbina è poi stato costruito anche un prototipo più piccolo, in scala 1:42, che è stato provato nei laboratori dell’INM in diverse condizioni di mare e vento al fine di studiare e comprendere al meglio i fenomeni fisici coinvolti e validare i modelli numerici sviluppati, indispensabili per una progettazione sicura delle piattaforme galleggianti per turbine eoliche.

Il progetto e il laboratorio hanno riscosso grande successo in campo europeo, tanto che il sito è stato selezionato per il testing di un nuovo prototipo di piattaforma eolica all’interno di un importante progetto EU, Horizon “Floatfarm”, che vede 10 Paesi europei coinvolti per un finanziamento di circa 5 milioni di euro, di cui oltre 1,5 per il nostro Paese, pari a quasi il 30% del totale.

vasca navale
Il prototipo in scala di turbina eolica galleggiante durante i test in presenza combinata di vento e onde presso il bacino Emilio Castagneto dell’Istituto di Ingegneria del Mare del CNR. In questo caso, la piattaforma galleggiante è un’ibrida multi-purpose che include un sistema di conversione dell’energia delle onde (WEC) che sfrutta le variazioni di livello dell’acqua contenuta nei tre cassoni cilindrici (design Politecnico di Torino – progetto TEOREMA e PNRR-NEST).

Intervista all’Ing. Chiara Pilloton, ricercatrice

Ing. Chiara Pilloton, lei segue direttamente i test condotti in questi due laboratori così particolari, uno in mare e uno in vasca navale. Qual è la loro finalità?

Riguardo i test in vasca navale, quindi in condizioni di laboratorio, abbiamo realizzato un apposito set up sperimentale al fine di testare il comportamento dinamico di vari modelli di piattaforme galleggianti complete di aerogeneratore in presenza di vento e onde in condizioni operative ed estreme.

Per questo, all’impianto di generazione delle onde già presente in vasca è stata abbinata una galleria del vento, appositamente costruita e ancorata al carro dinanometrico, costituita da 17 ventilatori assiali disposti su 4 file con i quali indirizzare sulla turbina un flusso d’aria con una velocità fino a 5 metri al secondo. Il modello della turbina, composto da torre e aerogeneratore, è stato realizzato in scala 1:42 rispetto a una turbina NREL 5MW di circa 130 metri di diametro e un’altezza di 90. Il tutto è stato progettato in modo da riprodurre il più fedelmente possibile il comportamento della turbina al vero.

Ad esempio, il motore elettrico che mette inizialmente in moto le pale è stato dotato di servomeccanismi per cambiare l’angolo di calettamento delle pale proprio come al vero, il tutto controllato e azionato con un sistema elettronico progettato ad hoc. Inoltre, per superare i problemi di scalatura, le pale sono state costruite con due diversi materiali in modo da riprodurre in scala il comportamento aeroelastico delle pale reali.

Per quanto riguarda la piattaforma galleggiante sono state provate diverse tipologie, tra cui la piattaforma, HexafloatTM progettata e brevettata da SAIPEM, una piattaforma con un diametro di 73 metri e un’altezza di 26, dotata di un contrappeso di 1900 tonnellate immerso a 115 metri dalla superficie libera. Si tratta di un nuovo tipo di piattaforma denominata “pendular floater”, una via di mezzo tra una piattaforma ‘semisub’ dotata di grande stabilità di forma e una ‘sparbuoy’ caratterizzata da un baricentro molto basso e, quindi, stabilità di peso. La particolare struttura reticolare della piattaforma, caratterizzata da componenti di ridotte dimensioni rispetto alle lunghezze d’onda tipiche del mare, la rendono di fatto “trasparente” ai carichi ondosi e, quindi, più stabile.

vasca navale
Gli ingegneri dell’Istituto di Ingegneria del Mare del CNR, Alessia Lucarelli, Andrea Bardazzi, Chiara Pilloton, al lavoro durante i test sperimentali.

A cosa sono servite queste prove?

Lo studio della dinamica di sistemi galleggianti per l’estrazione di energia dal mare è una sfida di fondamentale importanza per il settore delle energie rinnovabili. La comprensione della dinamica di queste strutture è essenziale per la progettazione di soluzioni sempre più innovative al fine di ottimizzare le prestazioni, ridurre i costi e l’impatto ambientale.

A tal fine, le campagne di misura sperimentali in laboratorio ‘indoor’ su modelli in scala rappresentano uno step fondamentale per lo studio di tali tecnologie, basilare anche per la validazione dei modelli numerici utilizzati per la progettazione, l’analisi e la realizzazione di un sistema di replica digitale (digital twin) da usare come modello predittivo sul comportamento e le prestazioni e per poter sperimentare dei miglioramenti senza doverli testare sul sistema stesso.

Poi in laboratorio si lavora su modelli di dimensioni ridotte, che vuol dire costi ridotti perché i modelli sono più facili da movimentare e installare, è più facile misurare le grandezze d’interesse, eseguire modifiche oppure cambiare scenario operativo. Ovviamente il laboratorio ha i suoi limiti dovuti essenzialmente ai problemi di scalatura che interessano ad esempio le linee di ancoraggio, difficili da riprodurre in scala sia in termini di materiali sia nelle varie configurazioni di catenaria che può essere semitesa, tesa eccetera.

Così come non si può testare in scala l’usura dei materiali oppure la presenza di un particolare ecosistema.

È per cercare di superare questi limiti che eseguite anche prove in mare? Lo chiediamo a lei, ing. Andrea Bardazzi, che sta seguendo direttamente gli aspetti tecnici e operativi.

Sì, esatto. Il nostro MaRELab, nel mare di Napoli, è un laboratorio unico in Italia, dove si lavora con prototipi di dimensioni importanti, molto più vicine a quelle reali rispetto ai prototipi che è possibile testare nei laboratori al chiuso. Nel caso specifico parliamo del prototipo di una turbina da 5 MW del diametro di 130 metri che, in scala 6.8, diventa comunque un oggetto di dimensioni ragguardevoli, alto sull’acqua oltre 20 metri: praticamente come una palazzina di tre piani.

Queste dimensioni permettono di fare prove in ambienti operativi molto vicini a quelli reali, dove verificare il funzionamento dell’impianto nelle varie condizioni di vento e di mare. Non solo.  Prototipi così grandi permettono di simulare con un elevato grado di affidabilità anche le fasi di costruzione, montaggio, installazione in mare, nonché i possibili problemi che possono sorgere durante una lunga permanenza in un ambiente ostile come il mare.

Tutto ciò è estremamente utile per l’industria che poi dovrà costruire questi impianti perché, con costi contenuti, si possono ottenere delle stime affidabili sui reali costi di costruzione e, soprattutto, sui costi di messa in opera e di gestione.

Ad esempio, è possibile capire se sarà necessario costruire delle infrastrutture ad hoc per questo tipo di impianti, come banchine portuali in grado di accogliere queste enormi strutture oppure gru di dimensioni adeguate a movimentarle. Questi grandi prototipi servono quindi anche a simulare queste fasi indispensabili per sviluppare un piano economico affidabile.

Trattandosi di un laboratorio in mare, le prove si svolgono durante tutto l’anno in modo da verificare tutte le condizioni meteomarine?

Ogni anno svolgiamo una sessione di prove per un periodo limitato nei 3-4 mesi tra la fine dell’estate e la fine dell’autunno, periodo durante il quale si hanno le condizioni meteomarine più rispondenti alla scala del nostro prototipo. Infatti, va ricordato che stiamo pur sempre lavorando con dei modelli in scala, seppur di grandi dimensioni.

Ad esempio, se protraessimo le nostre prove anche in pieno inverno, oltre ad aumentare i rischi di danni per il prototipo, incontreremmo delle condizioni meteomarine fuori scala perché, ad esempio, un’onda di 3 metri per il nostro prototipo in scala 6.8 equivarrebbe ad un’onda di oltre 20 metri, irrealistica nel Mediterraneo.

piattaforma galleggiante
Il prototipo in scala 1:6.8 della piattaforma galleggiante Hexafloat completo di contrappeso durante le fasi di installazione nel laboratorio a mare MaRELab.

Cosa cambia tra una campagna di prove e l’altra?

Ad esempio, tra la campagna del 2021 e quella del 2023 è stato cambiato il contrappeso che fornisce stabilità alla piattaforma galleggiante. Questo non per problemi di stabilità ma per renderlo più facile da installare, sempre nell’ottica di ridurre i problemi legati alla gestione di strutture così grandi. Oppure si provano i diversi tipi di linee di ancoraggio, un aspetto estremamente delicato di queste infrastrutture che è molto difficile da studiare sui piccoli prototipi in scala dimensionati per le prove in vasca.

Cosa misurate durante le campagne sperimentali?

Le misure che eseguiamo sono molteplici. A partire dai carichi sulle linee di ancoraggio e sul contrappeso. Poi misuriamo i moti della piattaforma e le performance energetiche della turbina mettendole in relazione con le condizioni meteo marine che monitoriamo in modo molto accurato. Ad esempio, la velocità e la direzione del vento vengono misurate a varie altezze in modo da avere il profilo verticale della velocità.

Ma in futuro, a partire dalla prossima campagna sperimentale che partirà quest’estate, misureremo anche le pressioni aerodinamiche che si sviluppano sulle pale e la loro deformazione.

piattaforma galleggiante

 

Intervista all’ing. Lucarelli, ricercatore

Ing. Lucarelli, lo studio e la messa a punto di questi impianti eolici galleggianti sono evidentemente finalizzati a permettere una significativa produzione di energia eolica anche lungo le coste italiane, così come avviene nei mari del nord Europa. Ma sappiamo bene che in Italia gli aspetti normativi necessari a regolamentare le applicazioni di una nuova tecnologia spesso sono anche un potente freno al suo sviluppo. Come ci si sta muovendo su questi aspetti?

Purtroppo, gli iter burocratici nel nostro Paese sono spesso molto penalizzanti. Un esempio su tutti: per il primo parco eolico offshore italiano inaugurato a Taranto nel 2022 ci sono voluti ben 14 anni per giungere a compimento.

Questo per una serie di motivi, tra cui anche svariati ricorsi giudiziari. Tutto ciò ha significato tra l’altro che, dopo tanti anni, la tecnologia dell’impianto prevista nel progetto è risultata in fase costruttiva parzialmente superata.

Addirittura, certi componenti erano fuori produzione ed è stato necessario modificare il progetto con conseguente ulteriore dilatazione dei tempi. Proprio per risolvere queste problematiche come INM siamo coinvolti nel progetto europeo Marinewind, che affronta aspetti di tipo legislativo legati alla realizzazione di farm di turbine eoliche galleggianti, di accettazione sociale di tali impianti da parte delle comunità locali, di analisi degli impatti ambientali e aspetti economico-finanziari legati alla realizzazione di queste farm.

aerogeneratore
L’aerogeneratore montato sulla piattaforma galleggiante Hexafloat pronto per funzionare.

Siamo arrivati a una delle criticità di questi impianti: l’impatto ambientale. Qual è la situazione?

Innanzitutto, va premesso che i sistemi eolici galleggianti sono impianti relativamente nuovi per i quali non esiste ancora una tecnologia standardizzata. Infatti, non si può semplicemente trasferire in acqua ciò che si fa a terra, oppure da un impianto fisso a un impianto galleggiante. Bisogna poi tener conto che la tecnologia cambia a seconda del tipo di fondale, delle condizioni tipiche di quel mare eccetera.

Tutto ciò per dire che anche gli studi sull’impatto ambientale di questi impianti sono ancora pochi e, conseguentemente, si hanno ancora poche informazioni. In ogni caso, già ora possiamo dire alcune cose.

Ad esempio, il rumore sottomarino generato dalle catenarie con cui questi impianti sono tenuti in loco – catenarie che possono tranquillamente superare il chilometro – sicuramente disturba la fauna marina ma non in modo distruttivo, nel senso che i pesci sembra siano gradualmente capaci di abituarsi.

Oppure, banalmente, si spostano un po’ più in là. Ci sono poi i danni che i sistemi di ormeggio arrecano al fondo marino oppure il possibile inquinamento elettromagnetico dovuto ai cavi sottomarini che trasferiscono l’energia elettrica, tutti aspetti che vanno ulteriormente studiati.

Allo stesso tempo ci sono, però, anche effetti sicuramente positivi, come la creazione di nuovi habitat per la fauna e la vegetazione marina, un po’ come avviene con i relitti sommersi che diventano oasi di vita. Per non parlare della riserva naturale che automaticamente si viene a creare con l’interdizione alla navigazione in queste aree.

aereogeneratore galleggiante
L’aerogeneratore montato sulla piattaforma galleggiante Hexafloat pronto per funzionare

Questo per la parte immersa di questi impianti. Invece, per la parte emersa?

Per la parte emersa ci si può rifare alla decennale esperienza sugli impianti eolici esistenti, sia a terra sia in acqua, per i quali, a parte il pericolo di collisione rappresentato dalle pale eoliche in movimento per gli uccelli migratori per i quali si stanno già sperimentando diverse soluzioni, il problema più grande è il rumore prodotto e l’impatto visivo che determinano problemi di accettazione sociale.

Problemi praticamente annullati dalla considerevole distanza dalla costa di questi impianti. Tutti questi aspetti, sopra e sotto l’acqua, sono parte del progetto PNRR-NEST proprio in relazione allo sviluppo tecnologico e innovativo dell’eolico offshore, anche all’interno di possibili integrazioni con altre forme di energia rinnovabile dal mare, che potrebbe costituire la carta vincente per la transizione energetica del nostro paese.

isole energetiche
Le isole energetiche sono luoghi ove concentrare più attività produttive, tra cui impianti per la produzione di energia pulita e rinnovabile da più fonti. Quest’energia può essere poi utilizzata in diversi modi, ad esempio estraendo idrogeno dall’acqua. In questo modo l’isola diventa anche una stazione di rifornimento per le navi del futuro, un futuro in cui il panorama marino sarà caratterizzato da veri e propri arcipelaghi energetici.

Sta dicendo che l’eolico offshore può essere integrato con altre fonti di energia rinnovabile? In che modo?

In mare, oltre al vento, sono presenti in grande quantità anche altre fonti di energia pulita e rinnovabile che è possibile sfruttare. Parliamo di energia solare, ma anche dell’energia che si può produrre sfruttando il moto ondoso o le correnti marine. E allora, perché non mettere insieme i diversi dispositivi in modo da sfruttare in modo sinergico le loro caratteristiche, concentrandoli in un unico sito di produzione di energia e anche di stoccaggio?

È questa l’idea di base dietro al progetto dell’arcipelago energetico che stiamo portando avanti, sempre nell’ambito del progetto RdS, con la collaborazione di UniCampania, Roma Tre e Sapienza insieme ad altri Istituti del CNR.

L’arcipelago è costituito da una serie di isole concettualmente simili a quelle che costituiscono gli impianti di acquacultura ma con componenti diversi, a partire dall’anello esterno che le delimita, costituito da una doppia fila di Wave Energy Converter e Break Water.

Una doppia fila sfalsata di convertitori di energia dalle onde galleggianti (WEC) con una doppia funzionalità, ovvero come dispositivo che genera energia dal moto ondoso e come frangiflutti per mitigare gli effetti delle onde marine all’interno dello specchio acqueo.

Quindi un unico dispositivo che lavora in modo diverso a seconda delle condizioni marine. Così, all’interno di questo specchio acqueo l’acqua è sempre relativamente calma e non ci sono rischi per tutto ciò che vi è contenuto.

Parliamo di isole solari galleggianti, impianti di acquacoltura, piccole turbine eoliche ad asse verticale e altro ancora. A questo proposito, l’arcipelago energetico sarà poi equipaggiato con una flotta di droni aerei e di superficie e subacquei per diversi scopi, dal monitoraggio biologico delle acque e dei fondali marini alla manutenzione dei dispositivi energetici e al monitoraggio delle linee di ancoraggio.

L’energia prodotta da questi dispositivi e dalle turbine eoliche galleggianti poste intorno all’isola stessa può poi essere immessa direttamente in rete, se è disponibile un collegamento a terra.

In caso contrario, considerando anche che il costo di 1 chilometro di cavo sottomarino si aggira intorno al milione di euro, è più conveniente un utilizzo in loco dell’energia prodotta, ad esempio per dissalare l’acqua, ma anche per produrre idrogeno o metanolo che poi vengono trasportati a terra. Per quanto riguarda l’idrogeno e il metanolo è anche possibile immaginare queste isole come delle stazioni di rifornimento galleggianti dove le navi possano fare carburante.

E non stiamo parlando di fantascienza visto che il metanolo è già ampiamente utilizzato e sull’idrogeno si sta puntando molto anche con importanti sperimentazioni, come la nave a idrogeno costruita da Fincantieri ZEUS (Zero Emission Ultimate Ship) che naviga già da oltre due anni.

Pale eoliche in mezzo al mare
Pale eoliche in mezzo al mare

Anche sulle isole energetiche sono in corso degli esperimenti?

Dopo una fase di studio e sviluppo progettuale, recentemente abbiamo iniziato una fase sperimentale presso i nostri laboratori, in bacino, per verificare prima di tutto il comportamento del collare esterno dell’isola. A breve inizieremo, sempre in bacino, anche dei test dell’isola nel suo insieme, completa di tutti i suoi moduli. Successivamente è prevista la costruzione di un modello in scala maggiore per effettuare test in mare, nel laboratorio MaRELab. Parliamo di una struttura che in scala sarà di circa 20,22 metri di diametro, corrispondenti a circa 50 di diametro al vero.

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