In rotta con le costellazioni, e lucean le stelle…
Le stelle sono state il più affidabile riferimento per indicare la rotta ai marinai
Prima di essere le migliori compagne durante le nostre navigazioni notturne, le stelle sono state il più affidabile riferimento per indicare la rotta ai marinai dell’antichità. Poi sono arrivati i primi rudimentali strumenti nautici e navigare è diventato più semplice. O quasi.
Può capitare. Può capitare che ti lasci alle spalle Fiumicino e ti metti in rotta per Bonifacio, anche se un cielo grigio e non proprio confortante lascia qualche dubbio. Ma il mare è tranquillo, il meteo promette tutt’al più qualche goccia, e dopo tutto con un pizzico di presunzione non ci consideriamo marinai della domenica.
Quindi vai tranquillo, anche se ogni tanto arriva una spruzzatina di pioggia, vele dimenticate, motore a 2600 giri, sprayhood, e soprattutto pilota automatico: il nostro migliore compagno di viaggio.

Però può anche capitare che dopo una ventina di miglia la situazione peggiori, che in barba al meteo si formino preoccupanti vortici di vento, per fortuna molto localizzati e incapaci di alzare mare, finché un paio di miglia a NO appare chiara e inequivocabile una tromba d’aria che, bontà sua, punta verso terra.
Duecento giri di motore in più, e rannicchiati sotto lo sprayhood – perché la pioggia si è fatta più consistente – si osserva il corso degli eventi. Rannicchiati sotto lo sprayhood? Un vero colpo di fortuna.
Perché può capitare, ed è capitato, che all’improvviso con un botto forte e secco come una cannonata, arrivi un fulmine perfettamente centrato a poppa sull’antenna del GPS (esattamente il mio abituale posto durante la navigazione).
Un botto che la Bomba di Maradona al confronto sarebbe sembrata un mortaretto. Un attimo di incredulità, stupore, paura preoccupazione, poi partono tutti gli allarmi di bordo, ma la cosa più grave è che all’improvviso non c’è più uno strumento funzionante: ecco, uno si dice, e adesso? Torniamo indietro? No. Andiamo avanti senza strumenti per le prossime cento e passa miglia?
Già fatto una trentina d’anni fa, ma oggi non è né ieri né l’altro ieri, però dopo tutto gli antichi navigavano così, e di notte avremmo avuto le stelle a confortarci e a guidarci, ma sapremmo farlo?
Finché, a pensarci bene, uno si ricorda di avere, proprio lì chiuso nella sua chiesuola, il più trascurato degli strumenti nautici: la bussola, che all’improvviso diventa regina della situazione. E allora vai, Bonifacio stiamo arrivando!
Ci si perdoni questo breve amarcord, che vuole però essere il frutto di una precisa sensazione, quella di quando all’improvviso ti trovi in alto mare senza alcuno strumento e ti chiedi come facessero gli antichi navigatori a orientarsi in mare aperto, dato che loro la bussola non ce l’avevano. Le stelle, il sole, la luna, il vento, le correnti, la direzione delle onde, a volte il volo degli uccelli, magari a volte semplicemente la fortuna?
Oppure la sfortuna, dato che non sempre i calcoli erano esatti e a volte le navi si perdevano, o altre volte semplicemente naufragavano. Almeno finché non comparvero i primi rudimentali strumenti di navigazione fu proprio così. È una bella storia e vale la pena di approfondirla.

In rotta con le stelle
Finché si trattava di spostamenti costieri, in quei tempi lontani era possibile navigare a vista. E di notte, quando le distanze dalla costa non erano eccessive, un buon riferimento, per quanto raro e occasionale, potevano essere un faro o, in particolare nel Tirreno meridionale, la luce inconfondibile di un vulcano come lo Stromboli o l’Etna.
Quando però si navigava in alto mare e non c’era neanche il conforto di un faro non restavano che le stelle, che tutt’oggi, in una notte serena e lontano dalle luci terrestri, oltre ad essere uno straordinario spettacolo sono un ottimo punto di riferimento per chi naviga, anche se non sempre consultabili dato che per utilizzarle bisogna vederle e se il cielo è nuvoloso possono sorgere problemi.
Fin dall’antichità la fantasiosa creatività degli osservatori del cielo si è divertita a tracciare figure virtuali in qualche modo suggerite dalla posizione degli astri. Sono così nate decine e decine di costellazioni (al momento se ne contano 88), da un lato fondamentali per tracciare quei segni zodiacali da cui far dipendere il nostro destino, e dall’altra più realisticamente utili per orientarsi in mancanza di altri punti di riferimento.

Venere
Nell’emisfero boreale, il nostro per capirci, la prima “stella” che appare al calar della sera (ma anche l’ultima ad andarsene poco prima dell’alba) è Venere, che in realtà è un pianeta, il più luminoso degli otto che formano il nostro sistema solare (dal 2006 Plutone è stato declassificato a pianeta nano).
Venere, conosciuta fin dai tempi più remoti (i Babilonesi la chiamavano Ištar), è comunque luce amica e per vari motivi la più simpatica, non per altro identificata poi con la dea dell’amore e della bellezza. Non è però granché utile per orientarsi, salvo per il fatto che sorge, come tutta la volta stellata del nostro emisfero, a Est per poi tramontare a Ovest, mentre nel cuore della notte, avendo un’orbita interna rispetto a quella della Terra, scompare e di giorno è “accecata” dalla luce solare.
L’Orsa Maggiore
Nello stellarium mediterraneo, la costellazione più facilmente identificabile è il Gran Carro, parte del più complesso asterismo dell’Orsa Maggiore, una costellazione che ci accompagna in ogni stagione dell’anno e che prima di essere assimilata a un plantigrado fu vista come un ippopotamo dagli antichi Egizi, come la costellazione dei sette buoi dai Greci, e come un cinghiale dai Galli.

Tutto sommato è più poetica l’orsa. Oltre a offrire una suggestiva visione astrale, il Gran Carro è utile soprattutto perché prolungando una linea di congiunzione fra le ultime due stelle della parte posteriore di questa costellazione, Merak e Dubhe, si arriva facilmente a una costellazione simile ma più piccola, per l’appunto il Piccolo Carro o Orsa Minore, non sempre facilmente individuabile se non proprio per quella stella a cui ci porterà la direttrice appena tracciata: una stella leggermente più luminosa delle altre (è al 50° posto nella scala di luminosità delle circa 6.000 stelle visibili a occhio nudo), l’ultima del timone del carro e comunque di grande importanza per i navigatori dell’antichità, la Stella Polare.
Anche se visibile tutto l’anno, affermano gli astronomi che il suo momento di maggior visibilità sia alle 22,00 del 13 giugno, ma la Stella Polare è in ogni caso facilmente visibile a occhio nudo, tanto che a individuarla per primo, più o meno nel 600 a.C., fu il buon vecchio Talete, che ricordiamo con piacere perché sosteneva che il principio di tutte le cose…è l’acqua, e a noi l’acqua piace.
L’Orsa Minore
E fu proprio Talete il primo a capire l’importanza dell’Orsa Minore – benché secondo gli ultimi rilevamenti disti dalla Terra 323 anni luce – per orientare le navigazioni notturne, suggerendo agli antichi marinai greci di usare come riferimento questa costellazione, più affidabile dell’Orsa Maggiore alla quale erano abituati. Del resto, la Stella Polare, che notoriamente indica il Nord, è l’unica nella cartografia celeste a noi visibile ad essere apparentemente sempre fissa in quanto si trova nella proiezione immaginaria dell’asse terrestre, in modo che tutte le altre stelle sembrano ruotarle attorno.

Tuttavia, a causa dei movimenti della Terra rispetto alla volta celeste, potrà essere utile, ma forse anche no, sapere che la posizione della Stella Polare cambia nell’arco dei secoli, o meglio dei millenni, e che fra 5000 e passa anni cederà il testimone a Mu Cephei, mentre nel 14.000 prossimo venturo a segnare il Nord sarà la stella Vega.
La Stella Polare
Più interessante magari ricordare che, Stella Polare a parte, riavvolgendo il nastro di qualche migliaio di anni già intorno al III secolo a.C. Aratos di Soli aveva descritto nel suo “Phenomena”, con discreta precisione ovvero nell’ordine di ascesa e tramonto, le principali costellazioni del cielo mediterraneo.
E da qui alle prime per quanto rudimentali carte nautiche, con tanto di indicazioni dei porti, dei venti e delle rotte, il passo fu breve. In vicinanza delle coste, poi, e di presumibili bassi fondali, ci si aiutava anche con lo scandaglio che, in attesa di quello elettronico, era squisitamente umano: in pratica un marinaio a prua lanciava in acqua una sagola collegata a un piombo, generalmente piramidale e con uno strato di sego sul fondo concavo, e dalla lunghezza della sagola e degli eventuali residui rimasti attaccati al sego si potevano desumere profondità e caratteristiche del fondo.
Da notare che questo sistema, con qualche piccola variante, è rimasto in auge per secoli.

Le stelle più belle
Se però forti delle nostre attuali strumentazioni, mentre la barca procede lenta e tranquilla lungo la rotta, volessimo limitarci a osservare lo straordinario spettacolo del cielo notturno, possiamo segnalare due costellazioni di facile identificazione e suggestivo disegno.
Cassiopea con la sua caratteristica forma a “W” in primavera-estate che però diventa una “M” in autunno-inverno, e Orione che soprattutto nel periodo invernale mostra orgoglioso la sua cintura: tre stelle particolarmente luminose e ben allineate, seguendo le quali con lo sguardo si arriva facilmente a vedere Sirio, una delle stelle più luminose del nostro emisfero.
Se poi le condizioni meteo lo consentono, offrendo il massimo della limpidezza e la totale assenza di luci parassite, non sarà difficile scorgere una costellazione che nel suo piccolo, si fa per dire, trovo personalmente molto suggestiva: le Pleiadi, anch’esse usate spesso dagli antichi marinai come riferimento astronomico.

Nel caso vi trovaste invece a navigare nell’emisfero australe, magari girovagando per le Maldive o giù di lì, difficile non restare affascinati dalla Croce del Sud, una costellazione di semplice e lineare bellezza, utile anche – lo dice la parola stessa – per individuare come riferimento astronomico il Sud seguendo il suo braccio più lungo. A titolo di curiosità, può essere interessante ricordare che nell’antichità classica questa costellazione era visibile anche dal Mediterraneo.
La Croce del Sud sembra per altro sfuggire a una strana regola comune alle nostre più amate costellazioni: sia il Grande sia il Piccolo Carro o le stesse Pleiadi, note anche come le sette sorelle, sono infatti formati da sette stelle (quelle più visibili), mentre la Croce del Sud ne ha solo quattro.
Comprensibilmente meno affidabili come riferimento astronomico di navigazione, sono invece le “stelle cadenti”, che in compenso nelle calde notti estive offrono uno spettacolo ricercato e assai suggestivo.

Prima dell’elettronica
Per quanto il Mediterraneo sia tradizionalmente considerato la culla della nostra civiltà, in fatto di navigazione molti ricercatori assegnano la palma dei primi navigatori in mare aperto agli antichi polinesiani che, per motivi migratori, cominciarono a mettere le loro prue nell’acqua dell’Oceano Pacifico già 5.000 anni fa.
In Mediterraneo, a spingere i nostri antichi progenitori a lasciare la rassicurante terraferma per avventurarsi timidamente fra le onde, fu probabilmente l’innalzamento del mare dovuto allo scioglimento dei ghiacci conseguente all’ultima glaciazione, diciamo a braccio circa 10-12.000 anni fa.
Chiaro che le prime navigazioni avvennero in acqua dolce o lungo costa memorizzando montagne e linee costiere, poi con un pizzico di audacia si puntarono però le isole a vista e, una volta fatte le prime avance in mare aperto, per orientarsi ci si rivolse prima ai movimenti del sole, e quando ci si sentì più sicuri dovendo affrontare distanze più importanti si affrontò anche la notte guardando alle stelle come unico riferimento di navigazione.
Se si aggiunge una crescente conoscenza sull’andamento dei venti e delle correnti si arriva a capire come già ai tempi dell’Odissea, presumibilmente intorno al 1200 a.C., ci si muovesse in Mediterraneo con una certa disinvoltura.
Questa estrema sintesi che racchiude diverse migliaia di anni ci porta in senso storico al passo successivo, quello in cui apparvero i primi strumenti nautici. Fra i primi ad essere usati ci fu sicuramente un adattamento della meridiana, che misurando l’altezza del sole con l’aiuto del suo gnomone consentiva di determinare con una buona approssimazione la latitudine della nave.
Uno strumento rustico e semplice nella sua struttura: in pratica uno stilo infisso su una tavoletta che proiettava la sua ombra su una serie di cerchi concentrici, che però era un po’ meno semplice nell’uso pratico.
Tuttavia fu proprio con uno strumento del genere che Pitea, grande navigatore greco del IV secolo a.C., riuscì a determinare la latitudine di Marsiglia con un errore di soli 15’. Lo gnomone fu poi perfezionato da Tolomeo con il suo “plinto”, che però, date le caratteristiche anche dimensionali, non poteva essere utilizzato in navigazione.
Con un salto di parecchi secoli ritroviamo uno strumento assai simile utilizzato da un popolo di grandi navigatori, i Norreni, il cui braccio armato dedito alla pirateria più noto come Vichinghi, aveva sviluppato un altro interessante strumento che poteva essere utilizzato anche in mancanza di sole.
Sfruttando le proprietà birifrangenti di alcuni cristalli di calcite, da loro chiamati “pietre del sole” (sólarsteinn) ma conosciuti anche come spato d’Islanda, e sfruttando il fenomeno della polarizzazione, questi marinai – che non conoscevano la bussola – riuscivano infatti a individuare la posizione del sole e quindi a orientarsi a prescindere dal meteo contrario.

Stelle d’oriente
Un particolare contributo alla strumentistica di navigazione venne anche dagli arabi, di cui si conoscono le notevoli qualità di astronomi e navigatori.
Qui tornano di moda le stelle, che sono alla base di due strumenti molto simili, il kamal e il khashabà, rudimentali rilevatori astronomici, che in seguito furono usati anche da Vasco de Gama: nella loro estrema semplicità consentivano, conoscendo il porto di partenza, di orientare la propria rotta.
Il kamal non era altro che una tavoletta rettangolare di legno al cui centro veniva posto un sagolino con dei nodi corrispondenti alla latitudine dei principali porti conosciuti. Puntando il bordo superiore del kamal sulla Stella Polare e quello inferiore sull’orizzonte, contando i nodi era possibile stabilire la latitudine della propria posizione.

Benché kamal in arabo significhi anche “perfezione”, i rilevamenti di questo strumento erano al contrario assai approssimativi, e benché – come detto – fu usato anche da Vasco de Gama nelle sue navigazioni transoceaniche, fu poi sostituito in tempi più recenti dalla balestriglia, detta anche “Bastone di Giacobbe”: uno strano ma abbastanza preciso strumento astronomico apparso agli inizi del ‘500, e probabilmente mutuato da un analogo strumento creato nel XI secolo da Avicenna, noto matematico persiano.
Si trattava in pratica di un’asta graduata a sezione rettangolare lunga circa 150-180 centimetri, dotata a un’estremità di un mirino e di una più corta asta perpendicolare detta martello che, dotata di due piccole punte (pinnule), scorreva lungo l’asse principale.
Puntando una pinnula su un determinato bersaglio, mentre l’altra pinnula traguardava l’orizzonte, era possibile con i riferimenti dell’asse principale determinare l’altezza di una stella. Nei secoli successivi la balestriglia ebbe diverse evoluzioni che la dotarono di più martelli sullo stesso asse ampliandone le possibilità d’uso, tanto che rimase in uso fino a tutto il ‘700.
Di tutti questi strumenti di indubbio valore storico oggi restano pochi reperti, del resto esteticamente abbastanza anonimi, mentre l’astrolabio, uno degli strumenti nautici più importanti dell’antichità, dopo essere stato per secoli al servizio dei marinai, per il disegno complesso e suggestivo dei suoi indicatori è diventato anche un gradevole oggetto d’arredamento.
La complessità degli strumenti di orientamento astronomico crebbe inevitabilmente con la loro evoluzione, e l’astrolabio, ideato già in epoca pre-cristiana e poi sviluppato dal matematico Teone di Alessandria (IV sec.), ne è una chiara dimostrazione. Perfezionato dagli arabi intorno all’Ottocento e portato in Europa attraverso la dominazione islamica della Spagna, fu ulteriormente perfezionato diventando un importante strumento di riferimento per i marinai fino in epoca rinascimentale.
Se semplificando i discorsi e traducendo liberamente l’etimologia del termine, di origine greca, l’astrolabio è in pratica un “cattura stelle”, in realtà si tratta di uno strumento che, alquanto complesso sia nella sua struttura sia nella lettura dei vari riferimenti, consente di seguire il percorso apparente del sole e delle stelle in diversi giorni dell’anno e in diverse ore, fornendo di conseguenza le coordinate della propria posizione.

Se però parliamo di difficoltà d’uso, l’ottante prima e il sestante dopo, strumenti sviluppati in sequenza a partire dal ‘700 prendendo probabilmente spunto da alcuni studi di Isaac Newton, necessitavano di una competenza maggiore, garantendo in compenso ben altri risultati in termini di precisione. Poi, l’avvento dei sistemi di radioposizionamento – e in particolare del Gps – ha mandato tutti in pensione.
In ogni caso, provo personalmente sincera ammirazione per chi tuttora è in grado di utilizzare il sestante come fosse il telecomando del televisore, così come mando un altrettanto sincero ringraziamento a chi ha inventato la cartografia elettronica.
C’è tuttavia un qualcosa che sopravvive a tutto questo indiscutibile progresso: uno strumento presente e indisturbato da secoli sia su navi e traghetti sia sulle nostre barche, dove per altro è obbligatorio come dotazione di sicurezza per navigare oltre le 6 miglia dalla costa. Insomma, la bussola. Sul suo utilizzo non sprecheremo più di tante parole, essendo conosciuta anche dai peggiori marinai di banchina. Ma è sicuramente interessante darne qualche cenno storico, se non altro per la diatriba mai risolta circa le sue origini.

Una grande scoperta
L’esistenza di un campo magnetico terrestre ben orientato viene tradizionalmente attribuita ai cinesi, così come gli spaghetti, la carriola, l’agopuntura, la polvere da sparo, la carta, la stampa e via dicendo. Ma da qui a sfruttare il magnetismo ai fini dell’orientamento in mare con l’invenzione della bussola c’è voluto un bel po’ di tempo, in pratica fino al XI secolo.
Che poi – come tradizione vuole – questa magica invenzione sia stata messa a punto e divulgata in Mediterraneo da Flavio Gioia, navigatore amalfitano del XII secolo, è come detto un discorso che si presta a varie interpretazioni. Anche perché, a rigor di documenti, un signor Flavio Gioia ad Amalfi non è mai esistito, e l’attribuzione fu probabilmente frutto di un errore di trascrizione.

Resta il fatto che in Mediterraneo, e più generalmente in Occidente, l’arrivo della bussola cambiò totalmente il modo di navigare, tanto da contribuire e non poco alle grandi scoperte dei secoli successivi e alla diffusione di nuove rotte commerciali anche transoceaniche.
Questo nonostante sia ben noto, soprattutto a chiunque abbia preso la patente nautica, che il Polo Nord magnetico e quello geografico quasi sempre differiscono, sebbene sulle brevi distanze la declinazione magnetica, ovvero la differenza fra le due misurazioni, è minima e ininfluente.
Per essere storicamente più precisi, ricordiamo che la bussola vera e propria fu preceduta – anche se di poco – dalla pixidis nautica, uno strumento assai simile ma più primitivo in quanto l’ago magnetico lavorava a secco all’interno di una scatola di vetro sulla cui faccia superiore era riportata una circonferenza con indicate le tacche dei vari gradi.
Quando si notò che in alcune circostanze, per l’epoca incomprensibili ma in realtà dovute ad alcune alterazioni magnetiche del sottocosta, l’ago magnetico sembrava impazzire, si scoprì anche che racchiudendo il meccanismo in una scatola di un legno particolare come il bosso il fenomeno veniva molto attenuato. Verso la fine del XIII secolo, la pixidis divenne così il “bossolo”, ovvero la bussola, successivamente migliorata inserendo fra l’altro sul fondo una Rosa dei Venti che facilitava la lettura della direzione.

Oggi, con l’arrivo dell’elettronica, la bussola a bordo può apparire come un accessorio poco più che ornamentale, anche se, come detto, obbligatorio fra le dotazioni bordo. Tuttavia, poiché in mare l’imprevisto va sempre previsto, può capitare che la sua presenza diventi fondamentale.