Speciale catamarani: nel segno dei gemelli – Le origini
Uno scafo principale e uno più piccolo, in funzione di bilanciere; uno scafo principale e due piccoli laterali per una prodigiosa stabilità di forma; infine due scafi gemelli, o meglio speculari, per ottenere il migliore compromesso tra prestazioni idrodinamiche e abitabilità.
È così che, pur appartenendo alla stessa famiglia dei multiscafi, il proa e il trimarano hanno lasciato il passo al catamarano come migliore alternativa alla classica configurazione monocarena. Argomento per argomento, andiamo alla scoperta di questo affascinante mezzo nautico.
Le origini
Una storia antica
Se per quanto riguarda l’Occidente la storia della navigazione ha pochi segreti, grazie a una documentazione tramandata da tutti i popoli che si affacciavano sul Mediterraneo, di quello che in epoche lontane succedeva oltre oceano, soprattutto in un oceano ben più lontano di quello solcato per la prima volta da Colombo, sappiamo molto poco.
Eppure i Polinesiani furono fra i più grandi navigatori del passato, arrivando a colonizzare centinaia di isole nel Pacifico, ed è curioso notare come, una volta scoperta l’instabilità di una canoa, arrivarono presto a concepire un’imbarcazione a due scafi: quel proa che è riconosciuto come il primo catamarano della storia.
A giustificare quest’evoluzione ci furono ragioni pratiche, come il fatto che la scarsità di legname non stimolava la costruzione di imbarcazioni a fasciame, mentre le prime canoe che nascevano dalla modellazione di tronchi d’albero scavati con le braci, poiché all’epoca non conoscevano i metalli, si dimostrarono troppo instabili per affrontare navigazioni impegnative.
Poiché le idee nascono spesso dalla maturazione di un’esigenza, si arrivò presto a dotare quelle prime imbarcazioni di un secondo scafo con il semplice compito di bilanciere per migliorare la stabilità di quello principale, e nacque per l’appunto il proa.
L’innovazione non fu di poco conto, perché la maggior stabilità ampliò il range di utilizzo e, parzialmente, anche la capacità di carico. Inoltre va notato che il proa, data la sua simmetricità longitudinale, poteva navigare indifferentemente di poppa o di prua risultando di grande maneggevolezza.
D’altro canto anche questa barca ebbe una rapida evoluzione, sia nel dotarsi di due scafi simmetrici e diventando quindi un vero e proprio catamarano, sia nell’arrivare a dotarsi di un terzo scafo, diventando quello che oggi chiameremmo trimarano. A quel punto la propulsione non poteva più ovviamente essere unicamente a remi, e quindi queste barche si dotarono di una vela che tuttavia, data la mancanza di una deriva e di un timone, non consentiva di risalire il vento.
Le popolazioni Tamil
Un’evoluzione simile si ebbe nell’Oceano Indiano, e in particolare presso le popolazioni Tamil, una comunità di pescatori che popolava l’estremo Sud dell’India, dalla cui lingua si ritiene sia derivata la stessa parola catamarano (kattu-maram, ovvero alberi-legati), mentre per rimanere nell’area dell’Oceano Pacifico si possono citare i drua tipici delle Fiji e dell’isola di Tonga, evoluzione anche dimensionale dei proa polinesiani, che arrivavano a misurare oltre 30 metri di lunghezza e venivano spesso utilizzati per scopi bellici.
Queste particolari tipologie di imbarcazioni furono scoperte dal mondo occidentale solo nel 1521 in occasione della spedizione di Magellano, che le ritenne tuttavia inadatte agli utilizzi in Mediterraneo in quanto troppo fragili e con scarse capacità di carico. Forse però il buon Ferdinando non sapeva che, anche se in modo del tutto sperimentale e con strutture assai diverse, i catamarani avevano già navigato nei nostri mari.
I Greci
I Greci, ad esempio, avevano sperimentato un gigantesco catamarano, la Tessarakonteres, molto basilare nella sua struttura che univa due scafi di 130 metri con un ponte che portava la larghezza totale a 17 metri e che si muoveva grazie alla spinta di circa 2.000 rematori suddivisi sui due scafi e in tre ordini di remi per un totale di 150 remi per lato.
Questa mostruosità nautica, voluta da Tolomeo IV Filopatore per scopi bellici (poteva ospitare sul suo ponte 2850 soldati) e di rappresentanza, fu la più grande nave a remi mai costruita, ma fu presto abbandonata in quanto si rivelò mal governabile e poco adatta agli scopi per la quale era stata costruita.
I Romani
Anche i Romani, va ricordato, sperimentarono delle imbarcazioni da guerra a doppio scafo di derivazione ellenistica, che furono utilizzate nella presa di Siracusa (214-212 a.C.), in quanto montavano a prua una lunga piattaforma a gradini che poteva appoggiarsi alle mura della città e sbarcare direttamente i soldati all’interno.
In Perù
E che il catamarano fosse una formula vincente lo testimoniano anche le barche di papiro a doppio scafo del lago Titicaca, in Perù, senza dimenticare, con un pizzico di ironia, che anche i patini presenti sulle nostre spiaggia, detti anche “mosconi” e spesso usati per il salvataggio, sono in fondo dei catamarani.
Mentre i catamarani continuarono ad essere largamente usati nell’indo-pacifico, il Medioevo occidentale vide solo il grande sviluppo dei velieri, adattati nelle loro diverse tipologie alle esigenze della guerra e del commercio. Fu quindi epoca buia per i catamarani, che non furono mai presi in considerazione. Fu infatti solo nel XVII sec. che un inglese, Sir W. Petti, costruì un catamarano per dimostrare la sua superiorità nei confronti dei monoscafi, e un secolo più tardi, uno scozzese, P. Miller, ne realizzò uno di 34 metri, con ben 5 alberi e quattro ruote a vapore.
Il Castalia
Fu solo nel tardo ‘800 che si arrivò a un utilizzo commerciale dei catamarani soprattutto per il trasporto passeggeri: il Castalia, varato nel 1874, era lungo 90 metri e poteva portare attraverso la Manica fino a 1.000 passeggeri; essendo tuttavia considerato lento per i suoi 11 nodi di velocità, fu presto surclassato dai monoscafi.
La strada era tuttavia aperta e, grazie alle loro speciali caratteristiche, sempre più affinate, i catamarani si sarebbero progressivamente affermati nella navigazione commerciale e, un po’ più tardi, nel diporto.





