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Il tender: un accessorio importante

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È un acquisto che si fa spesso a cuor leggero, senza troppo soffermarsi su quelle caratteristiche che diventeranno invece importanti al momento di utilizzarlo. Pram o tender che dir si voglia, il “gommino” è oggi l’irrinunciabile appendice delle nostre crociere.

Che sia un gommoncino di due metri o un center console superfuoribordato al servizio di un megayacht, il tender è per definizione un mezzo di appoggio alla nave madre, e se il suo utilizzo a prescindere dalle dimensioni può essere per certi versi simile, nel senso di facilitare gli spostamenti da barca a terra, nella realtà è molto più vario e complesso tanto da essere diventato, soprattutto per le barche da diporto di dimensione umana, un accessorio indispensabile per il benessere della crociera. Non a caso, in questi ultimi anni, il mondo dei tender, o pram che dir si voglia, ha visto una grande evoluzione e l’impegno di tutti i grandi brand.

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Appurata quindi la sua indiscussa utilità, a prescindere come detto dalle dimensioni, proviamo a entrare nel dettaglio per verificarne il perché, ovvero vediamo perché un tender può rendere più piacevole la nostra crociera, fermo restando che prenderemo in considerazione soprattutto quelle barche di medie dimensioni che costituiscono la stragrande parte delle imbarcazioni utilizzate nelle crociere estive.

In estate c’è chi alle quattro di pomeriggio salpa l’ancora e si avvia verso il porto per avere la certezza di mettere la poppa in banchina, il che non è neanche detto perché spesso i posti disponibili oltre quelli prenotati sono pochi. Chi ha un ormeggio fisso o prenotato segue comunque poco dopo cercando di evitare il gran caos del rientro serale, sperando di poter contare sull’aiuto di un ormeggiatore libero, ma anche in questo caso non è detto che la scelta sia vincente.

Se non altro perché in estate i porti sono sempre superaffollati, e quando vi hanno incastrato fra altre due barche dovrete subire inesorabilmente una promiscuità non sempre gradevole. Si va infatti dal branco di ragazzini urlanti e indifferenti ai richiami dei genitori, al cane del vicino di barca che abbaia anche se vede una mosca a mezzo miglio, ai teenager che vogliono farvi partecipi del loro entusiasmo musicale sparando con scarsa educazione il nuovo impianto stereo, al pesante olezzo del pesce che si rosola sul barbecue della barca accanto.

Poi, se volete, metteteci anche le inquietanti vibrazioni del vicino che russa di notte. Abbiamo esagerato? Forse un po’ si, ma la realtà non è poi molto diversa, e questa è la ragione per cui personalmente, se posso farne a meno, bypasso i porti e mi unisco a chi se la prende del tutto comoda, molla l’ancora al primo calar del sole e se ne torna pigramente ad ormeggiare nella cala più vicina al porto senza per questo dover rinunciare al classico aperitivo serale, o a un po’ di shopping post cena. Il segreto di questa libertà si chiama tender, anche se poi in porto c’è sempre da conquistarsi una bitta o un anello per fissare la cimetta d’ormeggio, ma questa è l’estate bellezza: prendere o lasciare.

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Un barchino milleusi

L’uso primario del pram non deve però far passare in secondo piano i numerosi utilizzi alternativi di questo prezioso alleato della nostra crociera. Il tender può infatti essere usato per andare a girovagare fra gli scogli del sottocosta, dove a volte si aprono piccole insenature e grotte inaccessibili per la barca, ma può anche essere usato per andare a immergersi su una secca, per una pescatina al tramonto nella speranza di rallegrare la mensa di bordo, o anche per portare il cane su una spiaggia (possibilmente poco frequentata) a fare i suoi bisogni, avendo ovviamente cura di recuperarli con l’apposito sacchetto (i bisogni…ma anche il cane). Meglio evitare, invece, come purtroppo molti fanno, di lasciare il pram in mano ai propri figli quasi fosse un giocattolo, perché anche se dotato di pochi cavalli un fuoribordo è comunque in grado di lasciare un pessimo ricordo sulla schiena di un malcapitato nuotatore, se non peggio.

Un’ultima funzione generalmente poco considerata del tender è quella di un’ulteriore sicurezza in caso di emergenza, perché certo c’è la zattera, ma al momento del bisogno è effettivamente raggiungibile? Siamo in grado di metterla rapidamente in mare? Si aprirà magicamente come da prassi? E in ogni caso il nostro tender è lì, al guinzaglio come un cagnolino, solido e comodo, e come si diceva una volta “two is meglio che one”!

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Assodata la comodità di poterne disporre, il passo successivo potrebbe essere: tender sì, ma quale? Quanto grande? A motore o a remi? E con quale motore? Andiamo allora per ordine partendo dalle dimensioni, che sono anche fattore condizionante per le altre scelte. Ovvio che più è grande meglio è, ma altrettanto ovvio che occorre fare i conti con una serie di considerazioni. Ad esempio, se abbiamo intenzione di trainarcelo dietro, o magari di fissarlo in coperta. Questa seconda scelta, oltre alla primaria disponibilità di spazio, deve tener conto dell’intralcio che esso può creare alle manovre, e ovviamente delle difficoltà di alarlo e vararlo quando necessita, cosa per la quale in carenza di braccia valide è sempre consigliabile aiutarsi con una drizza e relativo winch, fissandola agli agganci del tender.
Su una barca da crociera di medie dimensioni, diciamo 10-13 metri, tender oltre i tre metri possono creare qualche problema non solo per le loro dimensioni, ma anche per le difficoltà di montare il motore al momento di utilizzarli.

Pensare infatti di tenere il fuoribordo montato in navigazione è sconsigliabile, non solo perché si sottoporrebbe lo specchio di poppa del tender (ma anche l’anello di aggancio a forti sollecitazioni, soprattutto se il mare dovesse salire, ma anche perché con il mare sale anche il vento, che quando supera certi limiti – soprattutto navigando al traverso – può facilmente ribaltare un gommoncino con le conseguenze facilmente immaginabili.

Nella valutazione delle dimensioni di un tender, della potenza e soprattutto del peso del suo relativo motore, consideriamo che spostare un fuoribordo dalla sua staffa sulla battagliola alla plancetta poppiera della barca (ammesso che sia presente, altrimenti il problema è più serio) per poi passarlo sul pram, anche con la piccola onda di risacca presente all’interno di una baia, necessita di braccia forti, piede molto marino, buona organizzazione e – non si sa mai – di una robusta sagola di sicurezza che consenta di recuperare velocemente il motore in caso dovesse sfuggire di mano e finire in acqua.

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© Ben Phillips

Se dovesse invece finire su un piede i problemi sarebbero di altro tipo. In ogni caso un motore immerso in mare per pochi minuti in genere riparte senza problemi; andare a recuperarlo su quindici metri di fondale è decisamente più problematico.

Tutto questo per dire che è inutile cercare potenze eccessive che poi servono a poco o possono addirittura diventare pericolose. Nonostante le loro carene generalmente pneumatiche, pram di 2,60-2,80 metri con un 6-8 HP e una sola persona a bordo possono anche planare, ma è bene che il manico sia adeguato perché in velocità diventano un mezzo molto instabile e poco affidabile. E dato che un fuoribordo da 6 HP pesa i suoi – per altro non facilmente gestibili – 22-24 kg, riflettiamo: ma ci serve veramente questa potenza? Personalmente dopo aver provato varie soluzioni ho optato per un motore da 2,5 HP, leggero (meno di 15 kg), economico e maneggevole, che è quanto basta per spostamenti poco impegnativi come quelli di raggiungere il porto o la spiaggia.

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Oltre l’aria

Se è vero che per gli amatori del vintage esistono ancor oggi dei pram realizzati in legno a clinker, la quasi totalità è oggi costituita da piccoli gommoni, dove per “piccoli” s’intende qualcosa grosso modo fra i 2,00 e i 3,20 metri. Se è chiaro che le dimensioni sono funzione della barca e del portafoglio, è bene tenere presente che con un pram di due metri non andate lontano, e per avere un minimo di comfort e la possibilità di portare a terra quattro persone senza mettergli a mollo il sedere, di metri ne servono minimo 2,50. Più plastico il discorso sulla scelta tipologica della carena. In mancanza di spazio, i pram con il pagliolo a stecche arrotolabili e facilmente stivabili sono una soluzione, anche se forse non delle migliori: nel caso, infatti, meglio quei pagliolati gonfiabili adatti anche a tender di maggiori dimensioni e che, a parità di leggerezza, consentono migliori qualità di navigazione oltre che, con gli attuali materiali, una discreta robustezza.

Pagliolati in legno o alluminio offrono senz’altro maggior rigidità anche alla carena e una robustezza che consente il carico di materiali pesanti, ad esempio bombole da sub, ma anche maggior peso e maggior ingombro. Il top sono ovviamente i tender a carena rigida, anche se metterli in coperta è praticamente da escludere, poiché oltre alle qualità di navigazione aumentano – e non di poco – anche peso e potenza richiesta, dunque difficoltà di trasporto e soprattutto i costi.

Da questo punto di vista è da tenere in considerazione che quasi tutti i grandi brand del settore offrono l’accoppiata motore-gommino in package, una soluzione che da un lato facilita il venditore dall’altro è un piatto conveniente anche per il compratore. Un accenno infine anche ai materiali della parte pneumatica che, nella maggior parte dei casi, sono gli stessi dei gommoni di maggiori dimensioni, con l’eccezione del PVC utilizzato da alcuni costruttori, più economico ma anche più delicato.

Un dettaglio da non sottovalutare è che le dimensioni di un pram incidono anche sulla sua conducibilità. Più è piccolo più, pur avendo ottimizzato i pesi a bordo, sarà difficile mantenerlo in rotta. E ovviamente più è piccolo più sarà vittima della minima onda, portandovi a terra con il sedere inesorabilmente fradicio. Volendo offrire un consiglio frutto dell’esperienza, un gommoncino da 2,65 metri con pagliolo gonfiabile può essere una scelta ottimale per una barca a vela di 10-11 metri, nel senso che volendo può essere trasportato gonfio anche in coperta, o essere issato a poppa per mezzo di gruette, anche se il sistema più pratico e sicuro è quello di trainarlo con una cima, possibilmente, come detto, senza motore. E anche qui si aprono diverse opzioni e altrettanto diverse opinioni, vale a dire: qual è la distanza ideale a cui fissare il traino per non stressare eccessivamente il nostro pram?

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Limitandoci a riportare le varie possibilità, vediamo che molti amano portarlo “lungo”, ovvero ben lontano dall’onda di scia, in modo che, date le velocità contenute di una barca a vela, navighi nel giusto assetto. È però vero che in caso di mare formato questa scelta penalizza un po’ il sistema trainante, sottoposto al continuo impatto dell’onda con relativi strappi su cima e anello di traino. C’è chi lo porta invece “corto”, nel senso di tenerlo a 3-4 metri da poppa, soluzione che però dovendo tenere il pram necessariamente legato a una bitta lo mantiene leggermente disassato rispetto alla rotta, con qualche problema a seconda dell’onda di scia e del vento che, se soffia sul serio, può fare facilmente presa sulla prua leggermente sollevata del pram e ribaltarlo. Premesso che una seconda raffica potrebbe altrettanto facilmente “riribaltarlo” riportandolo in assetto di navigazione, il consiglio in previsione di condizioni meteo negative è di issare il tender a bordo fissandolo con la carena in alto per offrire meno presa al vento e all’acqua, ma soprattutto fissandolo più che bene.

Nel caso, se non siete sufficientemente abili con cime e nodi, potete utilizzare quelle fasce con fibbie regolabili, spesso utilizzate per fissare i carichi sul portabagagli dell’auto, che possono facilmente essere strette a misura. Un altro sistema, anche se esteticamente poco elegante, è quello di portare il pram “cortissimo”, nel senso di tirarlo fino a mettere letteralmente il muso sulla parte centrale dello spoiler (ammesso che sia presente) fissando poi i due finali della cima di traino alle due bitte laterali in modo da centrarlo. In questo modo, pur pagando un po’ l’invasività di spazio, naviga solo la parte poppiera del pram, che non subisce onde laterali, evitando strappi sul maniglione di traino, e risulta abbastanza al riparo dai colpi di vento.

Qualunque sia la scelta, in ogni caso nel fissare la cima al tender è bene non fare troppo affidamento sul suo anello di traino, che non è sempre così robusto come dovrebbe, e che è comunque soggetto a progressivo logoramento. Se, come spesso si riscontra, oltre ad esso il tender dispone di due occhielli a D laterali, una soluzione consigliabile è quella di fissare i due finali della cima di traino su questi occhielli mediante una gassa, facendo poi passare la cima doppia all’interno dell’anello o maniglione principale e portandola poi a bordo per dargli volta su una bitta. In questo modo si distribuiscono le forze e il traino risulta più dolce e meno logorante. Quanto sopra è naturalmente riferito alle navigazioni di trasferimento, perché per muoversi da una baia all’altra i problemi sono relativi, così come con la barca alla fonda in rada, dove l’unico problema poco ha a che fare con la navigazione. Nel senso che, anche se per fortuna il fenomeno non è frequente, è chiaro che rubare un pram è assai facile, e purtroppo al di là dell’etica marinara non c’è difesa.

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Piccolo è bello

Di motori abbiamo in parte già parlato, ma l’argomento merita ovviamente di essere approfondito, ad esempio parlando della potenza minima e di quella massima utilizzabili su un tender, sempre ricordando che parliamo dei mezzi utilizzabili su barche di medie dimensioni. L’alternativa più economica a un motore fuoribordo…sono i remi. Fermo restando che è consigliabile averli sempre a bordo nel malaugurato caso di avaria, diciamo anche che considerarli l’unico mezzo di spinta, per quanto forti ed allenate possano essere le vostre braccia, è del tutto utopistico. Non solo perché basterebbe una leggera brezza a mettervi in difficoltà, ma anche perché mantenere la direzione sarebbe tutt’altro che facile, oltre al fatto che gli scalmi (ovviamente non abbiamo considerato le pagaie) dei remi su un tender sono tutt’altro che robusti e poco adatti a tragitti che non siano muoversi da una banchina all’altra del porto. Quindi motore sì, perché per piccolo che sia…metti in moto e via, da cui l’antica massima: prima di mollare la cima che vi lega alla barca, assicuratevi che il motore vada in moto!

Come detto, per i piccoli trasferimenti con un pram di 2,50 metri o poco più, anche un motorino come il 2,5 HP può fare il suo dovere. Un 4 HP aggiunge un po’ di potenza, ma con un 6 HP e un pram che abbia un minimo di carena una persona sola a bordo può planare, forse anche due, se la taglia non è extra large e magari si gioca un po’ con i pesi verso prua. Salendo di potenza, ma anche di dimensioni ed ovviamente di costi, il pram diventa un piccolo motoscafo: con 15 HP si plana che è una meraviglia, con 20 HP e mare calmo si può fare sci nautico. Riservata invece ai pram d’élite è la motorizzazione a idrogetto, inevitabilmente legata ai tender con carena rigida.

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A questo punto si affaccia però il futuro, e il futuro è tutto elettrico. Anche se alcune aziende hanno sviluppato motori elettrici di potenza considerevole, è sulle piccole potenze che si apre la battaglia, soprattutto per quanto riguarda le motorizzazioni dei tender.

I vantaggi di un motore elettrico, del resto, non si limitano al benessere ambientale, ma vanno ad esempio considerate l’indipendenza dal carburante (ma non ovviamente quella dalle batterie), che su un piccolo pram è anche una questione di sicurezza, l’assenza di manutenzione, la silenziosità che non guasta mai, la semplicità meccanica, l’economicità di navigazione, la facilità di rimessaggio, ma anche la possibilità di navigare là dove i motori termici sono out, ad esempio nelle riserve marine.

Il prezzo di base è inevitabilmente più alto rispetto a quello di un motore a combustione interna di pari, o quasi, potenza, ma è un costo che si ammortizza rapidamente negli anni grazie ai bassi costi di utilizzo e di gestione, senza contare che con l’allargarsi del mercato e l’evoluzione tecnologica delle batterie, i prezzi sono destinati a scendere. Teoricamente l’unico svantaggio di un motore elettrico potrebbe essere quello dell’autonomia, ma anche questo è relativo data la facilità di ricarica e il range delle percorrenze, senza contare alcune nuove soluzioni. Torqueedo, ad esempio, ha in catalogo una batteria di riserva con tanto di zaino per il trasporto che può essere sostituita in un attimo, l’ePropulsion di Hong Kong vanta l’innovazione di un motore che si autoricarica grazie a un idrogeneratore che lavora quando il motore non è in funzione, ad esempio quando viene trainato durante i trasferimenti con un range di velocità compreso fra i 4 e i 10 nodi.

Poi ci sono soluzioni originali come il francese Temo 450 (450 sono i Watt per meno di 5kg di peso), un motorino con le batterie inglobate nel gambo, che lavorando con un particolare angolo di spinta, tipo i longtail thailandesi, riesce comunque a spingere efficientemente un piccolo pram. Il settore, come si vede, è in ebollizione per cui le novità sono all’ordine del giorno, tanto più che ormai sono entrati in gioco anche i big brand del settore, da Mercury a Yamaha già presenti, a Suzuki e Honda che hanno già annunciato la loro prossima discesa in campo. Come dire: ci aspetta un futuro elettrizzante!

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