Tecnica di navigazione: Voglia di acque blu
Studio delle rotte meteorologiche, turni al timone, navigazione notturna in acque ristrette.
Tecnica e, soprattutto, tante emozioni. Breve diario di un corso d’altura, fra scelte di navigazione e manovre, vissuto come un’avventura.
“Di fronte al mare la felicità è un’idea semplice”. Lo scrittore francese Claude Izzo aveva descritto così, in poche, meravigliose parole, il senso di quella irresistibile attrazione che il sesto continente esercita sull’uomo, di quel desiderio di vicinanza che abita il mondo delle nostre emozioni.
Mentre me ne stavo con i gomiti poggiati sul tavolo del bar della darsena addentando un cornetto alla crema, guardavo negli occhi i miei tre allievi trovando nelle loro facce la rappresentazione fotografica della frase di Izzo. Quei tre erano felici. Magari solo per qualche istante, ma quell’istante era ora.
Alle spalle avevano poco più di trecento miglia di navigazione, ogni condizione di mare, vento forte e bonacce, pioggia e turni di notte in pozzetto. Una traversata da Roma a La Maddalena e ritorno, a fine febbraio, per mettere in pratica quanto avevano imparato in aula durante il corso patente. L’obiettivo per tutti, in quel corso d’altura denominato H72 e organizzato dall’Accademia del Mare di Roma, era quello di fare un’esperienza di navigazione di tre giorni, dalla sua programmazione fino all’esecuzione di tecniche fino allora lette solo sui testi. Questa era anche l’aspettativa che li aveva mossi verso quel tipo di corso, ignorando, forse, la portata emotiva di quel breve incontro con la navigazione d’altura.

L’evoluzione meteo
Il corso ha preso il via qualche giorno prima di salpare con l’analisi dell’evoluzione della situazione meteorologica. Oltre alle previsioni rintracciabili sui vari siti, i corsisti hanno iniziato a consultare le carte sinottiche per vedere in quale modo si stesse “movendo” il quadro generale della disposizione dei centri di alta e bassa pressione.
Per la sera della partenza, una bassa pressione a Nord della Francia generava un flusso da Sud-Est con tendenza a ruotare verso libeccio man mano che la depressione procedeva nel suo percorso verso Est–Sud-Est. Era il momento di applicare nella realtà il concetto di rotta meteorologica, di decidere quale fosse l’andatura migliore, seppure non su rotta diretta, in previsione della rotazione del vento.
Il nostro punto d’arrivo era l’arcipelago de La Maddalena, possibilmente con ingresso da Nord, ma la prevista rotazione da scirocco a libeccio ci ha indotti a decidere per una rotta inizialmente più a Sud, con una bolina stretta che ci avrebbe permesso di accostare a Nord nel corso della notte quando il vento, secondo le previsioni, avrebbe girato intensificando.
La partenza
“Libera a prua…”. Staccare gli ormeggi da terra per una traversata è l’atto conclusivo di una lunga e scrupolosa serie di operazioni. Posto che la barca sia stata mantenuta in efficienza costantemente, prima di salpare in sicurezza gli allievi hanno spuntato una check list che dovrebbe essere associata ad ogni imbarcazione. E partendo dall’assunto che il rumore più fastidioso che si ha in barca è quello che fa il motore quando non va in moto, le prime verifiche sono state quelle dei livelli di olio motore e invertitore, liquido di affreddamento e batterie, della tensione della cinghia dell’alternatore e verifica della presenza dei componenti di rispetto essenziali: girante, cinghia, filtri e olio e di una cassetta degli attrezzi completa.
In coperta, abbiamo controllato il funzionamento degli strumenti e delle luci di via, mentre sottocoperta abbiamo controllato che fossero al loro posto le dotazioni di sicurezza, i documenti della barca e le carte nautiche.
Se la fase dei controlli, che in sostanza segue una procedura, non solleva alcun tipo di discussione, ben altra situazione può scatenare la compilazione della lista della cambusa. La scelta migliore, a mio avviso, è che il comandante stabilisca una cambusa-base lasciando un margine di integrazione che tenga conto di particolari esigenze alimentari.

Stivati cibo e bagagli, arriva finalmente il momento di tracciare sulla carta la nostra rotta. È vero che oggi gli strumenti satellitari hanno ridotto a zero l’attività di carteggio, ma il corso d’altura è anche una scuola di mare in cui si trasmettono i principi della navigazione. Le tecniche del carteggio attengono alla sicurezza della navigazione, perché permettono di visualizzare in partenza la zona di navigazione, eventuali pericoli e limitazioni e perché permettono anche di utilizzare meglio e con maggior coscienza gli strumenti che abbiamo a bordo.
Aperta la carta, gli allievi hanno tracciato la rotta diretta, calcolato prua bussola e distanza fissando un punto di arrivo a Nord dell’isola di Razzoli.
Una volta in mare, avremmo verificato le reali condizioni e quindi adeguato le scelte di navigazione. E mentre Falù, il nostro Sun Odyssey 37, si staccava dalla banchina, l’equipaggio libero dalla manovra preparava le due jack-line facendo passare due robuste fettucce lungo i paramare fissandone le estremità alle bitte d’ormeggio. Durante la notte o in condizioni di cattivo tempo, chiunque avesse dovuto uscire dal pozzetto lo avrebbe fatto agganciandosi a questa sicurezza con la propria life-line. Alle 16 eravamo finalmente in mare.

Rotta su La Maddalena
Come spesso accade, soprattutto in Mediterraneo, le previsioni meteo risentono di variabili che alterano, almeno in parte, il piano di navigazione fatto in banchina. Una volta lasciati alle spalle i fanali del porto canale di Fiumicino, non abbiamo trovato lo scirocco atteso ma una calma venata da una leggerissima brezza. Ne abbiamo approfittato quindi per fare rotta diretta, con randa e motore, verso la nostra destinazione finale. La navigazione era condotta senza l’ausilio degli strumenti satellitari ma con l’Ais attivo e con allarme impostato su due miglia. Questo naturalmente ci avrebbe permesso di essere allertarti nel caso di incrocio con unità dotate anch’esse di Ais.
Una guardia attiva era, ed è, comunque sempre necessaria in pozzetto per garantire la separazione dal resto del naviglio. Senza Gps e cartografico, gli allievi dovevano quindi procedere con una navigazione stimata, riportando ogni due ore sul log book prua bussola, velocità propria, ossia quella indicata dal log, direzione e intensità del vento, stato del mare, pressione e umidità.
I punti che saranno segnati sulla carta saranno quindi solo stimati e confrontati con il primo punto nave possibile in vista della costa. I dati rilevati, oltre che necessari per stimare deriva e scarroccio, erano utilizzati anche per elaborare una previsione meteo a brevissima distanza. In aula avevano infatti studiato come i valori di umidità, temperatura e pressioni interagissero fra loro permettendo di prevedere, a seconda della velocità di variazione, l’arrivo di fronti freddi o caldi, la possibilità di pioggia o colpi di vento. In mare era arrivata finalmente la possibilità di misurare concretamente l’efficacia del metodo appreso teoricamente.
Realizzato il primo punto stimato, Gianfranco, Luca e Igor avevano dedotto che qualcosa ci aveva spinti fuori rotta. Il punto stimato ci metteva in una posizione in cui la batimetrica non coincideva con la profondità indicata dall’ecoscandaglio ma circa mezzo miglio più a Sud. Un confronto con i valori di latitudine e longitudine del Gps confermava l’intuizione. Finalmente lo scirocco era salito fino a 12 nodi, permettendoci di fare vela sotto una congiunzione di rara bellezza: la luna, Venere e Giove erano a sinistra della nostra prua perfettamente allineati.

Alle 22 il mare da poco mosso era diventato mosso, con un’onda al traverso di circa un metro e mezzo. Con tutta randa e fiocco filavamo fra i 5 e i 7 nodi spinti da un vento che era ruotato a Sud e lì si era fermato. Il libeccio non era entrato e potevamo permetterci una andatura di bolina larga tenendo prua 260. La notte sarebbe proseguita scandita dai turni: un allievo al timone e l’istruttore guardia franca in pozzetto al riparo dello spray-hood. Lentamente Falù si avvicinava alla Sardegna e la notte cedeva il passo lasciandosi raggiungere alle spalle dal sole che da Est iniziava a fare la sua risalita. L’alba ci aveva mostrato una giornata nuvolosa, con poca visibilità e un bel vento da Sud sui 15 nodi e con velocità che avevano toccato anche i 9 nodi scendendo da qualche onda che passava al giardinetto quando, ingolositi, si eccedeva nelle poggiate.
Verso le 10 della mattina, ancora prima di avvistare le coste della Sardegna, l’Ais ci aveva allertati per la presenza di un bersaglio pericoloso: una nave posacavi era esattamente sulla nostra rotta. La scelta era stata quindi quella di orzare, provare una bolina più stretta creando le condizioni per far fare un buon esercizio di governo al timoniere di turno e puntare quindi a un ingresso meridionale nell’Arcipelago, passando fra l’isola delle Bisce e la secca dei Monaci, a Sud di Caprera. Mare molto mosso e vento con punte sui 18 nodi avevano accompagnato le ultime miglia.
Alle 13 avevamo poggiato e navigavamo nel canale fra La Maddalena e Capo d’Orso in acqua piatta. La destinazione era un ancoraggio a porto Madonna, uno dei luoghi più belli del Mediterraneo, in una rada realizzata grazie all’abbraccio fra le isole di Razzoli, Santa Maria e Budelli.
Navigare in febbraio nelle acque dell’Arcipelago, in perfetta solitudine, è un’esperienza mistica che da sola vale la traversata. Da condurre sempre con estrema attenzione, riconoscendo i segnali di pericolo e quelli cardinali, verificando costantemente la propria posizione in relazione alle secche e ai bassi fondali segnati sulle carte ma non segnalati in mare. Il pranzo aveva preceduto la pianificazione della navigazione notturna che ci avrebbe portati a Cala Gavetta, il porto nel cuore de La Maddalena.

Navigare di notte in Arcipelago
Obiettivo: cena al bar la Baracca, ottima cucina sarda di mare. Ma per arrivarci, oltre ai tre chilometri da coprire fra il porto e la trattoria che sorge fuori dal centro abitato verso il ponte che collega La Maddalena con Caprera, bisognava navigare di notte in uno scenario piuttosto complesso. Carta nautica sul tavolo, “gli ufficiali di rotta” dovevano tracciare rotte certe che ci permettessero di arrivare in porto. Per farlo, avevano fissato il punto di uscita dal canale fra Budelli e Spargi e riportato sulla carta i punti di accosto individuati con successivi rilevamenti dei fari di Santa Maria e Punta Sardegna e i punti nave realizzati rilevando i segnali di pericolo isolato e quelli cardinali.
Quindi, individuato gli allineamenti notturni che ci avrebbero condotti, come un sentiero, dentro al porto di Cala Gavetta. E così è stato.

Una navigazione emozionante, condotta con molta precisione in acque ristrette, scrutando le porzioni di costa dove dovevano individuare i segnalamenti ottici affogati in un mare di luci. Fino alla fase finale quando, navigando per Est, avevamo individuato i due fanali posti ad altezze diverse sulla montagna de La Maddalena e, una volta allineati, accostato decisamente per seguire rotta vera 14 gradi. Un breve tratto con la prua che puntava dritta l’insegna di una pizzeria e in trepidante attesa di scorgere sulla dritta il secondo allineamento letto sulla carta, quello di due fanali sull’isola Chiesa. Finalmente individuati e atteso il loro allineamento, avevamo accostato per 64 gradi. Certi di essere in acque sicure, avevamo atteso di scorgere sulla sinistra i fanali di ingresso del porto e, finalmente entrare. Un amico ci attendeva a terra per darci un passaggio: dopo 29 ore in mare, l’equipaggio sognava pane carasau affogato nel guazzetto di cozze e vongole. Non si poteva aspettare oltre.

Il ritorno
La traversata di ritorno doveva essere anticipata. La previsione ci dava l’ingresso di un maestrale forte che ci avrebbe spinto fino a Roma molto velocemente ma che avrebbe alzato un’onda che all’imboccatura di Fiumicino avrebbe potuto creare serie difficoltà se non l’impossibilità di atterrare. Programmare una navigazione significa monitorare costantemente le previsioni meteo e prevedere anche soluzioni alternative alla destinazione finale. Nel nostro caso, lungo il tratto di costa tirrenica, con mare molto mosso da Ovest, le alternative erano nulle. Non restava quindi che anticipare la partenza per raggiungere la costa il giorno dopo entro le prime ore della mattina.
Un’analisi delle carte sinottiche mostravano che il flusso da Ovest entrava dal Sud della Sardegna portando inizialmente vento da libeccio fresco che poi avrebbe girato a Ovest rinforzando. La prospettiva era quella di una navigazione sempre con andature portanti e mare a favore. Un sogno per chiunque navighi a vela. E così è stato: 22 ore di mare, anche mosso, prima al traverso e poi al giardinetto; delfini, pioggia, incroci con navi passeggeri e mercantili, alternanza di turni in pozzetto e riposo. La magia della notte si è ripetuta, con la necessità di ridurre la velatura, legati e in sicurezza, prendendo prima una mano di terzaruoli e poi una seconda con un ulteriore rinforzo e rotazione verso Ovest del vento.
La mattina livida di domenica, sotto un potente scroscio di pioggia, Falù rimetteva la prua fra i fanali del porto di Fiumicino. I gesti di Gianfranco, Luca e Igor mi sembravano più precisi e sicuri. Forse era solo un’impressione. Ma seduto al tavolo del bar della Darsena, per un istante, mi son sembrati felici.

La parola agli allievi
I timori, le emozioni, le scoperte
“Temevo più che altro la sensazione di smarrimento che potesse nascere dal ritrovarsi a navigare senza avere un riferimento visivo a terra e avvolto dalle tenebre. Con questo stato d’animo mi sono imbarcato e sono stato sinceramente sollevato dal fatto che la partenza sia stata anticipata. Così come è stato utile avere un po’di tempo per conoscere i miei compagni di avventura e realizzare che le condizioni c’erano tutte anche in termini di entusiasmo e clima positivo fra i partecipanti. L’insegnante lo conoscevo già: lì dubbi non avevo e, in caso contrario, non penso che avrei trovato il coraggio di partecipare.
Subito dopo lo sparire di ogni segno della costa, ho scoperto che in realtà c’è poco tempo per lasciarsi prendere da ansie o da dubbi esistenziali, per fortuna su una barca c’è molto da concentrarsi in cose pratiche e i ritmi dell’alternarsi nei turni di guardia aiutano a rimanere concentrati quando serve e a riposarsi quando è possibile”.
Luca
“Salpare all’ora del tramonto con prua che punta a La Maddalena e lasciarsi le luci della terraferma alle spalle, mentre la luna in compagnia di Marte e Giove ci accompagna in una navigazione notturna nell’immenso del mar Tirreno, coccolati dalle onde, è stata una delle emozioni più belle vissute finora. Sentirsi così piccoli in mezzo al mare ma nello stesso tempo avere il controllo della barca spinta del vento nel buio profondo della notte è un motivo di orgoglio e di soddisfazione personale che resterà a per sempre nel libro dei ricordi e delle emozioni”.
Igor
“Il primo passo dopo tanto studio e tante uscite didattiche con la Scuola.’Siete fuori dal tunnel degli esami e della fase didattica’, ti dice l’attento skipper che osserva ogni tua mossa e ti aiuta a riflettere sulle tue valutazioni e scelte. Lasci il porto per la prima volta con la prua verso il mare aperto. Stavolta non torni indietro. Superi le piattaforme R1 e R2, come se varcassi le Colonne d’Ercole e ‘ti avventuri’ nel mare aperto. Il primo punto stimato, la prima verifica non simulata per capire se la tua rotta risente di deriva o scarroccio.
Il primo banco di prova, la prima prova reale, e magicamente ti appaiono le tante nozioni che la scuola ti ha regalato. Poi la notte, che rifiuti fino all’ultimo barlume di luce ma che arriva e ti avvolge. Allora scopri l’altro mondo della navigazione, quella notturna, delle luci delle altre imbarcazioni e poi gli incroci, le precedenze e gli accosti. I turni di guardia e i cambi al timone con le consegne. Poi arriva di nuovo l’alba e finalmente la costa della Sardegna, rossa con le sue calde rocce granitiche, che ti accoglie. La rotta e la navigazione nell’arcipelago e ancora una navigazione notturna tra fari e fanali, mede, segnali cardinali e segnali di pericolo isolato fino agli allineamenti che ti guidano fra secche e bassi fondali. Un’esperienza per comprendere sé stessi, i propri limiti e dove migliorare. Per ascoltare e vivere il richiamo sempre forte e affascinante del mare e dell’andare a vela”.
Gianfranco


