Storie di polene presenze amiche sul mare
Simboli, oggetti magici, segni di devozione e, talvolta, persino opere d’arte, le sculture che per secoli hanno ornato le prore delle navi raccontano il complesso rapporto tra l’uomo e il mare.

Agli occhi degli uomini, le navi sono sempre state qualcosa di più di semplici oggetti: da qui è scaturita la necessità di ornare i loro scafi con una serie di elementi simbolici. Tra questi spiccano le polene, figure che ancor oggi fanno mostra di sé sulla prua degli ultimi velieri, trasmettendoci il fascino di storie e avventure di mare.
Bisogna però ricordare che nel corso del tempo non è sempre stato così: è vero che molte imbarcazioni antiche erano decorate con occhi apotropaici, con diversi simboli di buona sorte o con figure di draghi e mostri marini che servivano a terrorizzare il nemico, ma l’apparizione delle polene è relativamente recente: esse si diffusero solo nel corso del Seicento, dapprima sulle navi da guerra e poi anche sui mercantili. In quel periodo, i vascelli da guerra divennero sempre più grandi e potenti, per poter imbarcare un numero maggiore di cannoni. In quanto simboli tangibili del potere marittimo, si cominciò quindi ad appesantire i loro scafi, da prua a poppa, con elaborati ornamenti e statue lignee, oltre che con massicce polene.

Questa sovrabbondanza rispondeva alla moda del tempo, dettata dallo stile barocco. Naturalmente, a distanza di diversi secoli, questi scafi dalle decorazioni opulente sono scomparsi; possiamo quindi farci un’idea del loro aspetto solo osservando le stampe o i dipinti che ritraggono il Soleil Royal francese, il Royal Sovreign britannico o il Gouden Leeuw olandese. Oggi, di questi maestosi “monumenti della decorazione” ne è sopravvissuto solo uno: il Vasa, affondato nel 1628 nel porto di Stoccolma e recuperato, insieme a centinaia di sculture, nel corso del Novecento.
Il salvataggio di tutta la sua ricca panòplia fu reso possibile dal fatto che il naufragio avvenne nell’acqua dolce, che impedisce lo sviluppo della teredo navalis, il temibile verme rostrato che attacca il legname sommerso in mare. In quei tempi anche le imbarcazioni minori, quando svolgevano funzioni di rappresentanza, erano ornate in modo magnifico. Nella Reggia di Venaria, vicino a Torino, è conservata la Peata dei Savoia, detta anche “Barca sublime”. Il suo scafo è ornato da statue dorate tra cui, a prora, spicca un imponente ed elegantissimo Narciso, affiancato da due anziani che rappresentano l’Adige e il Po.

Questa imbarcazione da parata, lunga una quindicina di metri, fu commissionata da Carlo Emanuele III di Savoia a maestri d’ascia e scultori veneziani. Terminata nel 1731, raggiunse poi Torino risalendo tutto il corso del Po; da allora fu utilizzata da Casa Savoia in occasione di ricevimenti e matrimoni di stato e, una decina di anni fa, è stata sottoposta a un restauro che le ha restituito l’antico splendore. Che la decorazione barocca degli scafi potesse raggiungere ottimi livelli artistici è testimoniato, a Brest, dal Musée National de la Marine che conserva parecchie statue, polene e figure lignee appartenenti ad antichi vascelli della “Royale”.
Qui si possono ammirare opere di artisti come Pierre Puget, che aveva lavorato in Italia con Pietro da Cortona e Gian Lorenzo Bernini e del quale diverse chiese genovesi espongono le opere. Anche il cinema si è impadronito del fascino delle figure di prua: lungo la banchina del Porto Antico di Genova, i passanti sono sovrastati da un enorme Nettuno che, provvisto di tridente, è la polena del galeone spagnolo Neptune, scenografia principale del film Pirati di Roman Polanski, interpretato da Walter Matthau.

Gli aspetti simbolici evocati dalle figure di prua possono essere i più vari: si spazia dall’esibizione dinastica della polena della HMS Victory, la nave ammiraglia di Nelson, che riporta gli elaborati stemmi della Gran Bretagna, a quelli identitari della fregata danese Jilland, un’immagine femminile arricchita da una rete da pesca e da spighe di grano, che celebrano la pesca e l’agricoltura della penisola danese dello Jutland.
Altre fanno riferimento ai numerosi modelli della mitologia classica o rappresentano animali reali o immaginari, destinati a suscitare un’impressione di potenza o di eleganza: leoni, tigri, cigni, draghi. Riportano infine le fattezze di ammiragli, teste coronate o uomini politici: da Nelson a Garibaldi, da Vittorio Emanuele II a Napoleone.

Quelle che sono più difficili da interpretare sono le polene che fanno riferimento a opere letterarie o a leggende locali. Ho recentemente scoperto che la scultura che orna la prua del clipper Cutty Sark, esposto a Greenwich, allude a un componimento del poeta scozzese Robert Burns, che narra di un marinaio a cavallo che finisce in mezzo a una congrega di streghe. Egli non perde la calma ma, spronando la sua cavalcatura si limita a esclamare: “Ma che bella camiciola! “. In scozzese: cutty sark, riferendosi alla strega che, con il braccio proteso, tenta di afferrare la coda del cavallo.

Tra le figure di prua, la casistica più diffusa è comunque quella rappresentata da semplici immagini di donne, destinate a ricordare ai marinai un mondo muliebre dal quale, nella vita quotidiana, erano dolorosamente separati. Anche Giuseppe Garibaldi, quando descrive nelle sue memorie il suo primo imbarco da sedicenne sul brigantino russo Costanza, così lo ricorda:” Com’eri bella, o Costanza, su cui dovevo solcare il Mediterraneo, e quindi il Mar Nero, per la prima volta! Gli ampi tuoi fianchi, la tua snella alberatura, la spaziosa tua tolda e sino al tuo pettoruto busto di donna, rimarranno impressi nella mia immaginazione”.

Va aggiunto che una polena non è per sempre: visto che è carica di valori simbolici e (qualche volta) politici, non tutti i velieri l’hanno mantenuta nel corso del tempo. Un esempio è quello della nave goletta Commandant Louis Richard, che fu varata a Nantes1934 per pescare il merluzzo sui Grandi Banchi ed entrò poi in servizio nel 1955 con la Marina Militare, che la ribattezzò Palinuro. A questo punto si ritenne opportuno ornare la sua prua con un’immagine del nocchiero di Ulisse che brandisce un timone. L’opposto accadde alla nave scuola della Regia Marina Cristoforo Colombo, gemella dell’Amerigo Vespucci. Nel 1948 la nave venne consegnata all’Unione Sovietica in conto di riparazione dei danni di guerra, ma ai russi non venne ceduta la polena, che oggi è conservata presso il Museo Tecnico Navale di La Spezia.

Nel passato, non tutte le figure intagliate nel legno si sono accontentate di restarsene a prua, sotto il bompresso, ma alcune hanno avuto modo di salire nella scala sociale e far carriera…fino a rappresentare delle Madonne. A Genova, nel Seicento, il porto non era protetto dalle tempeste di libeccio e quella del 17 gennaio del 1636 fu tanto violenta da distruggere tutte le navi all’ancora. La mattina dopo, placatasi la tempesta, le acque erano cosparse di relitti parti di scafi.
Tra questi vi era una figura dipinta a colori vivaci che raffigurava una donna con in braccio un bimbo: era la polena d’una nave irlandese appena affondata. Messa all’asta, venne acquistata da due marinai che la sistemarono poi in un magazzino dove venne presto dimenticata. Settant’anni dopo, una bimba che abitava al sesto piano sopra quel deposito, cadde dalla finestra, precipitando nel vuoto ma giunse però a terra illesa. Indicò poi la porta del magazzino, dicendo che da lì era uscita una bella signora che l’aveva afferrata fra le braccia. Aperta la porta, trovarono la polena la quale, come recitano gli atti settecenteschi del processo che seguì il miracolo, sembrava venir loro incontro.
La notizia del prodigio si diffuse in città e la statua miracolosa, rivestita di tessuti preziosi, venne collocata nella prestigiosa chiesa di San Carlo di via Balbi, dove ha l’onore di occupare l’altar maggiore. É conosciuta come Madonna della Fortuna, perché è arrivata in porto con un fortunale e, come attestano numerosi ex-voto, capace di dispensare davvero la fortuna. Il secondo episodio avvenne a seguito di una razzia dei barbareschi nell’isola sarda di S. Pietro. Quando, il 2 settembre 1798, una flottiglia tunisina sbarcò sul litorale di Carloforte, i barbareschi non incontrarono resistenza e quindi trascinarono sulle loro navi ben 830 abitanti.
La loro liberazione, per le complicazioni dovute alle guerre napoleoniche e alla difficoltà di raccogliere le ingenti somme richieste, si sarebbe trascinata per cinque lunghissimi, anni. Un giorno, uno degli schiavi, tale Nicola Moretto, ritrovò sulla spiaggia di Tunisi una figura femminile, rozzamente intagliata. Si trattava probabilmente della polena di una nave naufragata ma, nella fantasia dei carlofortini ridotti in schiavitù, essa evocò subito un’Immacolata e divenne quindi oggetto di venerazione. Dopo la liberazione degli schiavi, la scultura fu portata a Carloforte, dove in suo onore venne allestito l’oratorio della Madonna dello schiavo.


A partire dalla seconda metà del Settecento, gli eccessi decorativi delle navi vennero gradualmente meno, come si può ancor oggi osservare nella HMS Victory, varata nel 1765. La presenza delle polene sulle prue delle navi sembra avere uno stretto legame con gli incerti e i pericoli della navigazione a vela. Infatti, quando verso la fine dell’Ottocento i mari furono sempre più solcati da piroscafi, che percorrevano rotte più facili, dirette e svincolate dai capricci dei venti, le figure di prua scomparvero gradualmente dai mari, insieme ai velieri. Oggi, il mestiere di intagliatore di polene si è ormai perduto e ben pochi sono gli artisti che si cimentano nell’impegnativa realizzazione di una figura di prua.
Fra questi possiamo citare Francesco Casoni, che è stato attivo per decenni nel suo laboratorio di Chiavari, e il giovane Davide Holzknecht di Bormio, che ha recentemente scolpito una splendida polena per la goletta a gabbiola Pandora.

Dove ammirare le polene: le collezioni
Se una buona parte dei musei marittimi dispone di qualche esemplare di figure di prua, vi sono alcune collezioni che meritano di essere segnalate per la loro originalità. Per esempio, quella esposta nella Valhalla Figurehead Collection delle Isole Scilly, iniziata a partire dal 1840 da parte di Augustus Smith dell’Abbazia di Tresco, che era il Lord Proprietor delle isole e che riuscì a raccoglierne una trentina. La singolarità di questa collezione è rappresentata dal fatto che si tratta in gran parte di polene recuperate da naufragi.
L’abbondanza in zona di tali reperti era dovuta al fatto che ai tempi della vela la navigazione al largo della Cornovaglia era davvero pericolosa.
Il caso più eclatante si ebbe il 22 ottobre 1707, quando una squadra navale britannica imboccò la Manica nella fitta nebbia e, senza rendersene conto, finì sulle scogliere delle Scilly, perdendo più di duemila uomini. “La prima a schiantarsi fu l’ammiraglia, l’Association, che affondò nel giro di pochi minuti: annegarono tutti i marinai. Prima che il resto della flottiglia riuscisse a reagire all’ovvio pericolo, altri due vascelli, l’Eagle e il Romney, urtarono contro le rocce e affondarono come pietre. Su cinque navi da guerra, quattro andarono perdute”.

Per quanto riguarda le collezioni private del nostro Paese, va ricordata la figura di un precursore come Ugo Mursia che, oltre ad aver tradotto l’opera letteraria di Conrad, fu il fondatore dell’omonima casa editrice, specializzata nella letteratura di mare. La sua collezione di polene è oggi visibile presso il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano. Alcuni musei, come Danish Maritime Museum di Elsinore o il Nederlands Scheepvaartmuseum di Amsterdam, hanno deciso, per ragioni scenografiche, di esporre in gruppo le loro polene. In tal modo, tuttavia, si perde la parte più affascinante di queste figure lignee, che è quella legata alle loro storie individuali e, in alcuni casi, alle loro avventure.

La Sala delle polene del Museo Tecnico Navale della Spezia
Anche la Marina Militare italiana è stata sensibile alla valorizzazione del suo patrimonio storico e, oggi, la Sala delle polene del Museo Tecnico Navale della Spezia, con i suoi 24 esemplari, rappresenta la maggiore collezione del Mediterraneo.

Qui le statue lignee sono esposte in modo individuale e sono corredate da note storiche esplicative. Alcune di queste ci permettono di ripercorrere storie del nostro Risorgimento, come quella che ritrae Vittorio Emanuele II e che appartiene al pirovascello Re Galantuomo, una nave che era stata varata dalla Marina Borbonica a Castellamare di Stabia nel 1850, con il nome di Monarca, e che nel 1861 era poi stata incorporata nella Regia Marina.
Forse dai più non è conosciuto il nome della fregata Euridice, ma si tratta della nave nella quale il giovane Garibaldi, che prestava servizio militare come marinaio, durante i moti del 1833 tentò di fare scoppiare un ammutinamento. Questo fu represso duramente e il nostro, inseguito da una condanna a morte, dovette rifugiarsi, a piedi, fino in Francia. Una pirocorvetta della Regia Marina, entrata in servizio nel 1861 e la cui polena rappresenta l’immagine di una bella donna dal capo turrito ripresa nell’atto di spezzare le catene che ha ai polsi, non poteva che chiamarsi Italia.

Una scultura che, nonostante il restauro, si presenta ancora consumata dalle intemperie è quella intorno alla quale sono nate più dicerie. Delle sue origini non si sa nulla, perché è stata ritrovata alla deriva nel 1868 nell’Oceano Atlantico. Fu ribattezzata Atalanta perché sembra ritrarre una donna che si accinge alla corsa e, nonostante lasci intravedere un seno, non sembra che emani un particolare sex-appeal: eppure diversi marinai si sarebbero perdutamente innamorati delle sue fattezze. Una particolarità della collezione è data da alcune polene di navi da guerra austroungariche, provenienti dal Museo Marittimo di Pola, la principale base di tale marina.

Nel 1918, con lo smembramento dell’Austria-Ungheria, queste sculture divennero prede di guerra: sono esposte quelle delle pirofregate corazzate Salamander (Salamandra) e Drache (Drago). Da parte sua è facile individuare quella di Sissi, appartenente alla cannoniera a ruote Kaiserin Elisabeth, viste le forme del vitino della moglie di Francesco Giuseppe, caratteristica di cui ella andava particolarmente fiera. Queste navi combatterono a Lissa nel 1866 contro la Regia Marina, ma il destino volle che le loro polene finissero poi nel museo dell’avversario.

L’esposizione termina con un pezzo che a prima vista appare fuori posto e che invece conclude la vicenda di queste figure, almeno per quanto riguarda le navi da guerra italiane: si tratta di una massiccia stella a cinque punte, parzialmente coperta di rame, che decorava la prua della corazzata Caio Duilio, varata nel 1876 a Castellamare di Stabia. A partire dal 1871, la stella a cinque punte fu scelta per rappresentare le Forze Armate italiane e quindi, nel corso del tempo, questo simbolo discreto e minimalista ha sostituito le polene sulla prua delle nostre navi militari. Ancor oggi, chi le osserva con attenzione noterà che una modesta “stelletta” non può mai mancare.
Note:
1 – Magris C. Polene, occhi del mare, La nave di Teseo, 2019
2 – Milani M. Giuseppe Garibaldi, Mursia, Milano, 1982.
3 – Sobel D. Longitudine, BUR, Milano, 1999.