Crociera alle Seychelles: un sogno silenzioso
Foto di Valentina Invernizzi
Le acque dell’Oceano Indiano avvolgono queste isole incontaminate, protette da una politica ambientale rigorosa e dal rispetto degli abitanti. Ecco il breve diario di bordo di una crociera indimenticabile, fra tartarughe, natura incontaminata e, forse, magia nera.
“C’è da andare alle Seychelles, sei libero?”. Facendo di mestiere lo skipper e il giornalista nautico ci ho messo una frazione di secondo a rispondere di sì.
Ma, lo confesso, appesantito da un fastidioso retropensiero, una sorta di pregiudizio generato dal ricordo di crociere passate ai Caraibi, che mi spingeva a temere di finire in una bolgia di rade affollate, spiagge prese d’assalto e orde di turisti che tirano tardi in locali rumorosi.
Insomma, non avevo il minimo sospetto che sarei finito in un paradiso di biodiversità, che avrei fatto bordi fra isole incastonate nel blu dell’Oceano Indiano, che il mio tender mi avrebbe portato a mettere i piedi su sabbie bianchissime, candidi contorni di foreste di mangrovie che si affacciano sul mare fino a sfiorare l’acqua.
Un volo della Turkish Air Lines, dopo un breve scalo a Istanbul, mi porta a Victoria, capitale delle Seychelles che sorge su Mahé, la più grande delle 115 isole che compongono questo arcipelago appartenete al continente africano, 600 miglia a Nord-Est del Madagascar. Frammenti di terra che appartenevano al Gondwana, il supercontinente che attraverso violentissimi terremoti si divise fra America del Sud, Africa, Madagascar e Sud-Est asiatico. Merito della deriva dei continenti, quindi, l’origine granitica delle Seychelles e della loro bellezza, in gran parte insita nelle rocce modellate dai monsoni che ne orlano le coste.

Tutti a bordo
Mahé è sede anche dell’unico vero marina dell’arcipelago, quello di Eden Island, dove mi attende il catamarano, un Moorings 4800, che per otto giorni sarà casa e strumento di esplorazione dell’arcipelago per me e il mio equipaggio di 9 persone.
L’idea è quella di salpare immediatamente dopo la cambusa e fare sosta a Sainte Anne Marie, isola che si trova a poche miglia a Nord di Mahé. Ma le operazioni di imbarco si prolungano e, a quattro gradi di latitudine Sud, il buio arriva presto. Navigare con l’oscurità è vietato in tutto l’arcipelago, quindi si decide per una cena nell’immenso pozzetto del nostro catamarano e di rimandare la partenza alle prime luci dell’alba.

Le isole su cui puntiamo sono a Nord di Mahé e fanno parte delle 42 Inner Island, le più vicine, quasi tutte di origine granitica e meta più abbordabile in una settimana rispetto alle isole esterne (Outer Islands), più a Sud e di origine corallina.
Finalmente, alle prime luci dell’alba, stacchiamo le cime di poppa e filiamo sulle acque piatte verso Sainte Anne Marie, inserita nell’omonimo National Park. Decidiamo di proseguire e fare una sosta magari al ritorno.

Sulle tracce dei pirati
Superata Sainte Anne, facciamo prua per 50 gradi. Un vento da Nord-Ovest sui 10 nodi ci permette di fare subito vela: randa e genoa a riva e, con un bel bordo mure a sinistra, puntiamo sull’isola di Praslin, 15 miglia a Nord. Negli immensi spazi del catamarano ciascuno trova la dimensione ideale in cui immergersi.
E mentre c’è chi si dedica alla lettura, chi si prepara una seconda colazione e chi si sdraia a prua sulla rete, io mi godo la navigazione dal fly, pensando che le mie origini piemontesi, in qualche modo, e con un grande sforzo di fantasia, potrebbero anche avere un collegamento con queste isole. I pirati che fra il 1600 e buona parte del 1700 scorrazzavano da queste parti, erano i filibustieri del Madagascar che qui venivano a nascondere sé stessi e i loro tesori.

Mi viene in mente un bel libro di Luigi Grassia in cui è documentato il tentativo dei filibustieri di trovare un accordo con i Savoia, proponendo a Vittorio Amedeo II di proclamarsi Re del Madagascar, a quei tempi terra di nessuno, e di concedere loro una “lettera di corsa” che li avrebbe trasformati da volgari pirati a corsari al servizio della corona dei Savoia. L’accordo non si fece e quindi è inutile fantasticare: i miei avi, probabilmente, navigavano sui fiumi di gianduia e non nei mari caldi delle Seychelles. Fra una suggestione e l’altra, le ore passano veloci ed eccoci in vista di Praslin.
Di fronte alla punta nord della baia di Sainte Anne sorge Round Island, che va a formare con la propaggine est di Praslin una bella rada ridossata dal Nord-Ovest.

L’accesso non può avvenire da Sud, perché fra Round Island e l’isola maggiore il fondale si riduce a pochi centimetri. Ammainiamo vela quando siamo ormai ridossati dall’isolotto e a motore la circumnavighiamo tenendocela sulla sinistra e facendo rotta verso il centro dell’ansa. Alla fonda ci sono tre catamarani. Quando verso le 13 siamo al massimo dell’affollamento, riesco a contare una quindicina di barche. Il ricordo di rade affollate è lontano: non sono a Ponza in agosto e nemmeno alle British Virgin Island in gennaio. Il paradiso delle Seychelles è anche questo.
Bisogna darsi da fare: ci sono tuffi in acqua azzurra e passeggiate su sabbia soffice che ci aspettano. Poi, dopo pranzo, si salpa l’ancora e si punta verso la prossima sosta: a 5 miglia a Nord-Ovest, l’isola di Curieuse è la nostra meta per la notte.
Raggiungiamo Baie Laraie in un’ora di navigazione a motore e diamo fondo poco prima del tramonto su 5 metri d’acqua. Sotto i nostri scafi solo sabbia candida. L’ancora fa testa facilmente e si aggrappa saldamente. Da terra arrivano suoni ovattati: una musica bassa che con il buio cessa e qualche voce. Intorno a noi una decina di catamarani, il chiacchiericcio degli altri equipaggi, qualcuno accenna accordi con una chitarra. La notte ci avvolge con dolcezza in un dopocena fatto di racconti e risate che ci accompagnano a letto.
Come mia abitudine quando sono all’ancora, io rinuncio alla cabina e resto a dormire in pozzetto. Il divano comodissimo, la notte che rinfresca e lo scenario intorno a me mi inducono un senso di colpa nei confronti del resto dell’equipaggio: il posto migliore per passare la notte me lo sono accaparrato io.
Il santuario delle tartarughe
La mattina seguente, dopo colazione, puntiamo a terra con il tender, che tiriamo in secco sulla spiaggia. Le mangrovie sembrano volersi tuffare in mare e, sulla nostra destra, si innalzano pennacchi di roccia che sembrano scolpiti dall’uomo e non modellati dal vento. Il tempo di fissare un appuntamento per il rientro e l’equipaggio si divide. Chi si inoltra lungo il sentiero che conduce alla costa ovest, chi preferisce il relax sulla spiaggia, chi si dirige verso la “Doctor’s House”.
Questa era l’abitazione di William MacGregor, un medico che in epoca coloniale si era trasferito sull’isola per curare i malati di lebbra confinati su Curieuse. Per qualunque meta ci si muova su quest’isola, gli scenari – fra vegetazione, scorci sull’oceano e spiagge – sono di una bellezza struggente.

E poi le tartarughe giganti. Questo è il loro regno. Vivono libere, protette e tranquille, certe del fatto che non corrono alcun rischio nel farsi avvicinare. Lo facciamo con cautela e rispetto, senza disturbare quelle impegnate in un amplesso dai ritmi molto lenti. Intanto sulla spiaggia, da un piccolo ristorantino nascosto fra la vegetazione, salgono i profumi di pesce che viene cotto sulla griglia.
Il dubbio da sciogliere è se restare o tornare a bordo: la voglia di navigare e scoprire prevale sulla salivazione che si fa potente. Si torna con il tender e si parte verso la costa ovest di Praslin per dare fondo in una delle più belle baie delle Seychelles, Anse Lazio.
La raggiungiamo in poco tempo navigando a motore contro un maestrale che si incanala fra Couriouse e Praslin e, accostando a sinistra, facciamo sfilare la punta nord dell’isola oltre la quale si apre una quinta teatrale: con la magistrale regia della natura, o del Creatore se si preferisce, va in scena la più incredibile rappresentazione di acqua cristallina, interpretata con la collaborazione di fondali di sabbia bianca punteggiati di conchiglie e pesci.
Restiamo all’ancora solo il tempo di un bagno; purtroppo, l’onda da Nord-Ovest sale e dobbiamo rinunciare alla notte. Torniamo sui nostri passi e al tramonto raggiungiamo la costa sud di Curieuse dove ci avviciniamo alla spiaggia su cui si affaccia la Doctor’s House.
L’avvicinamento è sgombro da pericoli, fatta eccezione per bassi fondali nella parte più a Sud e comunque ben segnalati sulle carte. Una volta dato fondo, sulla nostra sinistra il tramonto straccia il cielo con stilettate di arancione e rosso, davanti a noi solo il silenzio di un’isola lussureggiante. Quando si fa buio ci ritroviamo tutti sdraiati con gli occhi in su, con la volta celeste che pare avvolgere la nostra barca.
L’isola del frutto proibito
Si salpa con calma, la mattina del terzo giorno, e a malincuore. La speranza è che un vento da Nord, nei prossimi giorni, sia una buona scusa per “costringerci” a tornare nell’incanto di questo ancoraggio. Intanto si rimette la prua, anzi le prue, in direzione Sud, per raggiungere la baia di Sainte Anne nella parte meridionale di Praslin.
La nostra destinazione è il piccolo approdo collocato nella parte sinistra della baia. L’ingresso è ben segnalato dalle boe laterali, rosse e verdi, che delimitano un lungo canale e conducono in sicurezza, liberi dai bassi fondali, verso il porticciolo attrezzato con un pontile, cui sono ormeggiate le barche di una società di charter, e qualche boa dove ci ormeggiamo noi.
Sbarcati facilmente con il tender, prendiamo due taxi e ci dirigiamo la Valle de Mai, un grande parco naturale, patrimonio dell’umanità dell’Unesco, in cui si rimane storditi dalla biodiversità in cui ci si immerge.
Ed è su questa isola che nasce il frutto proibito, il Coco de Mer, dalla forma decisamente sensuale, che riproduce quella dei glutei, da un lato, e quella del ventre femminile dall’altro. La rarità sta anche nel processo di impollinazione di questo frutto. Il Coco de Mer ha piante maschili e femminili. Le prime hanno una forma fallica, mentre le seconde accolgono il frutto.
La leggenda vuole che l’impollinazione avvenga durante le notti di burrasca, quando il frutto maschile si stacca e si congiunge con quello femminile. Per chi assiste a questo amplesso, la sorte è segnata: o la morte o la cecità perenne. Una leggenda, certo, ma quale sia esattamente il processo riproduttivo del frutto ancora non è chiaro.
Il pomeriggio è dedicato ai bagni. Con il tender attraversiamo la baia per aspettare che il tramonto ci colga sul limitare della folta vegetazione di palme e mangrovie. La sera accende il pozzetto di profumi e sapori indimenticabili. Ordinata in un ristorante, la cena ci viene ricapitata a bordo: pesce e carne, riso e dolci in stile creolo portano a conclusione la nostra giornata vissuta a terra.

Coco Island, la piccola meraviglia
La mattina dopo accostiamo al pontile per fare acqua. Carichi del bene più prezioso, dirigiamo sull’isola che si dice essere la più fotografata al mondo. Ci arriviamo in un’ora di navigazione al lasco: poco più di 5 miglia percorse in un soffio. Coco Island sembra opera di un pittore: minuscola, con rigogliose palme al centro e sabbia bianchissima che ne contorna i bordi tempestati di rocce di granito.
Diamo fondo avvicinandoci sul lato sud su un fondale di circa 10 metri che degrada molto lentamente fino alla spiaggia che raggiungiamo con il tender e che lasciamo all’ancora per non deturpare quel manto setoso su cui troviamo ospitalità.
Le ore passano veloci, mentre il mio cervello viaggia a ritmi rallentati, coprendo un percorso brevissimo, fra l’idea di un tuffo e l’interrogativo su cosa mangiare per pranzo. Il massimo dello sforzo cerebrale è quello di dare un occhio alla carta nautica, per decidere se compiere un breve balzo verso Sud-Est, per sfiorare Felicité Island, o andare verso le “due sorelle” West e Est Sister Island, 30 minuti di navigazione verso Nord. L’equipaggio, in preda a una sorta di apatia da felicità, nemmeno risponde alle mie domande: punto a Nord, su Grande Soeur, con l’idea di passare la notte alla Grand Anse.
C’è un po’ di onda, molto sopportabile, ma che non rende perfetto il nostro ancoraggio. E poi non cercavamo una scusa per ritornare alla Doctor House? Detto fatto: abbiamo davanti 8 miglia verso Ovest, vento da Nord, e il tempo per vedere il sole che si tuffa nell’Oceano Indiano.
Prima di andare vero l’ancoraggio, abbiamo il tempo di sostare di fronte all’Anse Volbert, dando fondo su 15 metri a Sud di Ile St. Pierre. Si tratta di un enorme scoglio frastagliato che raggiungiamo con poche bracciate a nuoto o, per i più pigri, mettendo in acqua il tender. Pinne e maschera per un’ora di snorkeling indimenticabile. Con gli ultimi istanti di luce ci infiliamo nel canale fra Praslin e Curieuse per filare 30 metri di catena a 50 metri dalla spiaggia.
La Digue, l’isola della magia nera
Si parte di buon’ora con rotta est, con destinazione l’isola di La Digue. Si narra, ma nessuno lo conferma, che sia l’isola in cui si tramandino ancora i riti della magia nera; addirittura – ma non abbia trovato conferma ufficiale – che il governo abbia mandato anche qualche funzionario per cercare di debellare il fenomeno dei riti voodoo. Tutte dicerie, sicuramente, e d’altra parte, se qualcosa di vero ci fosse, sarebbe ben poca cosa rispetto alla bellezza dell’isola.
C’è un piccolo porticciolo, con il molo in cemento destinato ai ferry che arrivano da Mahé, lo spazio per le barche locali e una sorta di banchina naturale, costituita da rocce lungo le quali sono stati tirati dei cavi cui si dà volta con le cime di poppa dopo aver dato ancora a prua. Il “servizio” è gestito da ragazzi creoli che aiutano con le cime e danno indicazioni su dove dare ancora. A
ll’interno c’è posto per una dozzina di catamarani e qualche monoscafo nella parte più a Nord del piccolo bacino, ma non sono posti prenotabili. Noi arriviamo di mattino presto dando fondo sulla sinistra dell’imboccatura per aspettare che si liberi qualche posto. Una perlustrazione in tender, quattro chiacchiere con il responsabile del porto e un paio di birre bevute in compagnia facilitano i rapporti. Alle 12, entriamo avendo concordato un ormeggio, in via del tutto eccezionale, sul lato nord della banchina dei traghetti.
E ora alla scoperta dell’isola. Il mezzo migliore sono le biciclette. In mezz’ora di una bella pedalata, in parte piuttosto impegnativa lungo una discreta salita, attraversiamo l’isola per approdare alla Grand Anse. Lo spettacolo si ripete, con la differenza che, ai bordi della spiaggia di un bianco accecante, c’è un ristorante dove a buffet si può gustare un ottimo pranzo creolo.
È una strenua lotta contro la voglia di fermarsi, quella che combattiamo ogni volta che scopriamo un posto diverso. Questa volta è l’idea di raggiungere quella che viene considerata come una delle spiagge più belle al mondo, che ci rimette in sella per farci un’altra pedalata di trenta minuti. Quando arriviamo a Source d’Argent, i battiti del cuore accelerano, le voci tacciono e gli occhi si riempiono di colori mai visti.
La serata trascorre nel minuscolo villaggio, comunque il centro più grande della terza isola delle Seychelles, nella semplicità di due passi e una birra bevuta al tavolino di un piccolo bar sul porto. Si conquista qualche minuto ancora prima di andare a letto, riunendoci su un catamarano di amici che navigano con noi, poi a dormire. Domani si rientra a Mahé.
Ripartiamo verso Victoria programmando una sosta a Cousin, 2 miglia a Ovest di Praslin. È una riserva speciale delle Seychelles, visitabile a giorni indicati dalle autorità del parco perché luogo di particolare nidificazione di numerose specie di uccelli. Il nostro programma prevede una sosta ma, una volta raggiunta, ci rendiamo conto che sarebbe impossibile arrivare all’ancoraggio di Sainte Anne prima del buio e che le condizioni del mare non consentono una rada notturna a Cousin.
La vediamo sfilare, meravigliosa, sulla dritta, e alle 18 siamo finalmente all’ancora in una notte illuminata dalle luci della città di Victoria che brillano alle nostre spalle. La mattina presto, salpiamo per entrare nella passe che ci conduce a Eden Island, sede della Moorings, dove riconsegniamo il catamarano.
L’aereo del rientro decolla solo in serata e abbiamo tutto il tempo di visitare Victoria, la capitale della Repubblica delle Seychelles. Con un pulmino preso a noleggio, raggiungiamo il cuore della città che sorge sotto ripidi pendii della montagna che la sovrasta. La città, fondata dai francesi nel 1778 ma il cui nome, in onore della regina, è stato imposto dagli Inglesi, è quanto di più lontano si possa immaginare da una città caotica. Un’architettura soprattutto costituita da case in legno e pietra ha circa 25.000 abitanti e solo due semafori. Perdersi nelle sue strade intorno al cuore della città, ossia il Sir Selwin-Clark market, permette di assorbire un’atmosfera di dolce accoglienza.
Nelle poche ore a disposizione, scegliamo di saltare, a malincuore, la visita al Museo nazionale di storia naturale e di vistare il centro a piedi, con una lunga sosta al mercato costruito su due piani dove si trovano oggetti di artigianato realmente locale e prodotti della pesca. Per pranzo scegliamo di raggiungere il ristorante Jardin du Roi, dove qualcuno ha il coraggio di assaggiare il pipistrello, cucinato con spezie e cipolla. Alle spalle del nostro tavolo ancora i colori ai quali ci siamo abituati, quelli di mare e sabbia, di cielo e rocce e, soprattutto, quelli di una dimensione fatta di silenzi e rade di un paradiso blu.
Notizie Utili
L’arcipelago delle Seychelles si estende su 1.400.000 chilometri quadrati di Oceano Indiano. Le isole sono 115 di cui 42 chiamate Inner Island, maggiore meta turistica, e 73 più meridionali e difficilmente battute dalle crociere. La capitale è Victoria, sull’isola più grande, Mahè, e conta circa 25.000 abitanti.
Parco nazionale
La navigazione e le soste in rada avvengono all’interno del parco nazionale. Per ogni sosta all’ancora è previsto il pagamento di una tassa dai 10 ai 20 euro a persona al giorno. Normalmente, se ci si ferma dopo le 17,30 e si riparte entro le 7 del mattino successivo, non è richiesta. L’importo viene pagato direttamente alle guardie del parco che accostano con la loro imbarcazione mostrando i documenti che li identificano come personale autorizzato alla riscossione.
Meteo
Il regime dei venti è piuttosto regolare. Fra ottobre e marzo, periodo generalmente più piovoso, i venti soffiano da Nord-Ovest sui 10 – 12 nodi. Fra maggio e settembre il flusso proviene da Sud-Est ed è più intenso, mediamente fra i 15 – 20 nodi e il clima è più secco. Non è detto che questo sia il periodo migliore, anzi. Il mare è solitamente più mosso e alcune spiagge incantevoli a febbraio marzo spariscono nel periodo più secco a causa delle mareggiate.
Porti
Gli unici veri porti turistici sono presenti a Mahè. Il maggiore si trova su Eden Island, sede anche di un resort (www.edenisland.sc) e delle società di charter Moorings e Sunsail. Più piccoli e meno attrezzati, sempre su Mahè, ci sono il Wharf hotel & marina (www.wharfseychelles.com) e il Angel Fish Bayside Marina (www.angelfish-bayside.com. Un altro approdo si trova presso l’arrivo dei traghetti a La Digue, senza servizi e con ormeggi con ancora e cime a terra, e infine sull’isola di Praslin, nella baia di Sainte Anne.
Lingue
La lingua locale ufficiale è il creolo. Molto diffuse l’inglese e il francese.
Moneta Locale
Rupia delle Seychelles (Scr). 1 Euro vale 15 Scr.
Fuso orario
GMT + 4. Due ore avanti rispetto all’Italia con l’ora legale e tre con l’ora solare.
Ingresso
Non è necessario un visto d’ingresso, la cui autorizzazione è rilasciata all’arrivo. Necessario passaporto e biglietto aereo di andata e ritorno. Nessuna vaccinazione è richiesta.
Società di charter
Moorings – Sunsail, www.moorings.com
Dream yacht charter – www.dreamyachtcharter.com
Horca Myseria – www.horcamyseria.it







