La carena Trimonoran vantaggi e criticità
Ci sono le monocarena, dislocanti e plananti. Ci sono poi i catamarani e i trimarani. Ci sono altre geometrie per una carena? Il caso della carena Trimonoran.
La gamma delle geometrie di carena è più ampia di quanto non si creda. Per esempio ci sono gli SWATH (Small-waterplane-area twin hull), i SES (Surface Effect Ship), l’AliSWATH (una particolare configurazione di SWATH con i foil), il MonoTriCat (una carena ibrida tra un monocarena ed un trimarano) e tante altre forme ancora.
Di qualcuna di queste geometrie ne abbiamo anche parlato in passato su queste stesse pagine. Ciononostante, sono carene che restano sostanzialmente sconosciute, persino alla stragrande maggioranza degli addetti ai lavori.

Come la carena di cui parleremo, la Trimonoran dell’ingegnere olandese Jelle Bilker. Una carena davvero strana che sembra trimarana ma è molto di più. Per capirlo è necessario ricorrere alle immagini in cui si vede uno scafo tondeggiante dal quale sporgono, verso il basso, una carena centrale molto stretta e profonda abbinata a due carene laterali, altrettanto strette ma meno profonde, inclinate di circa 20 gradi trasversalmente. In pratica “un monocarena con due carene aggiunte simmetricamente su ogni lato” come racconta lo stesso Bilker.

Ma non basta, perché tra le due carene laterali sono posizionati due hydrofoil, uno a prua e uno a poppa, due ali immerse che, pur non facendo volare la barca, la sollevano quel tanto che basta per ridurre la resistenza e migliorare le performance.
Insomma, una carena complicata che, come tutte quelle che abbiamo nominato sopra (e anche quelle che non abbiamo nominato), ha degli indubbi vantaggi e inevitabili svantaggi.
Il concept di Triadriaeme
Jelle Bilker iniziò a lavorare quasi vent’anni fa all’idea di una carena che fosse migliore di un monoscafo, di un catamarano o di un trimarano.
Sviluppò quindi il concept di Trieadrieame che, come indica il nome, descrive tre elementi legati da un particolare rapporto: le tre sottili carene a cui sono poi stati aggiunti due hydrofoil.

Questo concept è poi stato sviluppato e messo a punto con studi e ricerche, nonché prove sperimentali in vasca navale che hanno portato all’ottimizzazione numerica dello studio Van Oossanen Naval Architects B.V. E non stiamo parlando di uno studio qualsiasi, ma dello studio tecnico del guru dell’idrodinamica, quel Van Oossanen che negli anni ’80 progettò le famigerate alette di Australia II, l’imbarcazione che, nel 1983, conquistò la Coppa America dopo 132 anni di dominio interrotto degli Stati Uniti.
Nel suo report finale, lo studio Van Oossanen riferisce una diminuzione della resistenza idrodinamica, e quindi dei consumi, di oltre il 30{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} rispetto a barche a motore e a vela delle stesse dimensioni. Ma ha anche valutato altri aspetti. Ad esempio, parlando di un’applicazione su barca a vela, l’inclinazione dei due scafi laterali permette di mantenere una forma quasi simmetrica della carena anche quando la barca avanza sbandata, aspetto che ne migliora le prestazioni.
Sempre riferendoci alle imbarcazioni a vela, la particolare forma degli scafi laterali consente alla configurazione Trieadrieame di mantenere una stabilità positiva anche per angoli superiori ai 90° di inclinazione trasversale, contrariamente a quanto normalmente avviene sui multiscafi che, superati i 90°, si capovolgono completamente.
Allo stesso tempo, questa disposizione degli scafi consente anche una significativa riduzione del cosiddetto fenomeno del “box slamming”, ovvero gli impatti delle onde sulle superfici sub orizzontali e vicine all’acqua che si trovano tra gli scafi di un multicarena, catamarano o trimarano che sia. In pratica i ponti di collegamento tra gli scafi.
Inoltre, lo spazio tra gli scafi che diminuisce al crescere della distanza dall’acqua permette un maggiore effetto di smorzamento durante i moti di rollio e beccheggio rispetto a scafi convenzionali, sia monocarena che multicarena.

Dal concept Trieadrieame alla carena Trimonoran
L’attività di ricerca e sperimentazione del concept Trieadrieame si è concentrata sulle dimensioni tipiche di un’imbarcazione da diporto, mettendo a punto la particolarissima forma di scafo e i suoi rapporti dimensionali ottimi per imbarcazioni dagli 8 ai 25 metri, sia a motore sia a vela. È così nata Trimonoran, una carena che, brevettata in 140 paesi, ha incominciato a circolare tra i designer di tutto il mondo, alcuni dei quali hanno elaborato interessanti proposte.

Prima di dare un’occhiata a come questi designer hanno immaginato il loro yacht sulla carena Trimonoran, analizziamo criticamente i vantaggi che Jelle Bilker dichiara per la sua carena. In particolare, andiamo a leggere le conclusioni della relazione Van Oossanen nella quale la carena Trimonoran di 15 metri di lunghezza è stata confrontata con carene di lunghezza e peso equivalenti, sia a motore sia a vela. Lo studio riferisce, in generale, di una ridotta formazione ondosa che determina una ridotta resistenza idrodinamica fino ai 20 nodi circa.
In particolare, quando utilizzata per una barca a vela, la carena Trimonoran mostra un potenziale di velocità maggiore al crescere della velocità del vento rispetto a barche a vela da crociera di design convenzionale.

Per quanto riguarda, invece, un utilizzo come barca a motore, lo studio riferisce una minore resistenza, in particolare alle velocità più elevate. A quanto appena riportato, Jelle Bilker aggiunge il maggiore comfort e la migliore stabilità rispetto ai mono e multiscafi tradizionali e, in particolare, come abbiamo già detto, la stabilità positiva anche per angoli superiori ai 90° di inclinazione trasversale.
Tutti aspetti di cui non abbiamo motivo di dubitare, derivanti dalla forma affinata degli scafi che ne fa diminuire la resistenza d’onda (gli scafi lunghi e stretti producono onde più piccole che determinano una resistenza all’avanzamento minore) e dall’inclinazione degli scafi laterali che migliora il comfort riducendo il cosiddetto “box slamming”.

Non va sottovalutato l’utilizzo degli hydrofoil che, oltre a fornire portanza (sollevano parzialmente l’imbarcazione che così immerge meno), contribuiscono al comfort riducendo i moti verticali (in particolare quello di prua). Inoltre, il foil di poppa sviluppa una portanza inclinata in avanti che fornisce una piccola spinta aggiuntiva.
Allo stesso tempo, una forma così complessa e originale fa sorgere anche alcuni dubbi e sospettare possibili criticità. La prima è la complessità della carena, che inevitabilmente determina maggiori costi di costruzione, i quali aumentano ulteriormente con l’utilizzo di materiali compositi sofisticati o alluminio, necessari per contenere il peso dell’imbarcazione, fattore determinante del progetto.

La stessa complessità fa sorgere il dubbio sul mantenimento delle descritte qualità idrodinamiche anche quando cambia qualcosa nelle condizioni di navigazione, ad esempio se cambiano i volumi in acqua perché la barca si assetta diversamente, si apprua o si appoppa, a causa di mutate condizioni di carico.
Oppure se la barca pesa più del previsto e, quindi, immerge di più. Sono problematiche che hanno un po’ tutte le barche ma quando il funzionamento della carena è fortemente dipendente dalla mutua interferenza di differenti elementi, come scafo centrale, scafo laterale, foil, cresce il pericolo che qualcosa possa funzionare male compromettendo le prestazioni complessive. Un po’ come uno strumento scordato che può compromettere l’armonia di un’orchestra.

Poi ci sono tutti quegli aspetti positivi e negativi legati alla morfologia di qualsiasi multiscafo, a partire dall’ingombro trasversale aumentato rispetto al monoscafo e ai volumi interni ridotti a cui si contrappone un maggior spazio sul ponte e una maggiore efficienza idrodinamica che consente di superare agevolmente la velocità critica. Per inciso, la velocità critica è quella velocità alla quale l’imbarcazione crea un onda trasversale lunga quanto se stessa. Superata tale velocità la lunghezza dell’onda continua a crescere e la poppa, non più sostenuta, cade nel cavo che è venuto a crearsi.

La conseguenza è un accentuato appoppamento che determina un repentino aumento della resistenza idrodinamica, ciò che accade nelle imbarcazioni dislocanti. Per limitare il problema o si ricorre a carene diverse, ad esempio plananti, oppure la carena deve diventare molto affusolata in modo che l’onda trasversale abbia dimensioni ridotte. Come, appunto, nel caso dei multiscafi che hanno i singoli scafi stretti e lunghi.

Insomma, Trimonoran è una carena diversa da quelle che siamo abituati a vedere in giro e possiamo tranquillamente definirla strana. Una diversità che, come abbiamo detto, porta con sé tante promesse e anche leciti dubbi ma, allo stesso tempo, offre ai designer un terreno inesplorato sul quale esprimersi fuori dai canoni classici del “già visto”. Qualcuno ha raccolto la sfida e si è messo alla prova. In queste pagine abbiamo raccolto i concept più significativi elaborati sia da designer affermati sia da giovani promesse.
Intervista a Jelle Bilker

Intervista all’Ingegnere Jelle Bilker inventore della carena Trimonoran
Per capire meglio come funziona la carena Trimonoran e le sue potenzialità abbiamo rivolto qualche domanda al suo inventore, l’ingegnere olandese Jelle Bilker. Per i più curiosi può essere interessante anche visitare il suo sito web www.anwigema.nl
Trimonoran con i suoi tre scafi ha più superficie bagnata rispetto a un monoscafo e anche a un catamarano. Inevitabilmente ciò determina un maggiore attrito. Come è stato possibile, invece, ridurre la resistenza totale? Solo riducendo la formazione ondosa e, quindi, la resistenza d’onda?
Trimonoran ha un po’ di superficie bagnata in più, è vero, ma la forma degli scafi riduce sensibilmente la formazione ondosa. E poi ci sono i foil che sviluppano portanza e fanno uscire la barca dall’acqua. Inoltre, la portanza sviluppata dal foil poppiero è inclinata nella direzione di avanzamento, fornendo una piccola spinta propulsiva.
Alle basse velocità, specie a vela, come è stato possibile migliorare le performance se aumenta la superficie bagnata?
La linea di galleggiamento allungata e gli scafi affusolati sono fattori che riducono la formazione ondosa. Inoltre, i foil lavorano già a basse velocità contribuendo a ridurre la resistenza.
La carena Trimonoran viene da lei proposta per imbarcazioni dai 7 ai 25 metri. È possibile estenderne l’uso anche a misure superiori?
La carena è stata sviluppata sulla dimensione di 15 metri e studiata per essere scalata su dimensioni inferiori, fino a 7 metri, e maggiori, fino a 25. Per andare su dimensioni superiori, oltre i 25 m, sono necessari ulteriori studi, ma è sicuramente fattibile.
Parliamo del suo utilizzo? Su che tipo di imbarcazioni può essere utilizzata la carena Trimonoran?
Oltre che come yacht, può essere utilizzata come piattaforma per workboat, le imbarcazioni per il trasferimento degli equipaggi offshore, per piccoli traghetti, pilotine, barche da lavoro in genere, tender. Poi, a valle di ulteriori studi e ricerche, anche su imbarcazioni più grandi, superyacht compresi.
La volumetria interna degli scafi laterali e di quello centrale sembra ridotta rispetto a quella degli yacht convenzionali. Inoltre, l’immersione è elevata e, allo stesso tempo, il ponte di coperta alto sull’acqua rende l’accesso in acqua difficile. Non crede che tutto ciò sia penalizzante?
Complessivamente la carena Trimonoran ha un volume interno superiore di oltre il 25 rispetto a quello di un monoscafo della stessa lunghezza, il che è utile per far posto ad attrezzature, serbatoi, stivaggio di materiale eccetera. Per quanto riguarda poi l’altezza dello scafo e l’immersione, molti yacht hanno caratteristiche simili senza che ciò sia penalizzante. Dipende dall’uso che si vuol fare dello yacht. Uno yacht con la carena Trimonoran è ideale per lunghe navigazioni.
