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L’intelligenza dei pesci: il cervello sommerso

saraghi

Puniti dall’evoluzione, pur avendo capacità sensoriali assai simili alle nostre, i pesci sembrano relegati a un mondo primitivo e poco sviluppato. Ma è davvero così?

Se l’uomo discende dai pesci, come afferma la scienza di cui non abbiamo ragione di dubitare, sarebbe interessante capire come lui, cioè noi, in poche centinaia di migliaia di anni sia riuscito a sviluppare un cervello che lo ha portato sulla luna, mentre i pesci, in varie centinaia di milioni di anni, di progressi ne abbiano fatti pochini.

Il tema è indubbiamente interessante ma, in carenza di spazio e di competenze specifiche, già limitarci a indagare sul cervello dei pesci può comunque offrire diversi spunti di riflessione, anche perché il cervello è l’hardware che fornisce a loro come a noi il software per sopravvivere o, mettendola più semplicemente, è l’organo che attraverso i cinque sensi governa il comportamento degli esseri viventi. Nel caso dei pesci poi, come vedremo, i sensi sono addirittura sei, il che non ha loro impedito di subire da parte dell’uomo una pesante decimazione, esasperazione di quella inesorabile legge di natura per la quale “pesce grosso mangia pesce piccolo”.

shark
In alcuni casi l’intelligenza, o più semplicemente l’istinto, ha portato i pesci a non considerare il sub come un nemico, come avviene nei parchi marini o anche negli “shark circus” dei mari tropicali.

Benché i pesci non siano accreditati di un gran cervello, per sopravvivere in un ambiente in cui vita e morte si fondono e si confondono con estrema facilità devono disporre di sensi ben sviluppati, o per lo meno adatti alle caratteristiche dell’ambiente. La conoscenza del contesto in cui un animale vive – pesci in primis – deriva dagli impulsi nervosi che affluiscono al cervello dai vari organi sensoriali disposti lungo il corpo, organi che reagiscono a stimolazioni di vario tipo e che consentono loro di reagire di conseguenza.

Come ad esempio nella percezione di temperatura e salinità, parametri vitali per dar luogo e sviluppo ai processi riproduttivi e al fenomeno delle migrazioni. Se però i pesci non hanno un gran cervello, o più in particolare mancano di quegli sviluppi della corteccia cerebrale che generano il “pensiero”, esclusiva squisitamente umana, hanno però un comportamento assolutamente specializzato, per quanto istintuale, nell’eterna sfida fra attacco e difesa, che nel loro mondo si traduce più semplicemente nel definire il confine fra predatore e preda, ovvero fra la vita e la morte.

Stabilito il giusto rapporto, una grossa cernia può arrivare a prendere il cibo direttamente dalla bocca del sub.

La forza del ricordo

Una delle caratteristiche chiave del cervello umano, e più in particolare quella che ha permesso il nostro sviluppo fin da quando ci siamo eretti su due gambe, è la memoria, di cui i pesci sembrerebbero sprovvisti. Il condizionale è dovuto al fatto che se probabilmente non hanno la capacità di mettere a frutto quanto appreso in termini costruttivi, hanno però quella di memorizzare situazioni spiacevoli e reagire di conseguenza.

tonni
Nel caso del tonno rosso non è invece ancora del tutto chiaro cosa possa consentire le sue straordinarie migrazioni oceaniche.

Traduciamo. Un pesce non sarà mai in grado di stilare una casistica delle proprie esperienze negative per elaborare un decalogo comportamentale a beneficio di altri pesci, ma sarà in qualche modo capace di trametterle ereditariamente. I pescatori in apnea di pelo ormai bianco, ad esempio, ricordano con dolorosa nostalgia quando saraghi e cernie sorpresi fuori tana si intanavano pigramente restando facile preda.

Nel corso degli anni, però, il rapporto tana-fucilata si è inserito nel DNA delle varie specie, per cui oggi la visione di un sarago di taglia per un pescatore con fucile non dura più di un paio di secondi, dopo di che il pesce semplicemente si “dematerializza” con uno scatto impressionante. Per la stessa ragione, al contrario, immergendosi in una riserva marina è possibile avvicinare anche i pesci normalmente più scontrosi, esperienza decisamente emozionante che rivaluta l’intelligenza dei pesci, anche se…valutare l’intelligenza è già difficile fra gli uomini, figuriamoci fra i pesci.

Eppure è evidente che non solo fra individuo e individuo, ma soprattutto fra specie e specie, le capacità cerebrali presentano vistose differenze. I dentici, tanto per fare un altro esempio, dopo anni e anni vissuti come preda elitaria dei pescatori in apnea, non hanno ancora capito che avvicinarsi a un subacqueo all’”aspetto” sul fondo può essere mortale. Tuttavia la capacità di associare immagini e suoni nel mondo dei pesci in generale è molto sviluppata e gli esempi più eclatanti li possiamo trovare in quelle situazioni “addomesticate” all’interno dei parchi marini.

Anche se il fish-feeding è stato in molti luoghi bandito, resta questo il sistema che ha permesso l’incredibile ripopolamento di alcune zone. In questi parchi è facile osservare che bastano le vibrazioni di un motore in avvicinamento per mettere i pesci in frenesia, ma con le bombole in spalla in questi luna park del mondo sommerso si possono fare altre interessanti osservazioni sulla capacità dei pesci di associare un gesto a una reazione.

La presenza di un sub con le bombole è infatti quasi immediatamente associata all’arrivo di cibo, tanto che viene immediatamente circondato da una nuvola di pesce, mentre un sub in apnea passa quasi del tutto inosservato. Ancora, se vi fermate sul fondo osservando distrattamente l’ambiente, verrete avvicinati da un buon numero di pesci che vi osserveranno con attenzione ma senza particolari reazioni.

Ma se solo provate a mettere una mano nella tasca del jacket, dove vengono normalmente tenuti gli snack a loro destinati, vedrete i pesci improvvisamente agitarsi, drizzare le dorsali e avvicinarsi fino ad essere fastidiosi se non addirittura aggressivi. Cosa che, con le dovute proporzioni, accade anche nei classici shark circus molto frequenti nei mari tropicali, dove ci si può ritrovare circondati da squali di tutti i tipi interessati unicamente al cesto del pesce gestito dalla guida sub: un’emozione unica e paradossalmente priva di rischi. Il tutto solo per un gesto evidentemente associato a quello che, anche per un pesce, è probabilmente uno dei massimi piaceri – ma anche doveri – della vita: mangiare.

La vista dei pesci sarebbe in ogni caso limitata ai confini dell’orizzonte subacqueo, ma la disposizione degli occhi, uno per lato, complica ulteriormente le cose. La cernia è una delle poche eccezioni, avendo gli occhi più frontali e per giunta basculanti.

La memoria segreta

Se a volte la memoria dei pesci si basa sull’osservazione e quindi sulla vista, o tutt’al più sulla ricezione di particolari vibrazioni, altre volte risponde a meccanismi assolutamente inspiegabili se non forse a una straordinaria sensibilità o alla percezione sensoriale legata al magnetismo terrestre. È il caso arcinoto, tanto per dire, di anguille e salmoni, capaci di traversare l’oceano per tornare a riprodursi nei luoghi d’origine, ma anche di specie a noi più vicine che hanno dimostrato capacità non spiegabili con la semplice memorizzazione visiva. In un esperimento condotto anni fa nella riserva di Ustica, ad esempio, si è visto che cernie catturate e rilasciate in mare dalla parte opposta dell’isola ritornavano rapidamente alla loro tana abituale.

Un esempio di ben altra portata è rappresentato dallo studio condotto dalla ricercatrice americana Barbara Block che, utilizzando tag satellitari, ha confermato che la popolazione atlantica del tonno rosso è divisa fra uno stock occidentale che si riproduce nel Golfo del Messico e uno orientale che si riproduce invece in Mediterraneo e che i due stock, grazie alle capacità migratorie di questa specie, possono facilmente mischiarsi; soprattutto, ha dimostrato che, al momento della riproduzione, ogni singolo tonno torna ad accoppiarsi e deporre le uova nel suo luogo d’origine. Al di là del valore biologico, l’osservazione ha un penalizzante risvolto pratico. La popolazione mediterranea di tonno rosso, che sta solo oggi lentamente recuperando il forte depauperamento dovuto agli esuberi della pesca professionale, non potrebbe infatti mai recuperare il proprio status “sfruttando” la convivenza con lo stock occidentale, visto che questi pesci andrebbero poi in ogni caso a deporre le uova oltre Atlantico.

I tonni, fra l’altro, come i già citati anguille e salmoni, nelle loro leggendarie migrazioni sembrano essere in grado di sfruttare con estrema sensibilità le variazioni del campo magnetico terrestre. Come dimostrato da una ricerca condotta da Ludwig Maximilians, dell’Università di Monaco, questa capacità deriva da alcune cellule contenenti magnetite incorporate nei tessuti. La reattività di queste cellule al variare del campo magnetico è stata ampiamente dimostrata; quello che resta da capire è se queste cellule siano in grado di trasmettere al cervello le informazioni che recepiscono.

Occhio di pesce

Prima di capire quel qualcosa in più che aiuta i pesci a vivere in acqua, possiamo analizzare quei cinque sensi che, per quanto adattati a situazioni ambientali assai diverse, sono davvero molto simili ai nostri.

Per quanto nel mondo sommerso l’orizzonte sia fortemente limitato da fattori fisici, tanto che nel migliore dei casi in luoghi dove l’acqua è di cristallo si può arrivare ai 50-60 metri di visibilità, tanto in senso orizzontale quanto in quello verticale, la vista resta per i pesci il senso primario. Di conseguenza, anche se la struttura base dell’occhio dei pesci è molto simile alla nostra, la loro vista non è grandiosa.

Il primo handicap è costituito dalla posizione degli occhi, sui due lati del muso, che impedisce – se non per un limitato spazio – la visione stereoscopica che consente di valutare le distanze. In altre parole, i pesci vedono prevalentemente con un solo occhio per volta, anche se con un buon angolo di campo, e riescono ad avere una visione binoculare frontale, o anche verticale, solo con un angolo molto ristretto.

I pesci sono anche in genere ipermetropi, ovvero vedono meglio da lontano piuttosto che da vicino, pur essendo limitati in questo da quell’orizzonte subacqueo di cui abbiamo già detto. Questo spiega anche perché molti pesci, primi tra tutti i predatori, più che riuscire a definire un oggetto sembrano sensibili al suo movimento.

Una caratteristica perfettamente evidenziata dagli attacchi sulle esche artificiali dei pescatori di superficie, che spesso poco hanno a che vedere con la forma e i colori di una possibile preda reale, ma che trasmettono un movimento perfettamente percepibile e stimolante, peraltro non solo per la vista, tanto che è difficile parlare pure della sensibilità dei pesci verso i colori, poiché poi ci infilerebbe in una serie di controsensi difficilmente spiegabili.

Basti pensare al fatto che, a causa dell’assorbimento cromatico della luce nel mondo sommerso, i colori perdono rapidamente le loro tonalità: già dopo i cinque metri il rosso inizia a virare verso il violetto, mentre in un ambiente rapidamente uniformato da una dominante blu il giallo è l’ultimo colore ancora visibile fino a 50-60 metri. Questo potrebbe in qualche modo giustificare l’arcobaleno cromatico dei pesci di reef, per i quali i colori della livrea sono un segno di riconoscimento, ma quale dovrebbe essere allora il senso di quel rosso vivo degli scorfani di fondale e le meravigliose livree di certi labridi che vivono normalmente oltre i 30-40 metri di profondità?

sarago
La linea laterale, particolarmente evidente nel banco di corvine è una fisiologica esclusiva dei pesci, che consente loro di avvertire le minime onde di pressione e di potersi orientare anche nel buio delle grotte.

Il mondo del silenzio

Se poi passiamo all’udito, quale dovrebbe essere la sua ragione di esistere nell’ambiente che Cousteau definì “il mondo del silenzio”? In realtà, la prima cosa da dire è che, senza scomodare il canto delle balene o l’intercomunicazione propria dei cetacei in genere (che tuttavia sono mammiferi e non pesci), innumerevoli esempi dimostrano che i pesci reagiscono a suoni e rumori propri e del loro ambiente, che non è affatto silenzioso.

Dall’equazione causa-effetto si deduce che, se esiste una reazione a un suono, deve esistere anche un organo per rilevarlo e, infatti, sebbene i pesci non possiedano un vero e proprio orecchio esterno, sono tuttavia in grado di udire grazie a degli organi similari localizzati nella parte posteriore del cranio.

Attraverso esperimenti si è infatti appurato che quasi tutti loro, a seconda della specie, percepiscono i suoni che hanno una frequenza compresa tra 0,16 e 6 kHz, mentre alcuni sono sensibili a una gamma più ristretta. Gli appassionati di subacquea, e soprattutto i pescatori in apnea, possono avere un’esperienza diretta di come i pesci possano reagire a rumori più strettamente acquatici, come quelli che possono derivare dal movimento brusco di un banco o anche di un solo grosso singolo esemplare.

triglia
Alcuni pesci, come la triglia fotografata mentre grufola sul fondo alla ricerca di cibo, utilizzano i loro barbigli dotati di papille gustative collegate al cervello come appendici sensoriali per esplorare il fondale.

La classica “scodata” di una cernia spaventata che si intana, ad esempio, genera un colpo forte e secco perfettamente udibile dal subacqueo, ma che può mettere in allarme i pesci nelle vicinanze. Stesso effetto provocato da un grosso banco di pesci, ricciole o salpe che siano. E già che siamo in tema, perché non parlare della corvina e di tutti i suoi parenti tropicali, che non a caso sono chiamati ”pesci grugnitori”? Ancora una volta è l’esperienza subacquea che può darci il senso di questa caratteristica. La corvina, infatti, anche se non è ben chiaro per quale ragione (richiamo, avvertimento, accoppiamento?), emette a volte dei suoni “gutturali” prodotti da particolari muscoli ventrali che sfruttano la vescica natatoria come cassa armonica. Sott’acqua, se ci si immobilizza sul fondo, è possibile a volte percepirli, anche se poi non è mai così facile determinare la sorgente del suono, ovvero localizzare il pesce che li produce.

La musdea ripresa sotto una fioritura di corallo rosso.

Di naso e di gola

L’idea che un’immensità liquida come il mare possa diluire con estrema facilità qualunque “aroma”, potrebbe far pensare che l’olfatto sia per i pesci il più inutile dei sensi. Ma è un’idea errata. L’acqua ha buona memoria e conserva nelle sue microscopiche pieghe il ricordo di qualunque pur piccola presenza estranea. Una scia che, messa in movimento da onde, correnti e maree può viaggiare lontano, tracciando la rotta a chi deve trovarne la sorgente, magari per esigenze di riproduzione come nel caso dei salmoni, che sono capaci di ritrovare il fiume in cui hanno visto la prima luce.

Un esempio meno poetico ma a noi più vicino potrebbe essere quello della pastura utilizzata dai pescatori di superficie in molte tecniche al fine di attirare i pesci sottobordo, in particolare nel drifting, dove sardina dopo sardina si crea una scia che riesce ad attirare i tonni nei pressi delle esche. E se volete un altro esempio, pensiamo anche agli squali, capaci di sniffare una scia di sangue anche da grandi distanze. Infine possiamo pensare alle anguille, dotate di organi olfattivi particolarmente sviluppati, tanto da decifrare anche le più piccole molecole disciolte nell’acqua e viaggiare per migliaia di miglia fino a ritrovare le acque natie. Dunque, un senso tutt’altro che secondario per i pesci quello dell’olfatto, che entra in gioco in fenomeni di primaria importanza come le migrazioni, la riproduzione, l’alimentazione e, in molti casi, anche la sopravvivenza.

cernia

La sua potenza quale senso-guida fa quasi passare in secondo piano le capacità gustative garantite dalle papille sensoriali che, generalmente, sono disposte sia all’interno della bocca sia sull’esterno delle labbra o sui barbigli, come nel caso di molti grufolatori – triglie e merluzzi in primis – che però dispongono di papille gustative anche sulle pinne e sul corpo: un po’ come se noi, appoggiando una fetta di mortadella su un braccio, potessimo soddisfare le esigenze della gola! Parliamo comunque di cellule specializzate, piccole ma potenti, considerando appunto la forte diluizione che ogni sapore può avere nell’ambiente sommerso; cellule che possono generare un segnale di allarme anche in presenza di sostanze tossiche.

Ci sono pesci più intelligenti di altri? Difficile a dirsi, ma di certo pur nella protezione dei parchi marini, alcuni pesci come le cernie e le murene arrivano ad avere con l’uomo un rapporto estremamente confidenziale.

Un po’ di tatto

Probabilmente il più inutile dei sensi per un pesce…o forse no. Certamente non può servire più di tanto nel contatto con l’ambiente o con altre specie, anche se alcuni pesci che si accoppiano in maniera sessualmente imbarazzante destano qualche perplessità: ma sarà solo un atto istintuale o, per capirci, la cosa gli dà anche un certo godimento? Di certo l’occasionale grattata sugli scogli che si vede a volte fare ad alcune specie, come ad esempio le cernie, più che derivare dalla soddisfazione di un prurito deriva probabilmente dal tentativo di liberarsi da fastidiosi parassiti. E neanche le carezze e le grattatine subgiugulari che i subacquei dedicano alle cernie nei parchi marini più frequentati può dare qualche certezza: il più delle volte infatti il contatto diretto è solo la malcelata aspettativa di qualche buon bocconcino.

Anche se la questione non riguarda specificamente il tatto, ma solo una specifica e inquietante forma di sensibilità, è facile che una deriva di questo discorso apra una finestra su un’annosa e dibattuta questione: i pesci sentono dolore? Il tema, in effetti, è tanto dibattuto quanto complesso, troppo specialistico per essere trattato in questo contesto. Di certo possiamo dire che se i pesci avessero il dono della parola, o perlomeno potessero emettere un suono per esprimere la loro sofferenza, come potrebbe fare un cane ferito, avremmo verso di loro un atteggiamento molto differente.

salpe
Nei grandi banchi di pesce, come le salpe della foto, governa invece l’incredibile movimento sincrono di centinaia di pesci.

Altrettanto certo è che, almeno per certe specie, una risposta abbastanza attendibile la si può ipotizzare. Sempre attingendo alla fonte di esperienze subacquee, è più volte capitato, ad esempio, di vedere che una salpa colpita male e sfiocinata abbia continuato tranquillamente a pascolare sulla posidonia con gli intestini penzolanti. Come se noi, dopo un harakiri, potessimo continuare senza problemi a gustare la nostra carbonara. Il mondo dei pesci è veramente meraviglioso.

Il sesto senso

Notoriamente, le onde sonore si propagano molto bene nell’acqua – che è 800 volte più densa dell’aria – dove ogni minima vibrazione viene facilmente avvertita. Dimostrando la perfetta adattabilità all’ambiente, i pesci hanno sfruttato evolutivamente questa caratteristica sviluppando un senso del tutto particolare, non a caso denominato “linea laterale”. Questo complesso sistema sensoriale consente di valutare la distribuzione della pressione nell’acqua, compito facilitato dalla densità dell’elemento liquido che mette in chiara evidenza ogni minima variazione.

corvine
Le prestazioni della linea laterale sono a volte eccezionali. Alle corvine, ad esempio, consente a volte di evitare l’asta del fucile subacqueo all’ultima frazione di secondo.

Il sistema è basato su una serie di diverse migliaia di piccoli sensori detti neuromasti, disposti in sottilissimi canali che corrono appena sotto la pelle lungo i fianchi e il muso del pesce, molto evidenti in alcune specie, meno in altre. Collegati al cervello per mezzo di specifici nervi, questi neuromasti – sensibili anche alla temperatura e alla salinità dell’acqua, oltre che ai campi elettrici – tornano utili anche nella percezione delle correnti e, conseguentemente, nell’orientamento necessario per compiere le grandi migrazioni.

I vantaggi della linea laterale per i pesci non sono unicamente finalizzati all’attacco e alla difesa, compiti che peraltro costituiscono la principale attività del mondo sommerso. Data la rapidità di risposta dei neuromasti, ad esempio, è proprio attraverso la linea laterale che i banchi di pesce riescono a mantenere la loro compattezza e la straordinaria capacità di muoversi all’unisono, quasi fossero un unico animale. E, sempre grazie alla linea laterale, riescono a muoversi in condizioni di scarsa visibilità, come accade in acqua torbida o durante la notte, evitando eventuali ostacoli; ostacoli che, per i meno fortunati, possono essere anche le pareti di un acquario, contro le quali, com’è facile notare, i pesci non vanno mai a sbattere.

squalo

Il settimo senso

Per quanto primitivi nella loro struttura, gli squali possiedono un particolarissimo senso trasmesso da un organo specializzato e unico nel mondo sommerso, noto come “Ampolle del Lorenzini”.

squalo

Si tratta di sensori in qualche modo simili nella struttura ai neuromasti della linea laterale e disposti sul muso del pesce, i quali sono in grado di percepire da notevole distanza campi elettromagnetici anche minimi, come quelli trasmessi da una preda in difficoltà.

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