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Tecnica e relax: settembre, andiamo… è tempo di pescare

Foto di Stefano Navarrini e Riccardo Fanelli

Senza entrare nei complessi meandri tecnici della pesca ricreativa, tracciamo una panoramica di uno dei più affascinati modi di vivere il mare.

Dall’inferno al paradiso? Beh, non esageriamo, perché se è vero che in agosto girare in barca è una sfida temeraria, non è che poi a settembre ti ritrovi in mezzo al mare solo e beato come fossi in mezzo all’oceano. Però è sicuramente meglio, anzi di più. Lo è per chi naviga per diporto, che incontrerà molto meno traffico lungocosta, porti più accessibili, possibilità di fare carburante senza contendersi le precedenze col coltello fra i denti, e via dicendo.

Ma lo è soprattutto per gli appassionati di pesca che, oltre ai benefici di cui sopra, dopo le frustrazioni agostiane non troveranno più un sottocosta trafficato come la tangenziale, né barche che nonostante le tue disperate segnalazioni ti passano sulle lenze tranciandole senza pietà e facendoti perdere 40-50 euro di artificiali, né gli tsunami provocati dai megayacht che ti passano accanto senza ritegno facendoti ballare come un turacciolo e creando il caos nelle attrezzature del pozzetto.


Al contrario di quello tradizionale, il bolentino di profondità è disciplina giovane e tecnologica che si avvale di mulinelli elettrici per prede eccezionali, come questa grande cernia.

In settembre il mare è decisamente più tranquillo, e se è vero che le giornate piano piano cominciano ad accorciarsi, è anche vero che la luce calda di fine estate è particolarmente gradevole e che le temperature si fanno più sopportabili…o no? Su quest’ultimo dato meglio non mettere la mano sul fuoco, visto che la meteorologia non è purtroppo una scienza esatta, e se è vero che già a settembre inizia l’autunno meteorologico, è anche vero che ad oggi le previsioni a lungo termine danno per il mese medie superiori alla norma. Il che potrebbe anche non dispiacere ai pescatori, ma soprattutto non dispiace ai pesci che, passata la furia estiva, cominciano a riaccostarsi forti anche dell’abbassamento del termoclino. E quando si riaccosta la minutaglia, dietro arrivano i grandi predatori…e la festa comincia.

Dentici, ricciole, cernie, pagri, pesci serra, barracuda, lecci e amia, tanto per citare i principali target della traina col vivo, cui si affiancano orate, scorfani, tanute, saraghi per i seguaci del bolentino, mentre lampughe, alalunghe e aguglie imperiali restano appannaggio degli appassionati di traina d’altura.

I grandi scorfani sono una delle classiche prede del bolentino.

Discorso a parte per il principe dei nostri mari, il tonno rosso, che a settembre, nel necessario rispetto delle normative, quindi con eventuale rilascio della preda, può essere pescato sia a drifting sia a spinning sulle mangianze, una pesca, quest’ultima, particolarmente emozionante per la quale i grandi brand dell’elettronica hanno creato una particolare funzione del radar: la Bird View. Come a dire che tutto quanto sopra rende settembre e ottobre i mesi migliori per la maggior parte delle tecniche di pesca ricreativa.

La traina col vivo: una tecnica affascinante.

La pesca più antica

La si considera spesso l’entry level della pesca ricreativa, perché in linea di massima facile, economica nell’acquisto delle attrezzature, non richiede grandi imbarcazioni e raramente lascia a bocca asciutta, nel senso che qualche pesce alla fine si prende sempre, anche se di modeste dimensioni. Molti pescatori oggi di chiara fama hanno cominciato proprio pescando a bolentino, che è anche la tecnica che può più facilmente avvicinare i ragazzi alle emozioni della pesca. Che poi ci siano artisti del bolentino capaci di fare incetta di splendide orate, saraghi e tanute è un’altra storia. Per questo, del resto, sui campi da tennis ci sono i tanti pallettari della domenica e poi esistono Djokovic e Nadal.

Per un’attrezzatura da bolentino si possono spendere, con la certezza di avere un buon prodotto, circa 150-200 euro fra canna e mulinello; poi servono un po’ d’accessori, primo fra tutti un buon guadino, mentre per le esche il campo è veramente vasto (vermi vari, cozze, molluschi, sardine ecc.) pur rimanendo sempre nel molto economico. Per la barca può andar bene un Viking 50’ o un tenderino di 2,5 metri o anche un kayak: il bolentino è una tecnica molto democratica. Anche a livello di profondità, dato che a seconda delle situazioni si può pescare su 10 metri di fondo o al limite dei 100, dove però l’impegno diventa anche fisico.

Una cernia vittima di un calamaro: la regina delle esche.

Senza entrare nei dettagli pratici di questa pesca, di base estremamente semplice, vediamo che il panorama delle nostre prime prede potrà variare fra perchie e sciarrani, saraghetti e occhiate, piccoli scorfani e pagelli o, se si è più fortunati, una gallinella o una bella tanuta. La maggior parte di questi pesci però, soprattutto per le loro dimensioni, finisce raramente a tavola (anche se può sempre venir fuori una bella frittura), quindi, per una questione etica, dopo averli ringraziati per l’emozione concessa, meglio slamarli con attenzione – ricordando di avere le mani bagnate per non ustionarli e di agire con delicatezza – per restituir loro la libertà.

Altra storia quella del bolentino di profondità. Altra storia in termini di attrezzatura, costi, impegno, barca, e soprattutto prede. Cominciamo allora col dire che con questa tecnica si pesca su profondità abissali, che possono essere i 4-500 metri, ma anche andare oltre: il che ne fa una tecnica poco praticata in Adriatico. Impensabile quindi lavorare a mano.

Entrano allora in gioco i salpabolentini elettrici o i mulinelli da canna, ugualmente elettrici, che faranno la maggior parte del lavoro al posto nostro. Apparentemente è una tecnica semplice, perché in fondo basta calare, dopo un po’ si schiaccia un pulsante e il mulinello inizia a recuperare. In realtà le cose sono un po’ più complesse, a partire dal raggiungere lo spot di pesca – che va conosciuto con buona approssimazione, salvo poi il localizzarlo con precisione grazie a coordinate GPS e a un buon (ottimo) ecoscandaglio – che in genere si trova ad almeno 15-20 miglia da terra.

Sul mercato esistono migliaia di artificiali diversi per forma e colori.

L’emozione di sapere che la nostra esca sta lavorando nel buio abissale, laddove la luce del giorno è solo un lontano ricordo, l’incredibile sensazione di sentire l’abboccata sulla canna anche a certe incredibili profondità, un recupero che può durare anche un quarto d’ora, il pathos di non sapere fino agli ultimi metri cosa verrà su da quegli abissi, tutto concorre a creare il grande fascino del bolentino di profondità.

Gli abissi, va detto, non offrono gran varietà di prede, ma che siano splendidi quanto squisiti occhioni, alias pezzogne, grandi cernie di profondità o totani giganti l’emozione è sempre assicurata, e la tavola anche. I costi dell’attrezzatura non sono eccessivi perché un mulinello elettrico, salvo eccezioni, può costare fra i 200 e i 600 euro; quelli dei consumi di carburante, a seconda della barca e dello spot, restano invece impegnativi.

Il kayak fishing è una disciplina giovane che richiede tecnica e buone doti fisiche.

Con la traina d’altura si possono insidiare alalunghe, tonni di banco e aguglie imperiali.

Attrazione fatale

La traina col vivo è indubbiamente una delle tecniche più praticate dagli appassionati di pesca dalla barca, perché coinvolgente nell’impostazione mette alla prova le capacità del pescatore, ma anche quella delle attrezzature e dell’elettronica di bordo, senza dimenticare appunto la barca, che diventa parte integrante dell’attrezzatura stessa e grande compagna delle nostre avventure. È una tecnica che richiede anche molta disponibilità di tempo perché, lo dice la parola stessa, prima di iniziare a trainare bisogna pescare l’esca, che dev’essere quella giusta e che deve essere mantenuta nelle migliori condizioni – leggi vasca del vivo di massima efficienza – prima di poter cominciare il suo lavoro.

Il kayak fishing è una disciplina giovane che richiede tecnica e buone doti fisiche.

In estate, dato il traffico del sottocosta, procurarsi l’esca viva è tutt’altro che semplice, tanto che molti trainisti preferiscono uscire di notte per riempire la vasca del vivo con l’esca principe di questa tecnica: il calamaro. Al di là del fatto che la stessa traina al calamaro è divertente e apprezzatissima in cambusa, questo cefalopode rappresenta un’attrazione fatale per la maggior parte dei predatori e fa pari solo con l’aguglia. Se queste sono le esche migliori in assoluto, non bisogna pensare che altre specie come occhiate, sugarelli, sgombri, e via dicendo non siano comunque valide, e magari più facili da reperire.

Il tutto senza dimenticare l’importanza dell’innesco, che se fatto male potrebbe rendere del tutto inefficienti i richiami dell’esca la quale – altro dettaglio non indifferente – va trainata a velocità bassissime (da 0,5 a 1,5 nodi). Dato che non tutte le barche sono in grado di navigare a quelle velocità, normalmente si ricorre ad alcuni accorgimenti che vanno dalla trolling valve sui motori entrobordo al “troll mode” che ormai viene offerto da quasi tutti i costruttori di fuoribordo. Da non escludere come soluzione un piccolo motore ausiliario, che consente anche buoni risparmi sui consumi, oppure, a mali estremi, un’ancora galleggiante.

Affascinante e coinvolgente per molti aspetti, sia tecnici sia emozionali, la traina col vivo è anche quella che ci procurerà le prede di maggior soddisfazione, dai dentici a cernie e pesci serra, ai barracuda, fino alle grandi ricciole, prede splendide e gran combattenti.

L’attrezzatura per dedicarsi alla traina col vivo è indubbiamente più costosa rispetto al bolentino, già a partire dal fatto che servono due diverse tipologie di canne e mulinelli: quelle leggere ed economiche per pescare l’esca, e quelle ben più costose per trainare. Se nel primo caso ce la possiamo cavare facilmente con un centinaio di euro, nel secondo il ventaglio qualitativo può partire dai 3-400 euro per superare facilmente i mille nel caso di attrezzature di primo livello. Senza dimenticare l’importanza fondamentale di un buon ecoscandaglio e di tutta l’accessoristica relativa.

Il tonno rosso è la preda delle prede, ambizione di tutti i pescatori.

Un mondo artificiale

Per mancanza di spazio non ci possiamo inoltrare più di tanto nei meandri tecnici della traina col vivo, ma chi non volesse perdere tempo alla ricerca dell’esca, considerando che per affrontare una battuta di traina sarà bene avere nella vasca almeno 4-5 esche, potrà dedicarsi alla traina con l’artificiale.

Oggi ci sono sul mercato migliaia di esche artificiali diverse per forma, colori, materiale di costruzione, senza contare le varie tipologie che possono variare dalle piume ai minnow (le classiche imitazioni di piccoli pesci) nelle loro varie interpretazioni, ai piccoli kona e octopus vari: un vero e proprio mare nel quale possono perdersi anche i pescatori più esperti, tanto che quasi ogni giorno nascono nuove teorie. Alla fine, la cosa più consigliabile è avere nel proprio portaesche almeno 4 o 5 artificiali di forma, dimensioni e colori diversi, alternandoli secondo le proprie intuizioni. Anche perché, al di là della tecnica applicata e della propria esperienza, in questa pesca il mitico fattore “C” ha il suo perché.

Le prede? Le più nobili, o quasi. Dentici, in primis, ma anche spigole, tonnetti alletterati, alalunghe, piccole ricciole, palamite, ma anche cernie e molto occasionalmente piccoli pesci spada, i cosiddetti “pulcinella” che sarà bene slamare e liberare: lo chiede il nostro rispetto per il mare, ma soprattutto lo vuole la legge, che per lo spada impone (oltre ad altre norme) un peso minimo di 25 kg per una lunghezza di 140 cm misurati dall’estremo della mascella inferiore alla forca della coda. Con gli artificiali non sarà invece possibile pescare le grandi ricciole, non perché lo vieti la legge, ma solo perché sono pesci raffinati e sospettosi e certe insidie ingenue e insapori gli fanno un po’ schifo.

Discorso altrettanto valido, quando si passa alla traina d’altura, dove tutto cambia, sia in senso tecnico sia in senso economico. Parliamo infatti di una pesca che prevede l’uso contemporaneo di almeno di 4-6 canne (a volte anche 8-10 se la barca lo consente), che tradotto vuol dire necessariamente tuna-tower e divergenti. Di certo con qualche acrobazia la traina d’altura può essere praticata anche con un gommone di 6-7 metri, ma questa è in realtà la tecnica dei grandi fisherman, dove si naviga a volte per ore e ore nel gran largo a velocità di 8-10 nodi, con consumi che devono essere ben sorretti da un robusto portafoglio. È però anche la tecnica delle grandi emozioni e chi vi si impegna è pronto a qualsiasi sacrificio.

Difficile, se non impossibile, praticare questa tecnica in solitario. Anzi le capacità di un buon equipaggio, dallo skipper all’angler, sono fondamentali ai fini del risultato. Basti solo pensare che al momento dello strike, ovvero dell’abboccata, mentre l’angler impugna la canna e inizia il combattimento, l’equipaggio deve recuperare al volo tutte le altre canne che potrebbero intralciare la lenza madre, e che spesso hanno fuori 150-200 metri di lenza. Se poi capita di “incocciare” un banco, magari di alalunghe, dove possono partire anche 3-4 canne contemporaneamente, se l’equipaggio è in gamba si assiste a un vero e proprio spettacolo di arte alieutica.

Una via di mezzo fra quanto detto sopra è la traina dalla barca a vela, spesso più passiva che altro, nel senso che oggi è difficile vedere una barca in trasferimento che non abbia a riva una o due canne. In realtà più che un impegno vero e proprio è una pesca alimentata dalla speranza di arricchire la mensa di bordo, perciò le catture sono casuali ma non rare perché una vela che affronta una lunga traversata ha diversi vantaggi. Innanzi tutto batte un vastissimo raggio di mare, per giunta generalmente poco trafficato, poi mantiene una velocità di base costante intorno ai 5-6 nodi, che pur non essendo l’optimum per l’altura è sufficiente per molte specie. È inoltre più silenziosa di una barca a motore.

Il problema, volendo, è nel combattimento e nel recupero di un’eventuale preda importante, perché in questo caso la barca a vela con le sue sovrastrutture è l’esatta negazione di una barca da pesca. Il che non toglie che le soddisfazioni non manchino. Tonnetti di banco, alalunghe, lampughe sono le prede più comuni, ma un’aguglia imperiale, specie peraltro sempre più frequente nei nostri mari, può essere lo special che vale una stagione.

Il drifting al tonno rosso richiede grande pazienza.

L’arte dell’attesa

Ufficialmente riconosciuta come la preda più ambita della pesca ricreativa, il tonno rosso oltre una certa dimensione ammette una sola tecnica: il drifting. Che lo si pratichi ancorati o a scarroccio, è una tecnica di grandi attese e ancor più di grandi emozioni, quando magari dopo ore di paziente pasturazione improvvisamente, nel silenzio del gran mare, il cicalino del mulinello esplode, con la bobina che ruota impazzita come l’elica di un aereo piegando a più riprese la canna: il cuore salta in gola e lì resta, almeno finché con la sicurezza della ferrata inizia il combattimento. Poi comincia il bello.

Un tonno può essere recuperato in poche decine di minuti o in molte ore: dipende dalle dimensioni del pesce, dal libraggio dell’attrezzatura, da come è stato ferrato il tonno, ma soprattutto dipende dalle qualità dell’angler. Per la potenza espressa, che si avverte tutta attraverso la canna, e con le proporzioni di stazza, un tonno rosso non ha niente da invidiare ai grandi marlin dell’oceano.

Il combattimento, che oggi si affronta preferibilmente in stand-up (le sedie da combattimento sono riservate ai grandi fisherman), richiede tecnica, forza fisica e la sapiente collaborazione dello skipper che deve manovrare la barca in perfetta sintonia con l’azione dell’angler. Senza andare a scomodare Santiago, è una delle più belle sfide fra l’uomo e il mare, dove il vincitore è in bilico fino all’ultimo metro e dove quando il pesce si è finalmente arreso è bello rendergli gli onori liberandolo. Vederlo tornare al suo grande blu è un’immensa soddisfazione ma, a seconda dei periodi, è anche un obbligo di legge.

La stagione in cui per la pesca ricreativa è ammessa la cattura di un tonno rosso – un solo esemplare al giorno – ha tempi limitati: virtualmente, nel rispetto delle quote ammesse, dal 16 giugno al 14 ottobre, ma in realtà, data l’esiguità della quota, il limite viene raggiunto rapidamente e la chiusura avviene ormai da molti anni fra fine luglio e i primi di agosto. Il che non toglie che possiamo continuare a pescarlo, ma solo praticando il catch&release, ovvero rilasciandolo.

Nell’esame delle normative che regolano questa pesca, sarà anche bene ricordare che non solo che esiste una taglia minima di cattura (115 cm/30 kg), ma anche che per pescare un tonno è richiesta un’autorizzazione, per barca e non per persona, gratuita e con validità triennale, da richiedere alla Capitaneria di Porto. Normative che valgono sia per chi si dedica full time a questa pesca sia per le catture occasionali come quelle che possono avvenire su una barca a vela. Occhio perché le sanzioni sono salate.

Oggi nei nostri mari i mostri da 250-300 kg, un tempo tutt’altro che rari, sono catture occasionali, ma anche un pesce di 100-150 kg può esprimere una potenza che richiede preparazione, tecnica e attrezzature di primo livello. Canne e mulinello devono essere adeguate al compito richiesto, sia come libraggio (in genere dalle 30 alle 50 lbs) sia come qualità, importante anche per facilitare il combattimento. Attrezzature che, tralasciando gli accessori, richiedono un investimento che supera facilmente i 1000 euro.

Paradossalmente, meno importante è la barca, perché ammesso di avere sufficiente libertà di movimento in pozzetto, il tonno rosso si può pescare con un fisherman di 15 metri così come, con i dovuti adattamenti, con un gommone di cinque. Nella libertà di spazio vanno considerate le necessità della pastura, doloroso ma necessario complemento di questa pesca. Il che, tradotto, vuol dire partire dalla banchine con almeno 4-5 casse di sardine, che una volta in postazione andranno tagliuzzate e rilasciate a corrente per tracciare quella scia odorosa e seduttrice che porterà i tonno a tiro delle nostre esche.

L’operazione, va detto, è noiosa e fastidiosa e perciò viene in genere affidata al “mozzo” di bordo, se non altro perché la scia delle sardine lascerà una pesante traccia anche in barca e sulle mani. Per semplificare il lavoro esistono per fortuna dei “tritasardine” elettrici, anche temporizzabili, che eseguono il lavoro in modo efficiente e pulito.

Il bello del charter

In tempi in cui occorre ottimizzare tutto, dal tempo libero disponibile alla gestione del proprio portafoglio, per chi volesse avvicinarsi alla pesca, ma anche per chi volesse pescare in acque lontane dal proprio porto, il charter offre una soluzione ottimale.

Qualunque sia la nostra tecnica preferita, è certo che prima di raggiungere una regolare e soddisfacente certezza di catture, la strada da percorrere è lunga, perciò la guida di uno skipper esperto e la sua conoscenza degli spot più fruttuosi sono il miglior viatico per alimentare la nostra passione e migliorare i risultati futuri. Il charter di pesca è a tutt’oggi un’attività vittima di normative complesse e poco chiare, ma le sue potenzialità sono notevoli come ampiamente dimostrato all’estero.

Un compagno silenzioso

È qualcosa più di un accessorio ed è sempre più apprezzato dai pescatori, soprattutto di traina, drifting e bolentino. Il motore elettrico di prua offre infatti una serie di funzioni della massima utilità, il tutto in un silenzio perfetto che non allarma i pesci.

Nel bolentino può fungere da preciso ancoraggio elettronico, che su profondità elevate risulta utilissimo, mentre nella traina può seguire una traccia preimpostata dopo aver valutato il fondale con l’aiuto di un ecoscandaglio: affidandogli la rotta saremo totalmente liberi di gestire l’azione di pesca.

Nel drifting ancorato, consentirà di mollare al volo la posizione per gestire il combattimento senza dover trafficare per sganciare ancore o boe. I motori elettrici di prua sono facilmente gestibili attraverso app e telecomandi, e hanno l’unica esigenza di una buona scorta di energia, risolvibile con le moderne batterie al litio.

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