La seconda vita di Aicon Yachts con Marc-Udo Broich : “Voglio una sala macchine da sogno”
Sono molto chiare e originali le idee dell’uomo che, riportando in vita il marchio orgogliosamente siciliano, ne vuole replicare il successo a partire dagli Usa.
Da dove incominciare, se non dall’ambiente di bordo che molti concorrenti tendono a nascondere?
Sono certamente in molti a ricordare il cosiddetto “polo siciliano”, effimero cluster trainato con esplosiva energia dalla Aicon Yachts di Giammoro, in provincia di Messina, soprattutto nel quinquennio 2004-2008.
Un’ascesa e un declino altrettanto rapidi per un cantiere che, tuttavia, è riuscito a costruire poco meno di cinquecento unità, molte delle quali portate sul mercato americano da un dealer capace di incidere profondamente su di esse, qualitativamente parlando, tanto da dar vita a una sorta di “linea USA” che tutt’ora, oltreoceano, vanta un club di irriducibili estimatori.
Parliamo di Marc-Udo Broich, l’uomo che nel 2018 ha deciso di rifondare il cantiere negli stessi luoghi in cui era nato e che oggi, dopo un percorso burocraticamente non facile, si propone con una nuova barca: l’Aicon 66, primo modello di una linea custom. Lo abbiamo incontrato proprio durante la spettacolare presentazione a Messina, presso la Marina del Nettuno.
Il fatto che lei abbia scelto il marchio Aicon significa implicitamente che intende suggerire al mercato di ricordare qualcosa di un cantiere che ha avuto una storia a dir poco travagliata. Che cosa in particolare?
Nella sua breve storia, Aicon ha fatto anche delle ottime cose perciò, effettivamente, mi auguro che il mercato italiano ricordi quelle e solo quelle. Da parte mia, essendo stato fino al 2008 il dealer del marchio per gli Stati Uniti, posso testimoniare che oltreoceano quella memoria è ben presente e radicata soprattutto tra gli armatori che tuttora navigano felicemente con quelle barche e che spesso mi chiedono ‘quando mi fai una barca come la mia ma più grande?’
Sono gli stessi, quindi, che hanno accolto questa mia iniziativa con grande entusiasmo, come dimostra il fatto che l’armatore dell’Aicon 66 che lei ha potuto visitare quest’oggi, ha voluto assolutamente presenziare a questo evento prendendo un volo da New York. Americano è pure l’armatore della seconda unità che abbiamo già in costruzione. La verità è che Aicon è l’unico marchio siciliano conosciuto in tutti e cinque i continenti.

Tanta America in una barca costruita in Sicilia. Che cosa significa?
Vede, io stesso sono americano e già adoravo la Sicilia per le bellezze architettoniche, per la cucina per il suo spirito di accoglienza. Poi ho scoperto che i grandi cantieri italiani si avvalevano per gran parte di maestranze siciliane, capaci di lavorare con un’incredibile maestria. Quindi ho scoperto i marmi, i legni, i tessuti di questa meravigliosa regione e ne ho compreso l’eccezionale potenziale. Tutto questo, combinato con le speciali caratteristiche che una barca destinata a un utente americano deve avere, non può che risultare vincente. Non solo negli Usa ma anche in qualsiasi altra parte del mondo.

Ci parli di queste caratteristiche.
Avrà notato che, nei saloni come Miami, Fort Lauderdale o Palm Beach, il visitatore-tipo americano si presenta in bermuda, t-shirt, infradito e la prima cosa che fa, salito a bordo di una barca in mostra, è infilarsi nella sala macchine e restarci per un bel po’. Se uscito da lì prosegue la visita a bordo, significa che è interessato. Se scende a terra senza proseguire, vuol dire che quella barca non ha superato l’esame. Il fatto è che per l’utente Usa, che trascorre diverse centinaia di ore navigando in oceano, la sala macchine – con tutto quel che significa in termini di qualità dell’impiantistica, sicurezza, affidabilità, accessibilità – rappresenta l’unico vero biglietto da visita accettabile di una barca. Soltanto dopo viene tutto il resto. Trovo che nei saloni italiani questo accada molto molto raramente. Più spesso noto una persona vestita alla moda che dà un’occhiata vagamente annoiata in giro, passa la mano su qualche superficie, se va bene controlla la capienza di un armadio, poi scende. Tutto un po’ snob. Che cosa c’è negli spazi tecnici o nell’alloggio dell’equipaggio sembra interessargli poco o niente.
Magari sono anche gli espositori che tendono a non mostrare queste cose.
Vero. Non li mostrano perché, generalmente, non sono meritevoli di essere mostrati e spiegati. Così finisce pure che l’utente perda l’attenzione – o non si sensibilizzi – nei confronti di quelle parti della barca dalle quali dipende la sicurezza sua, della sua famiglia e dei suoi ospiti, e finisca per demandarne il controllo al marinaio di turno.
Vede, per tornare all’esempio di prima, l’utente americano ama mettere le mani nella sala macchine, manutenere gli impianti, svolgere in prima persona tutte le verifiche, perché quando – poniamo – parte da Palm Beach per passare il weekend alle Bahamas, vuole essere sicuro che tutto funzioni alla perfezione. Qui in Italia, quando dico che la sala macchine dell’Aicon 66 ha l’aria condizionata, le superfici in gelcoat o l’illuminazione anche sotto i motori, quasi mi prendono in giro.
Magari saranno i comandanti ad apprezzare.
Sicuramente. Vede, anche questa è una netta differenza tra Italia e Stati Uniti. Qui le nostre barche avranno sicuramente un comandante mentre negli USA saranno praticamente tutte owner operated. Il che va benissimo e le spiego perché con un esempio. A poppa abbiamo realizzato un mini studio apartment alla newyorkese: due lettini, un sofà, una seduta, una cucinetta con microonde.
Per il comandante significa una comoda vita di bordo che lo invita a lavorare con il massimo impegno, perché, oltre ad avere una sala macchine alta un metro e 80, che non è un “forno”, che non gli procura un taglio se mette una mano su una fascetta (perché le ho volute tutte protette con una speciale copertura che ho fatto venire appositamente dagli Stati Uniti), quando può ritirarsi nel suo alloggio trova un ambiente confortevole, una doccia comoda, un letto come si deve. Per l’americano che non ha il comandante quella è una vera e propria cabina da utilizzare liberamente a seconda delle circostanze. Io, per esempio, sull’Hatteras di famiglia, quand’ero bambino ci stavo meravigliosamente, lontano dai miei genitori, sentendomi libero e felice.
È pur vero che molte raffinatezze sono poco compatibili con il concetto di “barca di serie”.
Infatti, proprio per questo il nostro obiettivo è quello di presidiare con un prodotto custom una nicchia di mercato che si trova all’interno di una fascia dimensionale che ormai, sempre di più, assomiglia a ciò che si vede nell’automotive, dove ogni singolo dettaglio è standardizzato. Nel nostro caso parliamo in prospettiva di barche comprese indicativamente tra i 50 e gli 85 piedi, costruite su una solida base della più alta qualità, garantita dal cantiere e dalla riconosciuta maestria di Sergio Cutolo e della sua HydroTec. Tutto, poi, sviluppato secondo la logica dell’alta sartoria intorno alle personali esigenze dell’armatore.
Si spiega così il vostro prudente programma di crescita.
Le slide che le ho mostrato rendono bene l’idea di uno sviluppo step-by-step, pensato per poter raggiungere i nostri obiettivi con puntualità e senza forzature, anche perché commisurato alla necessaria crescita di ogni singolo settore del nostro stabilimento. Perché – altra caratteristica da non sottovalutare in termini di qualità – facciamo davvero tutto in casa: vetroresina, impiantistica, falegnameria, tappezzeria, decor.
Con quanto personale?
Attualmente siamo circa 75 persone. Di queste, un cinquanta per cento proviene dalla prima Aicon e un dieci per cento dalla vecchia Abacus; c’è poi qualcuno che rientra da Baglietto e da Sanlorenzo. Insomma, la maggior parte è formata da maestranze che già facevano parte dell’azienda.
A parte questa bella sicilianità, resta comunque evidente che il suo modello di riferimento è fortemente americano. Riuscirà a combinare le due cose?
Sono sicuro di sì. Voglio che le nostre sale macchine siano le più belle mai uscite dall’Italia. Le voglio letteralmente da sogno.
Scheda tecnica Aicon 66 Vivere
Progetto
HydroTec/Sergio Cutolo (architettura navale);
HydroTec e Marc-Udo Broich (design esterni);
Centro Stile Aicon e Armatore (design interni)
Lunghezza f.t. m 21,77 (71’ 44”)
Larghezza m 5,35 (17’ 6”)
Immersione m 1,61 (5’ 3”)
Cabine 3/4+1
Bagni 4/5
Motorizzazioni Man 2 x 1200 HP (std)
Man 2 x 1300 HP
Prestazioni dichiarate con Man 1300
velocità max 31 nodi
velocità di crociera 27 nodi
Aicon Yachts, Zona Industriale, 98040 Giammoro (Me), tel. +39 0903505435; info@aiconyachts.com; www.aiconyachts.com

Il Progettista Sergio Cutolo
Aicon le ha sostanzialmente chiesto di progettare una barca americana. Per lei, che è una grande firma del made in Italy, non è stato un po’ strano?
Nessuna stranezza. In quanto ingegneri siamo pragmatici, pertanto le precise richieste che abbiamo ricevuto ci hanno trovato subito pronti. Eppoi non si tratta mica di stranezze. Su molte cose tecniche il pubblico americano è molto più esigente di quello italiano, non soltanto perché va in barca ma perché la gestisce direttamente. Perciò apprezza una sala macchine ordinata e facile da pulire perché se la pulisce lui stesso.
Questo ci ha orientato subito in molte scelte: per esempio abbiamo evitato i tubi flessibili che, sebbene consentiti dal CE, fanno un po’ disordine, mentre abbiamo usato pressfitting Unipress; abbiamo gelcoattato tutte le superfici, al fine di impedire che con il tempo assorbano umidità (con una pezzetta bagnata pulisci tutto con estrema facilità); abbiamo inserito nel punto più profondo della “V” delle sentine un elemento piatto che consente alle pompe di esaurimento di aspirare tutta l’acqua. Insomma, Marc-Udo Broich è un attento commerciale che sa bene che cosa chiede la sua clientela. Noi lo abbiamo tradotto in progetto, adattandolo alle necessità della produzione.
Il 66 che abbiamo visitato è comunque molto architettonico, oltre che ingegneristico.
Certo, d’altra parte ormai da parecchio tempo curiamo molto anche il design. Ciò spiega, per esempio, le ampie vetrature che un tempo erano presenti soltanto nelle barche più grandi. Oggi tutti ci chiedono un più diretto contatto con il mare e, se possibile, questo desiderio si è rafforzato durante questo periodo di pandemia nel quale la barca ha assunto il ruolo di una villa galleggiante. Ecco perché, entrando nel salone, hai subito una sensazione piacevolissima di luce e ariosità. È come se la barca potesse diventare trasparente.
Un’estetica decisamente inedita per Aicon. Tuttavia la carena sembra mutuata da quella del classico 64. È così?
Questo è stato un altro desiderio di Marc. È vero, la carena del 66 è pressoché quella del 64, poiché nel tempo, soprattutto negli Stati Uniti, si è rivelata assolutamente vincente. Diversa è la struttura, anche al fine di poter installare serbatoi da 1.000 liitri, pure in questo caso richiesti espressamente dai clienti di Marc, che desiderano percorrere a 20 nodi, senza problemi di rifornimento, le rotte Florida-Bahamas-Florida.
Richieste che si sono estese anche alla propulsione, direi.
Esattamente. L’insieme composto dalla coppia di Man, le linee d’asse Twin Disc – che è una compagnia del Wisconsin – e le eliche Rolla è garanzia di un’assistenza capillare in tutti gli Stati Uniti. Il che, però, vale anche per il resto del mondo.
State già lavorando sui prossimi modelli?
Sì. In ordine di grandezza, avremo il 72, che è una versione più sportiva di questo 66; il 76, che è abbastanza avanti e introdurrà qualche novità, come la prua un po’ più verticale, più modaiola, ma anche utile perché ci permette di dare più volume alla cabina prodiera. Quindi una scelta non solo estetica ma anche funzionale. Poi ci sarà un 86.
Passi comunque molto prudenti che non puntano ai grandi numeri.
In questo senso, il target di Aicon è cambiato radicalmente. L’idea non è più quella di andare a competere con i grandi gruppi. Qui oggi si vuole creare la boutique, cioè andare a cogliere quel cliente che pur avendo la possibilità di comprare una barca più grande, ma sostanzialmente anonima, non la vuole. Un desiderio di personalizzazione che, come dicevo, è parecchio aumentato in questo periodo. Lo vediamo addirittura su barche di 10 metri, un tempo praticamente di serie ma che oggi sono sempre più custom, magari costando il doppio. Ciò nonostante, rappresentano un mercato molto interessante, anche sotto il profilo delle marginalità.<p style=”text-align: center;”></p>