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Da WIP Architetti una proposta per il rilancio del turismo nautico

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Vecchi porti per grandi yacht

Il problema della portualità da dedicare alle navi da diporto è, notoriamente, uno dei freni allo sviluppo dell’industria nautica italiana vista nel suo complesso.

Il settore produttivo cantieristico italiano negli ultimi anni è stato protagonista di una crescita che, con 6 miliardi di euro (dati presentati a marzo, da Confindustria Nautica all’evento Road to Expo Dubai), lo ha portato a rappresentare oltre il 2{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} del prodotto lordo italiano. E stiamo parlando solo dell’industria nautica propriamente detta.

Se poi pensiamo all’indotto che la barca genera in termini di turismo e servizi, la cifra può tranquillamente raddoppiare o triplicare, soprattutto tenendo conto del cosiddetto turismo di alta gamma legato alla nautica e agli yacht più grandi che spesso navigano nelle acque italiane ma non hanno porti e banchine in grado di accoglierli.

Marina di Punta Faro, a Lignano Sabbiadoro (Udine): progettato dall’ing. Paolo Viola, il porto è stato realizzato negli anni ’70 e ’80, agli albori dello sviluppo della nautica da diporto in Italia. Inizialmente progettato per 1.800 barche lunghe fino a 15 m, oggi ne accoglie 1.200 fino a 40 m di lunghezza.

E le prospettive di crescita, anche al netto della recente guerra in Ucraina che sta sconvolgendo l’ordine mondiale, si spera rimangano quelle espresse dal responsabile dell’Ufficio Studi di Confindustria Nautica, Stefano Pagani Isnardi, che, in occasione dell’ultimo Salone di Genova, ha affermato che “i grandi cantieri hanno ordini per almeno i prossimi tre anni e l’unica difficoltà che potrà esserci sarà quella di gestire questo quantitativo di ordini in modo da consegnare le barche senza penali, in modo puntuale, con i clienti contenti.”

Sarà stato anche effetto del Covid e dell’ossessione dei contagi che ha generato il desiderio di una vacanza più “isolata” e meno “assembrata”, fatto sta che i saloni nautici di Genova e Cannes dello scorso autunno sono stati letteralmente travolti dagli espositori e dai visitatori, dalle presentazioni dei prodotti e dai dibattiti su qualsiasi argomento – anche il più curioso – che potesse avere a che fare con le barche o con i porti. Insomma, tutti hanno avuto voglia di mare e di barca, tanto che a fine anno non c’erano più barche in vendita, né nuove né usate.

Ma resta la questione dei posti barca e dei porti dedicati al turismo nautico, porti necessariamente belli e in posizioni turisticamente attrattive, dotate di servizi adeguati: probabilmente, come dicevamo all’inizio, il principale problema della nautica italiana.

È qui che entra in gioco WIP Architetti con il suo “Piano per la rinascita del turismo nautico”. WIP Architetti è un’importante società di progettazione con un organico di oltre settanta professionisti fra architetti, ingegneri, urbanisti ed urban designer, paesaggisti, sociologi urbani eccetera che, tra le sue tante attività, si occupa anche di infrastrutture portuali. I progettisti del suo team hanno redatto, negli anni, i Piani Regolatori Portuali di importanti porti commerciali come Catania, Messina, Crotone, Termoli ecc. e realizzato porti turistici come Lignano Sabbiadoro in Friuli o Loano in Liguria.

Loano
Marina di Loano (Savona): progettato dall’ing. Paolo Viola, il porto è stato realizzato negli anni ’80 e ’90 ampliando un porticciolo comunale. Accoglie circa 1.000 imbarcazioni e dispone di una banchina specificamente attrezzata (una delle prime in Italia) per l’ormeggio di 35 superyacht fino a 77 metri di lunghezza.

Proprio in quest’ambito la società ha sviluppato un interessante piano per il recupero di alcuni fra i tanti porti sottoutilizzati o addirittura semiabbandonati presenti lungo le coste del nostro Bel Paese, soprattutto al Sud. Porti spesso nel cuore di cittadine storiche o nei pressi di siti turisticamente attrattivi, porti dove una volta attraccavano le grandi navi commerciali e da carico e, pertanto, dove sono già presenti, in toto o in parte, quelle infrastrutture che permettono l’attracco anche degli yacht più grandi. Insomma, una proposta per valorizzare il settore del turismo nautico indirizzata, in primo luogo, agli enti locali e tutti quei soggetti politico-amministrativi che hanno la possibilità di fare proposte e progetti per investire le risorse del Piano Nazionale di

Ripresa e Resilienza (PNRR), ma anche a tutti gli operatori del settore e tutti i diportisti.

Ing. Paolo Viola, esperto di pianificazione e progettazione di porti e di approdi per il diporto nautico.

Per saperne di più, abbiamo fatto qualche domanda all’ingegner Paolo Viola, esperto di pianificazione e progettazione di porti e di approdi per il diporto nautico, docente nel Master in “Pianificazione e Progettazione Sostenibile delle Aree Portuali” dell’Università di Napoli e responsabile della divisione “Marina & Waterfront” di WiP Architetti s.r.l.

Contrassegnati dal colore rosso, alcuni tra i porti individuati da WIP Architetti per il “Piano per la rinascita del turismo nautico”.

La vostra proposta nasce dalla mancanza di posti barca dedicati alla nautica. Quali sono i numeri?
Se nella produzione di barche – e soprattutto dei cosiddetti superyacht – il nostro Paese non teme concorrenza, nelle attrezzature per accoglierle – i porti – siamo in un ritardo abissale. In teoria non ne mancherebbero: abbiamo ben 780 porti e approdi lungo gli 8.000 chilometri delle nostre coste ma di questi solo 85 hanno i servizi dei veri porti turistici, i cosiddetti marina, mentre dei 160.000 posti barca di cui è dotato il Paese, solo 44.000 sono decorosamente ed efficacemente attrezzati e di questi, in grado di accogliere imbarcazioni che superino i 40 metri di lunghezza, ve ne è una miseria.

In generale, se ci paragoniamo ai vicini paesi del Mediterraneo, abbiamo 2.37 posti barca per 1.000 abitanti contro i 2.80 della Spagna, i 3.87 della Francia, i 4.48 della Croazia e, fra non molto, saremo surclassati anche dal Montenegro e dall’Albania. Anche la distribuzione dei porti lungo le nostre coste non è soddisfacente: meglio nel Nord Italia, peggio nelle regioni meridionali e nelle isole. Abbondanti lungo il Tirreno, lasciano più a desiderare nell’Adriatico, per non dire dello Jonio, che ne è praticamente privo.

Negli anni passati questo tipo di analisi era realmente rappresentativo del mercato della nautica da diporto perché la flotta italiana che solcava i mari, e che necessitava di ormeggi comodi e sicuri, era quasi interamente contenuta fra i 10 e i 15 metri fuori tutto e dunque i primi marina realizzati nel decennio 1970-80 e poi ancora fino alla grande crisi del 2008, erano stati concepiti giusto per queste classi di imbarcazioni. Oggi però tutto è cambiato e sta ancora cambiando.

Monaco
Port Hercule di Montecarlo: uno dei porti del Mediterraneo più attrezzati per l’ormeggio dei superyacht. Dispone di 700 posti barca, compresi quelli per gigayacht da 100 metri ed oltre.

Si riferisce all’aumento degli yacht di grandi dimensioni?
Esattamente. Se le imbarcazioni da 10 a 15 metri riescono ancora a trovare ormeggi, soprattutto nel Nord Italia, anche grazie a lavori di riorganizzazione e di rigenerazione dei porti turistici esistenti, maggiore difficoltà incontrano le barche più grandi, quelle tra i 20 e i 30 metri, mentre risulta quasi totalmente scoperto il segmento delle imbarcazioni che vanno oltre quella misura, nonostante sia il segmento che sta crescendo tumultuosamente in tutto il mondo e anche nel nostro Paese.

Le unità da diporto che superano i 24 metri stanno subendo un’incredibile impennata e l’Italia è fra le prime nazioni al mondo, per numero e qualità, nella loro produzione, con un prezzo che può variare, orientativamente, fra 600.000 e 1.400.000 euro al metro lineare.

Parliamo di quelle che normativamente sono definite navi da diporto, ovvero le imbarcazioni di lunghezza superiore ai 24 metri convenzionalmente chiamate Superyacht (dai 45 ai 60 m), MegaYacht (dai 60 agli 80 m) e Giga Yacht (oltre gli 80 m). Per ragioni di clima, di ambiente, di paesaggio, queste navi frequentano principalmente due mari: il Mediterraneo e i Caraibi. Il primo è ovviamente frequentato per lo più da navi europee, il secondo da navi americane che tuttavia spesso scelgono di stazionare nel Mediterraneo perché più tranquillo e vario, mentre le navi europee navigano il Mar dei Caraibi saltuariamente, per qualche vacanza.

Montenegro
Porto Tivat in Montenegro: il marina più moderno e attrezzato del Basso Adriatico. Accoglie 450 navi da diporto di lunghezza anche oltre i 150 metri.

Dunque, le imbarcazioni più grandi e più belle navigano il Mediterraneo ma sono costrette a tenersi alla larga dall’Italia perché non vi trovano ormeggi, banchine cui accostare, posti barca attrezzati per farvi svernare gli equipaggi?
Non solo. In Italia trovano pure un’importante attività di refitting, anche di alta qualità, ma perennemente alle prese con l’impossibilità di tenere all’ormeggio o a secco più navi in attesa di essere lavorate e quindi con grandi disagi organizzativi, sia per i cantieri sia per le navi. Ricordo che il costo a stagione che viene impegnato per il fare il refit di un superyacht è mediamente pari al 10{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} del suo valore di vendita.

Progettare il recupero e lo sviluppo di un porto significa coinvolgere le autorità competenti e il territorio anche con convegni come quello co-organizzato da WIP Architetti insieme al Lions Club Barletta Host il 7 maggio scorso, dal titolo “Il porto di Barletta, un patrimonio da valorizzare”. L’ing. Paolo Viola mentre illustra la situazione attuale del porto di Barletta.

Può darci un’idea dell’impatto economico dell’indotto generato dall’ormeggio di un superyacht?
In media ogni “toccata” di un superyacht “scarica” sul territorio circostante circa 11.000 euro al giorno per servizi di ristorazione, accoglienza, turismo, sport, noleggio eccetera. Parliamo di attività indotte di alta qualità che portano sviluppo economico, opportunità di lavoro, crescita del territorio, scambi culturali di elevato valore. Pensiamo sia giusto favorire e incoraggiare questo tipo di turismo e di attività anche combattendo quel pesante pregiudizio esistente nel nostro Paese nei confronti del turismo nautico, un pregiudizio ideologico e un po’ pauperista.

Una volta limitato alle barche in generale, negli ultimi anni si è focalizzato nei confronti di qualsiasi imbarcazione cabinata – emblema di vacanza per pochi eletti – e ora, più che mai, nei confronti dei grandi yacht. Chissà perché non esiste un preconcetto nei confronti degli alberghi di lusso, delle grandi ville, degli esclusivi campi da golf, neppure di fronte agli aerei e agli elicotteri privati, mentre esiste questo diffuso preconcetto nei confronti delle meravigliose – anche se non sempre, a dir la verità – navi da diporto.

Eppure, è noto che, molto più spesso di quanto non si creda, queste unità sono dei veri resort naviganti di lusso, oggetto di investimento da parte di fondi e di società specializzate, offerte sul mercato per occasioni di rappresentanza, e dunque di lavoro, di alto standing.

Facendo un calcolo molto approssimativo sulla base dei dati fin qui ricordati, possiamo dare un peso a quanto può rendere al territorio circostante un metro lineare di banchina destinato alle grandi navi da diporto: se un superyacht di 50 metri, il cui valore medio può essere orientativamente 50 milioni di euro, “scarica” quotidianamente sul territorio 11.000 euro occupando 10 metri di banchina, abbiamo che un metro di banchina può produrre mediamente 1.100 euro al giorno.

Se ipotizziamo un’occupazione della stessa banchina del 50{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8}, otteniamo che un metro lineare di banchina produce un indotto di 1.100 x 365 x 0,50 = 200.000 euro circa l’anno. Cento metri di banchina dedicata ai superyacht possono generare un indotto complessivo di oltre 20 milioni di euro l’anno!

I partecipanti al convegno: in primo piano, l’ing. Manlio Guadagnolo, Commissario della Zona Economica Speciale Adriatica, e l’avv. Ugo Patroni Griffi, presidente dell’Autorità di Sistema Portuale Adriatico Meridionale.

Veniamo ora alla vostra proposta di sviluppo della portualità turistica.
Si tratta di una proposta operativa ben inquadrabile nei vari piani di “sviluppo per il Sud”, piani nazionali di “ripresa e resilienza”, piani di “coesione territoriale”, “zone economiche speciali” eccetera, oggi in pieno fermento.

Il “Piano per la rinascita del turismo nautico”, come è stato battezzato dai suoi promotori, consiste nella creazione lungo l’intero arco delle nostre coste, a partire dal Mezzogiorno, di un sistema di darsene o porti attrezzati per l’ormeggio di unità da diporto da 24 a 100 metri e oltre, complete di servizi alle navi – refitting, manutenzioni, rifornimenti eccetera – e di servizi alle persone – alberghi, sanità, attività commerciali, servizi professionali, compresi quelli necessari alle famiglie degli equipaggi – il tutto possibilmente nell’ambito dei fatidici “15 minuti a piedi” adeguati agli standard dei loro utenti, ben sapendo che venti o trenta grandi yacht ormeggiati in porto hanno lo stesso peso insediativo di un medio condominio ma un peso socioeconomico ben più elevato sulla collettività, grazie alla quantità e alla qualità dei servizi richiesti e da soddisfare.

Barletta
Porto di Barletta oggi: le foto ne rendono evidente il sottoutilizzo.

Cosa prevede il piano?
L’idea è quella di riutilizzare infrastrutture esistenti senza impattare sul paesaggio e sull’ambiente con nuove megastrutture. Su questa base il piano prevede di realizzare in porti esistenti – spesso poco o male utilizzati – ambiti o darsene dedicati alle navi da diporto, riorganizzando e riordinando le banchine e i servizi a terra, creandone se necessario di nuovi insieme alle forze locali più vivaci, costituendo e formando operatori specializzati del settore, avendo cura di intervenire in modo positivo e armonioso sulle consolidate realtà dei borghi e delle città marinare di cui è ricca l’Italia e, soprattutto, evitando di consumare altri suoli e altri tratti di costa.

L’obiettivo è quello di individuarne uno per ciascuno dei mari che circondano la nostra penisola – Tirreno Settentrionale, Tirreno Meridionale, Jonio, Adriatico Meridionale, Adriatico Settentrionale – e metterli in rete. Non farne ghetti ma luoghi aperti sia verso mare – in porti condivisi con barche di ogni tipo – sia verso terra – con gli yacht ormeggiati a spazi urbani, ameni, attrezzati per il ristoro e per le attività del tempo libero – sì da creare veri e propri quartieri urbani dove possano integrarsi equipaggi, residenti e turisti.

Barletta
Con il recupero di un porto come quello di Barletta e lo sviluppo al suo interno di una darsena turistica da 750 posti barca, è possibile aumentare di quasi il 20{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} l’offerta di posti barca dell’intera costa adriatica pugliese, senza contare la possibilità di poter ospitare anche un consistente numero di grandi yacht.

Avete già individuato qualche porto?
Nel nostro piano, ad esempio, stiamo studiando – oltre a qualche porto siciliano – il riutilizzo delle infrastrutture portuali di Gallipoli e di Barletta. Per questi porti possiamo anticipare che abbiamo verificato che si potrebbero ormeggiare, con modesti interventi, rispettivamente 30 e 60 navi da diporto lunghe dai 40 ai 100 metri e oltre.

Il vostro piano prevede il recupero di infrastrutture pubbliche, l’utilizzo del territorio, lo sviluppo di servizi, tutti temi che vanno affrontati con il coinvolgimento dei vari attori pubblici competenti. Ma anche comunità locali, imprenditori privati eccetera. Quali iniziative avete previsto?
La divisione “Marina & Waterfront Design Team” della Wip Architetti sta lavorando da tempo su questi temi. In particolare, per questo e altri progetti ha costituito MDN – Marinas Development Network, una rete di studi e società professionali specializzati nelle discipline necessarie ad affrontare un piano tanto complesso quanto necessario – e sta promuovendo in diverse regioni una serie di seminari di studio per coinvolgere il mondo della politica e della cultura, della finanza e dell’imprenditoria.

Per creare più ampie sinergie e per tenere aperto il dialogo con ogni potenziale operatore, pubblico o privato che sia, intendiamo ritornare sul tema con incontri distribuiti nel tempo e nei luoghi che hanno maggiore vocazione al turismo nautico.

Ad esempio, il 7 maggio scorso, abbiamo co-organizzato insieme al Lions Club Barletta Host un convegno intitolato “Il porto di Barletta, un patrimonio da valorizzare” con l’obiettivo di valorizzare il patrimonio del porto della città. Abbiamo così potuto discutere del futuro di questa importante infrastruttura, mai completata e scarsamente utilizzata, con i principali protagonisti della sua pianificazione e progettazione: l’Autorità di Sistema Portuale, la Regione, il Comune e la ZES Adriatica.

In particolare, durante il convegno è stata messa a fuoco la vocazione di Barletta nei confronti del turismo nautico anche grazie alla prossimità dell’aeroporto di Bari e dell’Autostrada Adriatica, alla sua posizione nell’Adriatico Meridionale rispetto alle mete internazionali e, non ultimo, alla presenza di un centro storico di grande rilevanza che si coniuga con la tradizionale ospitalità della Puglia.

Allo stesso tempo abbiamo presentato proposte concrete per la formazione del Piano Regolatore Portuale del porto di Barletta, in corso di elaborazione da parte dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale, con alcune soluzioni relative allo sviluppo della portualità turistica.

Il porto di Barletta è infatti molto ampio e poco protetto dal moto ondoso e, dunque, il Piano Regolatore Portuale – così come peraltro previsto dal DPSS (Documento di Pianificazione Strategica di Sistema Portuale dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale, ndr) – dovrà prevedere di correggerne l’imboccatura, di dedicare al diporto un’ampia porzione dello specchio d’acqua e di sviluppare un nuovo waterfront sotto gli spalti del grandioso Castello.

In quest’ottica, abbiamo proposto di rendere il porto di Barletta una struttura di riferimento per l’Adriatico Meridionale, soprattutto per i grandi yacht che trovano con grande difficoltà ormeggi attrezzati di standing adeguato, avendo anche riguardo allo sviluppo che sta caratterizzando le sponde adriatiche orientali, dalla Croazia alla Grecia passando per il Montenegro e l’Albania.

Questo percorso si può replicare in tutta Italia. Non è difficile, si può fare; se qualcuno è interessato a questo ambizioso “Piano per la rinascita del turismo nautico” batta un colpo perché c’è spazio per tutti.<p style=”text-align: center;”></p>

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