Ricci di mare a rischio, le azioni per tutelarli
Foto del Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente dell’Università di Cagliari – Guardia Costiera
C’è un conosciuto abitante dei fondali molto appetibile e per questo ricercato, ma prelevato in maniera insostenibile, al punto da metterne a rischio la sopravvivenza. È il riccio di mare Paracentrotus lividus, spinoso echinoderma tipico degli habitat costieri mediterranei, dove vive tra le rocce e la posidonia, fino a 30 metri di profondità. Si distingue per la sua colorazione, dal viola al marrone al verdastro, rispetto al consimile nero, che rappresenta invece la specie Arbacia lixula, meno richiesta dal mercato. Spesso, sono indicati rispettivamente come “femmina” e “maschio”, ma in realtà si tratta di due specie distinte.
A far gola sono le gonadi interne del riccio, strisce radiali arancioni o rosse particolarmente apprezzate dai buongustai, consumate sia crude sia come “polpa”, ingrediente di famosi piatti quali gli spaghetti ai ricci di mare.
Il prodotto fresco ha valori di vendita notevoli, considerato che in alcuni mercati, come a Parigi, ha quasi raggiunto i 50 euro al chilogrammo.
Le tante richieste dei consumatori hanno portato le popolazioni di ricci della fascia costiera di numerosi Paesi del Mediterraneo e del nord Atlantico (tra cui l’Irlanda), a mostrare evidenti sofferenze da perdurante sovrasfruttamento.
Negli ultimi decenni, anche nelle acque italiane si è osservato un calo vistoso della risorsa in zone un tempo densamente popolate, con una sfilza di intercettazioni e sequestri del pescato illegale e multe ai pescatori fuorilegge da parte della Guardia Costiera.
In assenza di specifici provvedimenti regionali, per tutelare la specie a livello nazionale è previsto il fermo biologico, da maggio a giugno, e il rispetto delle taglie minime. Ma in alcune regioni, come in Sardegna, si è voluto intervenire prima con una normativa restrittiva dei prelievi (sono autorizzati a pescare i ricci solo i titolari di licenza regionale, seguendo le regole dettate da apposito decreto della Giunta regionale) e, dal prossimo anno, con un provvedimento unico in Italia, adottato a fine ottobre dal Consiglio regionale sardo, che vieta pesca, detenzione e commercio dei ricci fino al 30 aprile 2024. Uno stop triennale necessario a fermare la pesca commerciale incontrollata, condotta da sub abusivi e privi di scrupoli.
Al programma di monitoraggio e recupero ambientale sono chiamati a collaborare gli stessi pescatori, a cui spetterà un indennizzo. Da qualche anno, la Regione Sardegna ha avviato un piano per valutare gli stock, e i dati sono preoccupanti: ci sono fondali con densità scese da 4 ricci al metro quadro a qualche unità, addirittura a zero in alcuni siti del sud ovest sardo.
Nel piano, coordinato dall’agenzia regionale Agris con le Università di Cagliari e Sassari e l’IMC di Oristano, c’è anche un progetto di allevamento del riccio, presso il laboratorio sperimentale di acquacoltura del Consorzio ittico Santa Gilla, a seguito del successo ottenuto con il programma RESURCH, mirato alla riproduzione e all’allevamento.
Recentemente, nello schiuditoio cagliaritano sono stati prodotti 4 milioni di larve, una parte dei quali, una volta divenuti esemplari maturi di riccio, verranno rilasciati in mare, con l’obiettivo conservazionistico di ripopolare i fondali. Esperienza simile, ma con sbocco commerciale, è stata condotta positivamente ed è in corso a Procida, presso l’azienda Echinoidea, con il supporto scientifico della Stazione Anton Dhorn e l’Università Federico II di Napoli. Si punta a diffondere e sostenere l’allevamento del riccio di mare da parte dell’industria europea dell’acquacoltura, così da salvaguardare gli stock marini, riducendo i tempi per raggiungere la taglia di vendita, sviluppando e testando sistemi di allevamento, di colture algali e diete specifiche idonee in vasca per gli stadi giovanili ed in mare per gli adulti.<p style=”text-align: center;”></p>


