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La matematica e gli AC 75, la CFD per studiare le performance di una barca

Luna Rossa

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Cos’è la CFD

di Andrea Mancini e Daniele Peri

Cos’è la CFD? È possibile spiegarlo senza diventare incomprensibili ai più? Ci potremmo provare affidandoci all’ormai onnipresente Wikipedia dove si legge che la “fluidodinamica computazionale o numerica (brevemente detta CFD, Computational Fluid Dynamics in inglese) è un metodo che utilizza l’analisi numerica e algoritmi per risolvere e analizzare i problemi di fluidodinamica mediante l’utilizzo del computer”. Per poi addentrarsi subito in spiegazioni per addetti ai lavori. No, Wikipedia non ci può aiutare, almeno questa volta. Proviamo da soli.
La CFD altro non è che l’applicazione di equazioni matematiche, più o meno complesse, che descrivono il moto dei fluidi e le loro eventuali trasformazioni.

Tipicamente, nel caso di un’imbarcazione, si considera il volume di fluido che la circonda: tale volume (detto “volume di controllo”) deve essere sufficientemente ampio il modo che, in corrispondenza dei bordi, gli effetti legati alla presenza della carena si possano considerare assenti, almeno in termini quantitativi. Detta così potrebbe sembrare semplice, ma c’è un problema.Le condizioni del fluido (velocità, direzione, pressione, temperatura, densità ecc.) in questo volume non sono costanti, ma variano da punto a punto, anche in modo significativo. E, spesso, anche istante per istante. Infatti, le condizioni del fluido spesso non sono stazionarie, ma variano nel tempo anche se il moto della carena è stazionario o, come si dice in fisica, è un moto uniforme. Parliamo in questo caso di flussi non stazionari, come possono essere i vortici che in navigazione si staccano a poppa che ognuno di noi ha modo di osservare.

Le equazioni matematiche fluidodinamiche sono scritte in modo da descrivere una variazione continua e sostanzialmente progressiva delle caratteristiche del fluido: tuttavia, per ottenere una soluzione di queste equazioni in termini numerici, ossia per determinare – per esempio – il valore della velocità in un punto, è necessario risolverla in corrispondenza del punto desiderato. Di conseguenza, il nostro volume di controllo sarà diviso in tante piccole parti, per esempio in cubetti, e l’equazione verrà risolta in corrispondenza del centro di ogni cubetto. L’operazione di definizione di questo insieme di cubetti (celle) è detto “discretizzazione”, in quanto stiamo passando da un’espressione continua delle nostre equazioni a una loro espressione “discreta”, ossia in un definito numero di punti.

La soluzione delle equazioni tipicamente non può essere ottenuta in un unico passo, ma secondo un procedimento iterativo: infatti, i diversi cubetti dialogano tra loro, per cui sarà necessario risolvere il sistema rappresentato dall’insieme delle singole equazioni dei singoli cubetti. È evidente che quanto più riesco a discretizzare in maniera definita il mio volume di controllo, quindi ad eseguire i calcoli su aree e celle sempre più piccole, tanto più il modello matematico riuscirà ad essere fedele al fenomeno reale. Si può anche comprendere come la densità delle celle non debba essere necessariamente costante nello spazio, ma può essere più densa dove i fenomeni variano rapidamente (nello spazio e nel tempo), mentre possono essere diradate in quelle zone più “tranquille”.

Idealmente, se potessi utilizzare un numero di celle infinite otterrei la soluzione del problema continuo. Ed ecco che, a questo punto, entra in gioco il computer. Infatti, le complesse equazioni che servono a questi calcoli sono state in realtà già definite da secoli. Stiamo parlando delle equazioni di Navier-Stokes che sono alla base dei calcoli che descrivono il moto dei fluidi, equazioni elaborate dagli omonimi scienziati nel corso del 1800. Ma, pur potendo in teoria descrivere analiticamente il moto di un fluido, in passato era impossibile farlo nella realtà perché non era possibile fare gli stessi complessi calcoli per un numero di celle sufficienti a rappresentare le variazioni dello stato di un volume di fluido, come quello in cui si muove una barca. Questo fino all’arrivo dei computer che, invece, possono ripetere gli stessi calcoli per un numero, se non infinito, comunque molto elevato di volte.

E solo un problema di potenza di calcolo … o quasi! Infatti, dato che per i calcoli di ogni cella è necessario disporre di una certa quantità di memoria (RAM), ecco che un primo collo di bottiglia è rappresentato dalla memoria disponibile. Il secondo è ovviamente legato al tempo necessario per risolvere il sistema di equazioni. Di conseguenza, il numero di celle utilizzato rappresenterà un compromesso tra qualità di risultati e rapidità di esecuzione.

Per inciso esiste – è stato ed è ancora utilizzato con successo – anche un modello matematico semplificato detto a “pannelli” in cui non viene discretizzato l’intero volume di controllo come prevedono le equazioni di Navies Stokes, bensì soltanto le superfici che delimitano il campo, quindi la superficie della carena e una parte della superficie di separazione aria/acqua nelle sue vicinanze, interessata dai fenomeni ondosi.

La soluzione viene ottenuta solo e soltanto su queste aree. In questo modo si riduce drasticamente il numero di celle sulle quali risolvere le equazioni, tra l’altro meno complesse delle equazioni di Navier-Stokes. In questo caso si parla di equazioni del flusso a potenziale in cui non sono comprese le azioni di attrito (che vengono reintrodotte in maniera semplificata in un secondo momento). Evidentemente i due metodi hanno delle grossissime differenze in termini di tempi di calcolo e, proprio per questo, entrambi i metodi vengono generalmente utilizzati, spesso in modo integrato.

Alla luce di quanto detto, è chiaro il motivo per cui la CFD si è sviluppata massicciamente negli ultimi 30 anni, cioè da quando i computer sono diventati potenti tanto da permettere di eseguire simulazioni complesse in tempi ragionevoli. Si pensi che una simulazione che oggi richiede magari 5 minuti di calcolo su un normale PC di alta fascia, fino a qualche anno fa richiedeva magari una settimana o anche più. Così oggi sono a disposizione dei progettisti numerosi software di simulazione, più o meno sofisticati e affidabili. Ma sono strumenti che vanno conosciuti a fondo e utilizzati con la dovuta competenza.

Questo solo per dire di diffidare dei tanti pseudo esperti di CFD che producono bellissime immagini con tanti colori. Sempre di CFD si tratta ma, come si dice scherzosamente fra gli addetti ai lavori, non è la Computational Fluid Dynamics ma la COLORFUL Fluid Dynamics, la fluidodinamica colorata!

America’s Cup e Computational Fluid Dynamics

La CFD, o simulazioni numeriche al computer, è uno strumento sempre più importante per definire la migliore forma della carena di una barca, soprattutto quando si tratta di competizioni. Proprio come è accaduto per l’ultima America’s Cup.

CFD

Il computer è ormai uno strumento che ci guida e ci assiste in ogni nostra attività, uno strumento di cui non possiamo più fare a meno. Se questo è vero nella nostra vita quotidiana, è ancor più vero in una qualsiasi attività di progettazione, compresa quella di un’imbarcazione.

Luna Rossa Prada Pirelli

Ma quando oggi si progetta una barca al computer, non solo si disegna l’insieme scafo-arredi per ottenere quelle bellissime immagini “render” – sempre più spesso in animazione – che ci fanno sognare di essere già a bordo. Il computer è, infatti, utilizzato anche per fare i calcoli delle strutture e per disegnarle, per verificare la stabilità della barca, per tagliare le lamiere e le seste, per costruire, con frese a controllo numerico e stampanti 3D, parti e componenti della barca, fino all’intera imbarcazione. Non solo.

Il computer è sempre più utilizzato anche per prevedere il comportamento idrodinamico dell’imbarcazione stessa, la sua resistenza al moto, il suo comportamento su onde, le prestazioni del propulsore o dei propulsori. Stiamo parlando della Computational Fluid Dynamics, meglio conosciuta con il suo acronimo CFD o – per restare alla nostra lingua – simulazione numerica.

Emirates Team New Zealand
Emirates Team New Zealand

Sviluppatasi di pari passo con il progresso dei computer, la CFD è diventata oggi molto affidabile ed è utilizzata in modo intensivo un po’ ovunque, a partire da quei contesti dove si ricercano prestazioni di rilievo, come ad esempio il mondo delle gare. Proprio per lo sviluppo degli AC75 dell’ultima America’s Cup, i monoscafi volanti che hanno regatato a Auckland nella primavera scorsa, la CFD ha avuto un ruolo determinante per disegnare e ottimizzare le forme di carena, le vele e l’albero e i foil: le ali grazie alle quali queste barche si sollevavano dall’acqua.

Pinna Australia
Australia II e le sue famose “alette” fu, nel 1983, la prima barca dell’America’s Cup progettata
anche grazie all’utilizzo di simulazioni
numeriche. E fu un successo.

Ovviamente nel rispetto delle regole di regata che imponevano precisi limiti dimensionali. Tra l’altro, in questa ultima edizione, le simulazioni CFD sono state le uniche consentite. Un po’ perché le prove in scala sarebbero state limitate ai singoli elementi (foil e timoni) non potendo riguardare l’insieme scafo + appendici, in quanto è praticamente impossibile riprodurre in scala la coesistenza dei fenomeni fisici diversi che interessano un’imbarcazione così veloce. Ma soprattutto perché da regolamento era vietato eseguire test su modelli fisici in vasca navale o in galleria del vento. Ciò, anche al fine di contenere i budget.

pinna australia
Nelle figure, la complessa geometria delle “alette”, o winglet,
e una moderna simulazione che mostra sia la formazione ondosa prodotta dallo scafo sia il flusso a valle delle winglet.

Non a caso, tra gli addetti ai lavori e i tecnici, quando ci si riferisce alla CFD si parla anche di vasca o galleria virtuale.
Così, i team in gara si sono avvalsi dei migliori specialisti CFD al mondo che hanno eseguito complesse simulazioni sia sui singoli elementi – ovvero scafo, vele e foil – sia sul sistema barca (se ancora si può chiamare così) nel suo complesso, considerando cioè l’interazione tra i singoli elementi nelle varie fasi di navigazione (foiling, virata, decollo ecc.). Il tutto per ottimizzare, appunto, il sistema barca e le sue prestazioni al fine di guadagnare quel secondo che poteva decidere la gara.

Ad esempio, limitandoci alla sola finale, abbiamo potuto notare un’evidente differenza tra la forma dei foil di Luna Rossa e quelli di Te Rehutai, la barca neozelandese. Nonostante che, per regolamento, il sistema di movimentazione e i bracci dei foil (foil arm) per fossero uguali per tutti e forniti da un unico produttore, per il foil vero e proprio – cioè l’ala immersa in acqua – ciascun contendente era libero di scegliere la forma ritenuta più congeniale. Così, mentre la prima ha optato per un foil con forma a Y, la seconda ha adottato un foil a T.

Questa differenza è stata frutto proprio delle scelte fatte a valle delle simulazioni CFD che hanno permesso di valutare le performance delle diverse forme nei vari scenari di gara. Ancora più evidenti sono state le scelte per ridurre la resistenza aerodinamica che, a causa delle elevate velocità raggiunte, è diventata più importante della resistenza idrodinamica, che interessava i soli foil. Proprio con il supporto delle simulazioni al computer la superficie dell’intero scafo, coperta compresa, è stata perfettamente avviata, senza interruzioni e aperture se non quelle strettamente necessarie. Sono così nati quei canali in cui stava nascosto l’equipaggio per offrire meno resistenza aerodinamica possibile: specie di “trincee” comunque avviate con il resto.

Luna Rossa
Nelle gare della primavera scorsa, tutti abbiamo potuto notare che l’equipaggio degli AC75 era nascosto all’interno di canali scavati sulla coperta. Una sorta di “trincee” avviate sulla base delle simulazioni CFD al fine di offrire meno resistenza aerodinamica che, a causa delle elevate velocità raggiunte, è diventata più importante della resistenza idrodinamica.

Intervista a Daniele Peri

Per saperne di più sulla CFD e su come diventi sempre più determinante in una gara come l’America’s Cup, abbiamo fatto una chiacchierata con un esperto che, fin dalla prima partecipazione di Luna Rossa (nel 2000), ha collaborato con il team progettuale di Patrizio Bertelli proprio per mettere a punto le varie Luna Rossa che si sono succedute negli anni: Daniele Peri, ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche che da 30 anni si occupa di CFD, prima alla vasca navale di Roma (oggi Istituto di Ingegneria del Mare – INM) e oggi all’Istituto per le Applicazioni del Calcolo (IAC).

Come entra la CFD nella progettazione di una barca a vela?

Innanzitutto, più che di CFD a me piace parlare di modellistica matematica. Per quanto riguarda la progettazione di una barca a vela parliamo di un problema estremamente stimolante dal punto di vista ingegneristico. La barca a vela è, infatti, un veicolo che viaggia immerso in due diversi fluidi, l’aria e l’acqua, nei quali si sviluppano le forze e i momenti che ne determinano l’assetto e la velocità. Le azioni di controllo si svolgono sostanzialmente in acqua, mentre in aria vengono generate le forze propulsive. L’equilibrio di questi due sistemi di forze viene ottenuto regolando sia gli organi di manovra (timone e altre appendici) sia le vele, e le possibilità di regolazione sono pressoché infinite.

Tuttavia, mentre per una imbarcazione da crociera l’obiettivo principale è quello puramente ricreativo, per cui la progettazione tipicamente si concentra sulla stabilità e sulla semplicità di conduzione, nel caso di una imbarcazione da regata le prestazioni rappresentano l’unico obiettivo.

Questo significa mettere in campo tutti i possibili mezzi tecnici per la determinazione della miglior configurazione possibile, ragion per cui, in questo campo specifico, la modellistica matematica è ormai entrata a far parte in pianta stabile degli strumenti di progettazione e analisi. Più è elevato l’obiettivo, maggiore sarà lo sforzo compiuto per raggiungerlo. In questo senso la conquista della Coppa America rappresenta forse il più importante obiettivo per un velista.

Si tratta del trofeo più antico nel mondo dello sport, conteso a livello mondiale da più di un secolo e mezzo, ma soprattutto è un trofeo in cui – citando una famosa frase pronunciata proprio durante la prima regata della storia della Coppa America – “there is no second”… E una differenza di prestazioni dell’ordine di un punto percentuale è già sufficiente a garantire la vittoria.

vasca navale
L’attuale regolamento di Coppa America permette solo simulazioni numeriche mentre vieta la sperimentazione su modelli fisici, come avveniva in passato. Nella foto in basso, il modello di 9 metri in scala 1:3 in prova presso la vasca navale di Roma in occasione dell’ultima America’ Cup con i monoscafi dislocanti, nel 2007 (foto di Massimo Guerra – INM CNR)

La CFD in Coppa America: quando è stata utilizzata per la prima volta?

Il connubio tra matematica e Coppa America ha una storia molto lunga. Esso parte da quando gli strumenti matematici hanno potuto essere applicati realmente, ovvero quando l’hardware per il calcolo è diventato sufficiente a supportare i modelli matematici. Questi incominciano ad essere messi a punto già agli inizi del secolo scorso, ma allora non esistevano piattaforme hardware in grado di supportarli.

La prima barca per la quale si utilizza la matematica in modo significativo è stata Australia II che, nel 1983, vince la Coppa America strappandola agli americani che la detenevano ininterrottamente da 130 anni. E proprio la matematica, in particolare la fluidodinamica computazionale, contribuirono in maniera decisiva a quella vittoria, nonostante che la potenza di calcolo disponibile fosse ancora modesta. Le innovative appendici di “Australia II” furono progettate utilizzando modelli matematici decisamente semplificati (un modello a potenziale agli elementi di contorno) ma ingegneristicamente affidabili, utilizzando delle piattaforme di calcolo decisamente meno potenti di un attuale smartphone.

Nelle due immagini relative all’America’s Cup 2003, si può vedere come la simulazione CFD riproduce con ottima approssimazione la formazione ondosa prodotta in navigazione dall’imbarcazione al vero.

E poi?
Poi non se ne è più potuto fare a meno. Già nella edizione successiva, nel 1987, diversi consorzi americani hanno fatto largo uso delle simulazioni numeriche per lavorare sull’idea progettuale di “Australia II” e metterla a punto. Nell’edizione successiva, nel 1992, arriva un drastico cambio di regolamento a rimescolare le carte: si passa dai 12 metri stazza internazionale alla nuova classe IACC (International America’s Cup Class).

Ed è proprio in situazioni come questa, in cui lo spazio progettuale è del tutto inesplorato, che le simulazioni numeriche diventano ancora più utili per verificare un enorme numero di diverse geometrie, seppur sempre all’interno dell’area progettuale definita del regolamento. Anche il Moro di Venezia – per parlare delle sfide italiane – fu progettato sulla base di modelli numerici.

Si pensi che per il progetto dello scafo furono costruiti una ventina di modelli fisici in scala, poi provati nella vasca navale di Roma, e ben 5 imbarcazioni complete in scala reale. Le appendici, quindi bulbo, deriva e timoni, furono invece progettate utilizzando codici di calcolo simili a quelli già impiegati dal team di “Australia II”, ma con una descrizione più accurata delle forme dell’imbarcazione e, quindi, con un margine d’incertezza decisamente inferiore: infatti, l’accuratezza dei risultati forniti da un modello matematico è anche legata al livello di dettaglio nella definizione delle forme, il che è sostanzialmente legato alla quantità di memoria disponibile sui computer di calcolo.

Il Moro poi vinse la Louis Vuitton Cup acquisendo il diritto a contendere la Coppa America all’imbarcazione statunitense America³, divenendo così la prima imbarcazione di un Paese non anglofono a poter ambire alla coppa in 141 anni di storia del trofeo. Stiamo parlando della Coppa America del 1992.

Simulazione della formazione ondosa a valle di un catamarano classe Coppa America (2012) eseguita con un codice a pannelli e un codice viscoso a volumi di fluido.

E oggi?
Via via che il tempo passa, l’hardware supporta meglio il modello matematico. Perciò, al giorno d’oggi, le simulazioni possono essere effettuate utilizzando modelli fisico/matematici decisamente più complessi e sofisticati rispetto al passato. Allo stesso tempo, l’evoluzione delle forme di carena ha portato a un livellamento in alto delle prestazioni degli scafi, per cui l’incertezza associata alle previsioni numeriche di questi modelli è diventata superiore rispetto alla differenza delle prestazioni tra i contendenti.

Si è già accennato a come una differenza di prestazioni dell’ordine dell’1{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} possa rappresentare un limite di separazione tra la vittoria e la sconfitta: recentemente questo limite è risultato essere rappresentativo degli estremi delle prestazioni dell’intera flotta, ossia della differenza tra lo scafo più performante e quello più “scadente”. Come in passato, i cambi regolamentari tendono a dilatare questa forbice, che la qualità degli strumenti di progettazione tende poi rapidamente a stringere.

Il progresso delle risorse di calcolo, in particolare le architetture multiprocessore, consentono oggi di svolgere in tempi ragionevoli calcoli un tempo impensabili. Il lavoro di ottimizzazione delle appendici di uno scafo di Coppa America nel 2007 è stato svolto utilizzando un cluster di 12 processori, mentre la discretizzazione del problema, ossia la sua espressione in termini numerici, richiedeva la soluzione di circa 800.000 equazioni.

Già nel 2012 avevamo a disposizione un cluster con 288 processori su cui risolvere problemi con qualche milione di equazioni. Va sottolineato come, sebbene sia intuitivo pensare che l’uso di un elevato numero di processori riduca i tempi di esecuzione, in realtà il reale vantaggio risiede nella complessità del problema che oggi, con questi strumenti, può essere risolto. La capacità di descrivere dettagli del flusso attorno all’imbarcazione con sempre maggior precisione rende i risultati della simulazione sempre più vicini alla realtà fisica, proprio perché i modelli matematici riescono a descrivere correttamente la realtà se il loro livello di risoluzione spaziale è pari alla lunghezza caratteristica del fenomeno, ossia lo spazio entro il quale si svolgono i fenomeni fisici di interesse.

Un altro elemento importante è rappresentato dalle nuove sfide introdotte dalle variazioni regolamentari. L’attuale regolamento della Coppa prevede l’utilizzo di imbarcazioni decisamente inusuali, certamente molto distanti da quello che è il comune concetto di barca a vela. Lo scafo, che normalmente galleggia per sostenere il peso dell’imbarcazione, viaggia completamente sollevato al di fuori dell’acqua e l’imbarcazione si muove appoggiandosi a due soli elementi, il timone e la deriva.

Mancando un terzo punto di appoggio, si comprende come l’equilibrio contenga elementi di grande criticità. Inoltre, insorgono nuovi fenomeni fisici, quali la cavitazione, ossia la formazione di bolle d’aria a ridosso delle superfici portanti, che richiedono quindi uno sviluppo ulteriore del modello matematico. Inoltre, con le elevate velocità raggiunte, la resistenza aerodinamica inizia a giocare un ruolo significativo, per cui diviene importante inserire anche l’opera morta all’interno della simulazione. Cambia quindi la filosofia progettuale dello scafo e, come in precedenza, la modellistica matematica contribuisce ad indirizzare i progettisti in un campo del tutto nuovo e inesplorato.

Può fare qualche esempio?
Ad esempio, è totalmente cambiato l’approccio progettuale relativo alle appendici immerse. Si è accennato all’insorgere del fenomeno della cavitazione, tipicamente del tutto estraneo alla progettazione delle barche a vela tradizionali ma ben noto nel campo delle eliche e dei propulsori navali. Il fenomeno della cavitazione insorge quando la pressione, in una determinata area dello scafo, scende al di sotto della tensione di vapor saturo alla temperatura ambiente, per cui il passaggio di stato acqua/vapore avviene senza bisogno di scaldare il fluido. Negli attuali scafi di Coppa America, i foil – ossia i profili alari di cui è dotato lo scafo – sono progettati per sostenere il suo peso, consentendogli di uscire fuori dall’acqua. L’azione portante è generata principalmente creando un’area in depressione sul dorso dell’ala, per cui in quella zona il livello di pressione è decisamente basso: così basso da scendere al di sotto della pressione di evaporazione dell’acqua, che quindi “bolle” a temperatura ambiente. Chiaramente il disegno di queste appendici richiede tecniche di progettazione completamente differenti per le quali la modellistica matematica rappresenta uno strumento fondamentale. Inoltre, dato che un modello matematico è facilmente interfacciabile a un sistema di ottimizzazione automatica, possiamo spostarci verso la frontiera della progettazione assistita: utilizzando infatti i modelli di previsione in combinazione con un algoritmo parametrico di moderazione solida e un algoritmo di ottimizzazione, è possibile ricercare in modo automatico la forma più conveniente per un determinato obiettivo progettuale. Si tratta di una opportunità fornita unicamente dalla modulistica matematica e rappresenta sicuramente la ragione per cui le moderne tecniche di progettazione non possono ormai più fare a meno dell’impiego dei modelli matematici.

Può provare a spiegarci che cos’è la progettazione assistita in parole più semplici?

Ci provo. Innanzitutto, consideriamo due elementi. Il primo: la potenza delle attuali piattaforme di calcolo dei computer ci permette di svolgere simulazioni complesse in tempo decisamente rapidi. Il secondo: normalmente il disegno di uno scafo viene effettuato utilizzando un sistema CAD parametrico, ossia un programma di disegno tecnico in cui le diverse superfici dello scafo sono descritte tramite una rete di punti di controllo. Inoltre, al risultato della simulazione numerica può essere sempre associato un valore numerico che chiameremo funzione obiettivo, indicativo delle prestazioni dello scafo: per esempio, il tempo di percorrenza dell’intera regata. Ora, definito questo quadro di calcolo, se modifico la posizione di uno o più punti di controllo sul mio sistema CAD, ottengo una nuova forma dello scafo a cui assocerò il suo valore della funzione obiettivo (tempo di percorrenza regata).

A questo punto, se riesco a definire un algoritmo di ricerca che mi consenta di trovare, con un numero ridotto di tentativi, quale sia la configurazione più performante dei parametri, e quindi quale sia la forma dello scafo più performante, il gioco è fatto! Questo è il ruolo degli algoritmi di ottimizzazione. Nel corso degli anni sono stati sviluppati algoritmi sempre più efficienti, basati anche su tecniche di intelligenza artificiale, per ridurre al massimo il numero di tentativi necessari per ottenere la barca più performante. Così oggi siamo in grado di mettere insieme tutti questi elementi per poter sviluppare progetti innovativi in ogni settore dell’ingegneria, compresa la progettazione di una imbarcazione di Coppa America che rappresenta un importantissimo banco di prova. E non è un caso che nell’ultima sfida dell’America’s Cup sono comparsi sponsor tecnici del settore automobilistico, aeronautico e aerospaziale.

Per concludere, la domanda che tutti ci facciamo: la CFD è affidabile?

Tutto dipende da come viene utilizzato lo strumento CFD. Con un uso corretto gli strumenti della fluidodinamica numerica forniscono risultati assolutamente affidabili, ma è necessario avere ben chiari quali siano i limiti intrinseci dello strumento. Sarà sempre necessario osservare i risultati in modo critico, tenendo bene in mente come sono stati ottenuti e quali approssimazioni sono state introdotte nella formulazione del modello matematico. La modellistica matematica offre delle possibilità che la prova su modelli fisici, per motivi di costo o intrinseci, non può fornire. Tuttavia, è possibile prendere clamorosi abbagli se l’utilizzo dei modelli si spinge al di fuori del loro spazio di lavoro. Per questa ragione, una sinergia tra prove numeriche e prove sperimentali su modelli fisici rappresenta ancora il miglior connubio.

CFD
La CFD permette di simulare il comportamento in acqua della carena nelle varie condizioni di navigazione.

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