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A pesca di reti per sostenere l’ambiente marino e l’economia circolare

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Tra i rifiuti abbandonati in mare che destano maggiori preoccupazioni ci sono le reti e, in generale, gli attrezzi più diffusamente utilizzati dalla pesca commerciale.

Alcuni vagano trasportati dalle correnti, altri sono presenze stabili nei fondali da decine di anni, a cui vanno ogni anno ad aggiungersene di nuovi, creando delle vere e proprie trappole per ogni forma di vita che ha la sfortuna di incapparvi.
Spesso, accumulandosi, vanno a formare dei grovigli sempre più grandi, oppure si legano a relitti ed altri grandi oggetti dismessi dall’uomo, creando delle nuove e poco rassicuranti strutture sommerse nel profondo blu.

Foto Aldo Ferrucci

Secondo uno studio realizzato da Fao e Unep, le reti da pesca presenti negli oceani superano le 600.000 tonnellate e rappresentano un decimo di tutti i rifiuti marini. Con lunghi tempi di decadimento dei materiali, tra cui diverse plastiche che, frantumandosi, finiscono per alimentare il “plancton” di microplastiche, tristemente famoso per la sua diffusione e i danni provocati alla fauna marina e alla catena trofica.

Foto Aldo Ferrucci

Per tali motivi, la problematica va affrontata con urgenza e ci sono diverse azioni mirate in proposito. A livello nazionale, c’è la campagna ambientale “Reti fantasma 2021”, organizzata dal Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera, avente l’obiettivo di bonificare i fondali dove si trovano reti o attrezzi da pesca abbandonati.
Anche nel corso dell’ultima stagione estiva, sono stati individuati e recuperati decine di attrezzi da pesca, soprattutto reti da posta fisse, tipo tramaglio, o reti a strascico o derivanti, contenenti animali morti (pesci, cetacei e tartarughe), senza contare i danni ai fondali, in particolare alla posidonia.

Foto Aldo Ferrucci

Il Ministero della Transizione Ecologica, in collaborazione con Guardia Costiera e altri partner, sta compilando la mappatura nazionale dei rifiuti delle attività di pesca abbandonati sui fondali marini. Una delle regioni più attive sul fronte recupero è la Sicilia, dove sono in itinere vari progetti, che vedono proprio i pescatori impegnati in prima linea. Come quello del consorzio Co.Ge.Pa “Golfo di Termini Imerese”, finanziato dall’Assessorato Pesca della Regione Sicilia, in base alla Misura 1.40 del PO FEAMP 2014/2020, destinato alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti marini, nonché alla rimozione dai fondali di reti, lenze e nasse abbandonate.
Analoghe iniziative si sviluppano da Palermo a Lampedusa, che vedono coinvolti, oltre alle istituzioni, anche altri partner (come WWF e Marevivo) e volontari.

Tra queste il progetto Responso, sempre finanziato dalla Misura 1.40 del PO FEAMP 2014/2020, con la Stazione Anton Dohrn di Napoli capofila e la possibilità di scaricare un’app per smartphone, per le segnalazioni dei cittadini. L’iniziativa si concentra sull’individuazione di aree impattate dal “marine litter” e dalle reti fantasma, sulla rimozione e il ripristino ambientale, sulla promozione del riciclo delle attrezzature e dei rifiuti recuperati, ma anche sulla sensibilizzazione degli operatori della pesca.

Uno dei punti cruciali delle attività di recupero di questi oggetti, oltre al riutilizzo, è quello di riciclarli per riprodurne altri, in linea con i dettami dell’economia circolare. Esistono infatti tecnologie in grado di ottenere nuovi materiali utilizzabili dal recupero e il trattamento delle reti, come il nylon rigenerato Econyl, una materia prima utilizzata per creare prodotti nuovi, tra cui calze, costumi da bagno, biancheria intima e tappeti.

Per implementare queste pratiche, occorre una forte spinta istituzionale, in termini di incentivi alle attività organizzate di recupero e riciclo, ma anche controlli e provvedimenti sanzionatori che scoraggino l’abbandono in mare delle attrezzature da pesca, pratica ancora diffusa, soprattutto da parte dei pescatori fuorilegge.<p style=”text-align: center;”></p>

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