Emergenze: collisioni in mare, una ogni tre giorni
Il fattore umano è la risposta
L’impatto fra due imbarcazioni è l’incidente percentualmente più diffuso in mare. Le strumentazioni più raffinate sono utilissime ma non sufficienti per evitarlo. La vigilanza attiva è insostituibile.
Dopo una navigazione notturna a motore in una calma totale, verso le 8 del mattino, a circa 35 miglia da Caprera, si era alzato un bel maestrale che si era stabilizzato sui 20 nodi. Finalmente a vela, avevamo iniziato a tirare bordi stretti per raggiungere la nostra destinazione nel golfo di Arzachena.
Stavamo navigando di bolina stretta con prua verso porto Cervo: mare sempre più calmo man mano che ci avvicinavamo alla costa, un bel maestrale teso, visibilità ottima. Era il 29 maggio quando, poco prima delle 12, il silenzio era stato interrotto dal canale 16 del Vhf che aveva iniziato a trasmettere le drammatiche sequenze di un’operazione di soccorso: a poche miglia da noi, fra Portisco e l’isola di Sofi, un fisherman aveva investito una barca a vela.

Sul posto una motovedetta della Guardia di Finanza, in contatto con la Capitaneria di Porto di Olbia, stava portando i primi soccorsi. Dalle comunicazioni, purtroppo, avevamo capito che una persona, lo skipper della barca a vela, aveva perso la vita. In pozzetto, insieme al gelo che era calato, sembrava che tutti noi fossimo accomunati dalla stessa domanda: come erano stati possibili, nelle condizioni meteo ottimali in cui ci trovavamo, una collisione e un epilogo così tragico.
Dati allarmanti
La domanda che ci siamo posti in pozzetto quel giorno, e che spesso si ripropone nelle discussioni che si accendono intorno a incidenti di questo tipo, è giustificata dal fatto che oggi, grazie alle tecnologie che tutti possono avere a bordo, non accorgersi di essere nelle vicinanze di un’altra imbarcazione è davvero impossibile. Senza contare il fatto che, per chiunque navighi, per diporto o professione, la guardia vigile in pozzetto o in plancia è un dovere imprescindibile.
Eppure, i dati, soprattutto se rapportati alla limitatezza dei giorni in cui in Italia si naviga, sono spaventosi.
Nel 2020, secondo la STB Italia, emanazione della STB Europa, società peritale che opera nei trasporti marittimi, ci sono state in Mediterraneo 131 collisioni, pari al 36{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} del totale degli incidenti. Un dato che non si discosta da una recente indagine condotta dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che indica nel 35,11{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} l’incidenza della collisione sul numero totale dei sinistri. Due dati sostanzialmente uguali che fissano un primato per le collisioni, come la tipologia di incidente percentualmente più diffuso in mare.

Rotta di collisione, come riconoscerla?
Abbiamo visto sul numero 687 di Nautica dello scorso luglio, quali siano le regole previste dal codice della navigazione relative alle precedenze. Ma nello stesso articolo abbiamo utilizzato un’affermazione che può apparire paradossale: in mare le precedenze non esistono. Questo per dire che, seppure esistano regole sui diritti di precedenza, in mare tutti siamo tenuti a mettere in atto ogni azione utile ad evitare una collisione.
Non si tratta solo di un dovere morale, ma anche di un obbligo da osservare previsto dal codice della navigazione. Tradotto in parole povere, in caso di collisione, pur avendo diritto alla precedenza, se non possiamo dimostrare di avere fatto tutto il possibile per manovrare, pur essendo nelle condizioni di poterlo fare, saremo ritenuti corresponsabili in qualche misura dell’incidente.
Le regole dunque ci sono, è essenziale rispettarle ma, soprattutto, bisogna sapere riconoscere una rotta di collisione e, di conseguenza, si deve sapere cosa fare rispettando le norme, usando il buon senso, applicando le proprie competenze.
Riconoscere una rotta di collisione è semplice: una volta avvistata l’imbarcazione che incrocia la nostra rotta, si deve iniziare a rilevarne la posizione.
Tecnicamente si tratta di un rilevamento polare, che permette di valutare l’angolo fra la nostra prua, che salvo scarroccio o deriva equivale alla nostra rotta, e la retta che congiunge la nostra posizione con l’altra imbarcazione. Praticamente lo si può fare a occhio, traguardando l’unità che stiamo incrociando attraverso un punto fisso della nostra barca, come un candeliere, un montante, una sartia.
Se nello scorrere dei minuti la nostra distanza diminuisce e l’angolo di questo rilevamento rimane costante, siamo sicuramente in rotta di collisione. Se invece l’angolo aumenta, significa che siamo più veloci e passeremo prima noi; se l’angolo diminuisce, sarà l’imbarcazione rilevata quella che passerà per prima.

Radar e AIS, alleati preziosi
Lo stesso tipo di rilevamento lo si può realizzare con il radar che, soprattutto di notte, diventa la nostra vista. Noi siamo il centro dei cerchi concentrici che occupano lo schermo, e l’asse verticale verso l’alto dello schermo è la nostra rotta che, ai fini del rilevamento, possiamo considerare la nostra prua.
Il principio è identico a quello che abbiamo utilizzato osservando a vista l’altra imbarcazione: osserveremo il “bersaglio” la cui posizione varierà nel tempo. Se diminuisce solo la distanza ma l’angolo rimane identico, siamo in rotta di collisione, viceversa, se varia l’angolo al diminuire della distanza, non c’è rischio di impatto fra le due unità.
L’AIS è un altro strumento di grande utilità per la sicurezza. È obbligatorio su tutte le navi superiori alle 300 tonnellate e sulle navi passeggeri. Da qualche tempo è reso obbligatorio dai regolamenti di numerose regate d’altura. Ma obbligo a parte, visto che con poca spesa lo si può installare a bordo, oggi appare anacronistico farne a meno, soprattutto su barche arricchite da televisori e impianti stereo di ultima generazione.
Se abbiamo un AIS a bordo in grado di riceve e trasmettere, vedremo sullo schermo la posizione dell’altra unità, a patto che sia dotata di AIS, ne rileveremo distanza, velocità, nominativo, destinazione e nazionalità. Gli stessi dati saranno trasmessi da noi al resto delle stazioni AIS. Oggi ci sono strumenti in commercio su cui possono essere interfacciati i dati AIS, quelli del radar e la carta elettronica, avendo così una visione d’insieme completa.
L’elemento umano: insostituibile
Un’idea di fondo, però, è che non si può prescindere da una vigilanza attiva da parte dell’equipaggio. Per quanti allarmi si possano attivare sul radar o sull’AIS, occorre sempre una guardia vigile in grado di rilevare a vista, sia di giorno sia di notte, il traffico marittimo e di interpretare i segnali degli strumenti. E, infine, che sappia come comportarsi nel caso si rilevi una rotta di collisione.
Chi è di guardia in pozzetto o in plancia di comando, deve essere una persona preparata. Chiunque sia chiamato a coprire un turno di guardia deve essere in grado di apprezzare la situazione e di intervenire, anche semplicemente allertando il comandante. Deve cioè, in caso di un incrocio, iniziare a prendere i rilevamenti; se di notte, deve riconoscere le luci di via per individuare la direzione; deve, se presenti, utilizzare gli strumenti come il radar e l’AIS come ausilio per ricavare quante più informazioni possibili sulla situazione. Se è necessario, deve utilizzare il binocolo, dotazione obbligatoria, per apprezzare meglio la sagoma dell’unità che si incrocia e la sua direzione.
Altro elemento importante è l’uso del VHF che deve essere sempre sintonizzato sul canale 16. Una chiamata radio verso l’altra unità, soprattutto in presenza dell’AIS che ci fornisce pure il suo nominativo, può essere risolutiva di una situazione confusa.
Una volta stabilito che si è in rotta di collisione, senza indugio si deve manovrare. Lo faremo noi, se dobbiamo dare precedenza, con risolutezza, e senza agire unicamente sulla velocità ma accostando in modo da dare chiare indicazioni sul fatto che abbiamo visto l’altra unità e che stiamo manovrando per uscire dall’incrocio. Lo faremo ancora noi pur avendo diritto di precedenza se, dopo un ragionevole intervallo di tempo, dall’altra barca non vediamo alcun segnale di reazione.
E, infine, lo faremo sempre noi quando l’incrocio sarà con una nave, a prescindere dal fatto che si navighi a vela o si provenga dalla dritta. E questo perché, a parte che spesso le navi hanno comunque un diritto di precedenza dettato dal tipo di navigazione in cui sono impegnate, è un comportamento di buon senso, che deriva dalla consapevolezza che manovrare su un 12, 15 o 20 metri è cosa molto più semplice, immediata ed efficace, rispetto alla possibilità di farlo su una petroliera lunga 200 metri.
AIS, cos’è e come funziona
AIS sta per Automatic Identification System. È obbligatorio per le navi oltre le 300 tonnellate ma si sta diffondendo molto anche nel diporto. L’Isaf lo ha reso obbligatorio nelle regate a partire dalla categoria 2. L’AIS trasmette e riceve, su bande digitali VHF dedicate, informazioni sulla propria velocità, posizione e rotta. Per le navi sono indicate anche destinazione, orario previsto di arrivo, tipo di nave.
Gli strumenti possono essere di classe A, B e C. Quelli in classe A, obbligatori sulle navi, sono molto potenti e veloci, e hanno un sistema di trasmissione dei dati che garantisce, in presenza di molte navi, che i dati non si accavallino e devono essere dotati di un display dedicato.
Quelli di classe B si trovano su navi più piccole, pescherecci e barche da diporto e anch’essi trasmettono e ricevono.
Sono meno potenti e possono utilizzare lo schermo del cartografico. L’installazione, regate a parte, è volontaria. I classe C sono semplici ricevitori. Questo permette di vedere le unità che montano un AIS di classe A o B ma non trasmettono. Sono comunque molto utili per evitare collisioni con il traffico commerciale. La portata degli AIS corrisponde sostanzialmente a quella ottica, come nei VHF.<p style=”text-align: center;”></p>











