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Tecniche di ancoraggio: barche alla catena

tecniche di ancoraggio

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L’ancoraggio, attrezzature, regole e astuzie. Il repertorio fondamentale per affrontare la manovra che più di tante altre mette in luce – o in ombra – le capacità di uno skipper.

Tra i momenti più agognati dal diportista in procinto di partire per la crociera c’è sicuramente quello di una notte alla fonda in una deliziosa caletta, possibilmente deserta. Eppure, strano a dirsi, proprio quella condizione risulta essere tra le più ansiogene di un’intera vacanza e il motivo sta nel fatto che l’ancoraggio rappresenta una delle principali cause di preoccupazioni e di problemi.
Su questo tema c’è una letteratura infinita che, solitamente, parte dall’analisi di tutte le attrezzature di cui è possibile dotarsi, dunque un repertorio estremamente ampio di ancore, catene, snodi, musoni, verricelli eccetera. Volendo invece affrontarlo su un piano decisamente più pratico, è preferibile invertirne la logica: partire cioè da quello che già si possiede per stabilire di conseguenza che cosa sia meglio fare o non fare in tutto quell’arco di tempo che va dal momento in cui si pensa di dar fondo al momento in cui si decide di salpare per riprendere la navigazione.

Ancora Bruce

Attrezzatura a disposizione

Anche se a molti suonerà un po’ strano (ma più avanti se ne comprenderà il motivo), incominciamo dal calumo, cioè dell’elemento di collegamento tra la barca e l’ancora. La speranza è che si tratti esclusivamente di catena, del diametro appropriato e della lunghezza di almeno due tese (1 tesa=27,50 metri) per un cabinato fino a 10 metri, crescendo in proporzione. Il dato della lunghezza di catena disponibile è estremamente importante poiché condiziona inevitabilmente la scelta del punto di ancoraggio.

Ancora Bruce con grippiale
Ancora Bruce con grippiale

Un po’ più complessa è la questione relativa al condizionamento imposto dai vari tipi di ancora. Analizziamo i più diffusi, ricordando che ne esistono “imitazioni” con diversi nomi.

I vari tipi di Ancora

Ancora Bruce (o similare)

Contrariamente a quel che molti credono, ha un carico di spedata (cioè una tenuta) per nulla eccezionale ma in compenso, essendo frutto di una fusione unica, è pressoché indistruttibile. Ciò significa che se il fondo che caratterizza l’area che stiamo prendendo in considerazione è di roccia, questo “ferro” gioca senz’altro le sue carte migliori, anche se calarlo tra gli scogli significa esporlo al rischio di incaglio, con tutto quel che ciò comporta al momento di salpare. Se il fondo è sabbia, ok ma dare parecchia catena. Se è fango, accertarsi che l’ancora non si appoggi semplicemente sul fondo ma faccia testa, cioè riesca a seppellirsi correttamente facendo presa. Se il fondo è di alghe (già problematiche per qualsiasi altra forma di ancora), cercare altrove.

C.Q.R.
C.Q.R.

Ancora C.Q.R.

meno resistente (ma pur sempre valida) della Bruce sullo scoglio, è in compenso migliore sul fango e sulla sabbia.

Ancora Delta
Ancora Delta

Ancora Delta

Evoluzione della C.Q.R. (e costruita dalla stessa casa, la Simpson-Lowrence), ne amplifica le caratteristiche e il comportamento.

Ancora Danforth piegata
Ancora Danforth piegata

Ancora Danforth (o similare)

è sicuramente la più famosa tra le ancore a marre articolate utilizzate nel diporto. Eccellente sui fondi non troppo duri (fango non compatto e sabbia) grazie alla capacità di affondare le sue “unghie” appuntite, predilige le trazioni regolari, con limitati cambiamenti di direzione: ciò che la rende molto affidabile quando si ricorra all’ausilio di un cavo da tonneggio (ne parliamo più avanti). Risulta invece poco efficace sulle alghe e facile a piegarsi o addirittura a rompersi sullo scoglio. In quest’ultimo caso, meglio cercare altrove.

Ancora Fortress
Ancora Fortress

Ancora Fortress

Simile alla Danforth, per il principio che ne caratterizza il funzionamento, questa può essere considerata come l’ancora che più di ogni altra ha ottimizzato il rapporto tra peso e tenuta. Fusa, infatti, in una speciale lega leggera di alluminio-magnesio, essa produce a parità di lunghezza – non essendo possibile il confronto a parità di peso – un carico di spedata più che doppio rispetto a una Danforth. Inoltre, grazie alla peculiarità di consentire la regolazione dell’angolo di incidenza delle marre (32 gradi standard e 45 gradi per fondo molle), la sua resistenza alla trazione può essere incrementata addirittura del 400 per cento. Sul piano strettamente pratico, valgono le stesse considerazioni già fatte per la Danforth, quindi evitare lo scoglio.

Ancora in Ferro

Dei tipi summenzionati e calumo misto (spezzone di catena di 3-5 metri e cavo tessile): configurazione per fortuna scomparsa su barche di una certa grandezza ma pur sempre adottata sui tender e persino sui piccoli cabinati (soprattutto a vela) e sui gommoni, con l’intento di contenere il notevole peso della catena (1,4 kg al metro per una da 8 mm). Ferme restando le prestazioni dei vari tipi di ancora già considerati, la lunghezza del calumo con tempo ideale non deve in nessun caso scendere al di sotto del rapporto 5:1.

Ancora a ombrello

Con marre mobili e calumo misto: un ancoraggio che funziona (con molte riserve) soltanto se il ferro può incastrarsi in qualcosa di molto solido (per esempio tra due scogli o in un gruppo di sassi pesanti), tanto è vero che la cosa migliore è mettercelo con le proprie mani scegliendo il punto più adatto. Assolutamente inaffidabile su qualsiasi altro tipo di fondo.

ancoraggio

Quanto a lungo?

La prima domanda da porsi è: per quanto tempo intendo fermarmi? Il motivo è abbastanza ovvio, poiché un conto è prevedere una sosta di un paio d’ore per un bagno o per uno spuntino a bordo, altro è prevedere una notte o una giornata intera, soprattutto se potrà esserci un intervallo per un’escursione a terra o per una cena al ristorante, durante il quale la barca resterà presumibilmente incustodita. Manco a dirlo, il ruolo-chiave è giocato dalla variabile meteo, che deve essere prudentemente ritenuta tale – cioè variabile – anche quando i bollettini dichiarano tempo assicurato.

Che tempo fa e farà?

Strettamente legata alla risposta precedente, la seconda domanda riguarda dunque la situazione meteorologica attuale. Questo perché l’area da sondare deve essere più tranquilla possibile, vuoi perché il tempo è buono in tutta la zona geografica (nel qual caso la scelta del posto può dipendere da altri fattori) vuoi perché, per la sua posizione, quell’area particolare costituisce un ottimo ridosso rispetto al maltempo che insiste sull’altro versante.

A maggior ragione, se il bollettino prevede entro un certo lasso di tempo – generalmente dichiarato – un netto cambiamento (per esempio venti che mutano di provenienza) e/o un peggioramento (venti che rinforzano), la scelta dell’area di ancoraggio deve necessariamente tenerne conto, poiché quello che al momento appare come uno specchio d’acqua ideale potrebbe trasformarsi prima o poi in un inferno.

meteo

Di quanto spazio ho bisogno?

Indipendentemente dal fatto che sia a vela o a motore, qualsiasi barca alla fonda è potenzialmente in grado di occupare qualunque posizione all’interno di quello che si definisce “campo di giro”: in pratica, un cerchio che ha come centro l’ancora sul fondo e come raggio il calumo filato fuoribordo, cioè, in teoria, la quantità di catena rilasciata.

Perché in teoria e non in pratica? Perché se, come abbiamo visto, già ci sarebbe da discutere circa la stabilità dell’ancora, di sicuro c’è molto da dire circa la distanza che la barca può assumere rispetto ad essa, a seconda della forza del vento.

Facciamo due esempi-limite: 1) in condizioni di aria assolutamente ferma, per un ancoraggio breve, con un calumo pari al rapporto 3:1 (anche di questo parleremo tra breve), è ragionevole immaginare che il raggio del campo di giro possa risultare al massimo pari a una volta e mezza il fondale (fondale 10 metri; raggio 15 metri); 2) in condizioni di vento forte, quello stesso ancoraggio (con un rapporto 3:1 che diventa assai criticabile), può avere un campo di giro con raggio pari a 2 volte e mezza il fondale (fondale 10 metri; raggio 25 metri). Una bella differenza, soprattutto se intorno ci sono scogli e altre barche.

Campo di giro semplice

Di quanto fondale ho bisogno?

Il primo dato di riferimento per stabilire il fondale ideale è, ovviamente, quello dell’immersione dello scafo, perciò, in teoria, basta anche solo un metro in più di acqua per stare abbastanza tranquilli.

Il particolare da non dimenticare mai, però, è che quell’ipotetico metro in più (per esempio fondale di 3 metri per una barca che ne “pesca” 2) deve valere per tutto il campo di giro, perché se al suo interno esiste uno scoglio che arriva a un metro dalla superficie, costituendo un pericolo per la carena e per le appendici, la scelta non è più valida, a meno che non si stabilisca la possibilità di tonneggiare, manovra che considereremo tra poco.

Altra cosa da evitare, è un fondale troppo alto, comunque tale da richiedere una quantità di catena di cui non si ha la disponibilità.

Influenza del vento sulla catenaria

Come restringere la ricerca

Quanto considerato o accertato finora, interpolato con quanto mostrato dalla carta nautica tradizionale e soprattutto dal chart-plotter, serve a fare una prima importante scrematura dei luoghi più convenienti per l’ancoraggio, dunque opportunamente in anticipo rispetto alla manovra di avvicinamento.

Infatti, sia la carta cartacea sia lo strumento elettronico (quest’ultimo con la caratteristica di permettere l’ingrandimento dei dettagli e, nei modelli più avanzati, con quella di riportare le isobate tracciate in crowdsourcing dagli altri diportisti), oltre a mostrare la forma fisica della costa, forniscono proprio le informazioni fondamentali che abbiamo appena considerato: entità e andamento del fondale, natura del fondo, presenza di pericoli.

Un altro strumento potenzialmente utile ma che attualmente, per incompleta diffusione del sistema nel mondo del diporto, ancora non lavora al massimo è il ricevitore Ais: un dispositivo che, acquistato a parte o già implementato nel plotter o addirittura presente come app nello smartphone, permette di osservare sullo schermo quante barche (dotate del trasponder) si trovano in un certo punto – per esempio, proprio nella baietta che si vorrebbe raggiungere – magari per decidere di cercare un posto meno affollato.

La perlustrazione

A questo punto, immaginiamo di aver individuato il luogo potenzialmente ideale per dare fondo. Ebbene, è giunto il momento di verificarne la giustezza perlustrando l’area con il supporto combinato del plotter, dell’ecoscandaglio e… della vista. La prima cosa da verificare è l’andamento del fondale: una profondità moderata e ragionevolmente omogenea per un’ampia percentuale della zona prescelta – per esempio, tra i 5 e i 10 metri, senza ostacoli affioranti o comunque pericolosi – è senz’altro favorevole.

Poiché l’ecoscandaglio indica semplicemente una distanza verticale (a meno che non si tratti di un modello a scansione o tridimensionale, poco diffuso ma sempre assai consigliabile), volendo farsi un’idea panoramica di che cosa si trova sotto la superficie è necessario “navigare” all’interno dell’area in questione e prender nota delle variazioni oppure leggere il diagramma disegnato dallo stesso strumento, se del tipo “video” (come si riscontra nella maggior parte dei sonar integrati nei plotter multifunzione).

ecoscandaglio

Magari con l’aiuto di occhiali polarizzati o anche di un batiscopio (attrezzo ben poco usato nel diporto ma assai presente sui pescherecci) è bene cercare di distinguere a vista le diverse zone del fondo, al fine di individuare il punto migliore per calare l’ancora. Se, per esempio, ci sono estese “macchie” chiare di sabbia tra ampi ciuffi scuri di posidonia, è bene dare fondo proprio lì.

Batiscopio
Batiscopio

Fondo! Quanta catena?

Ci sono diversi modi di calare l’ancora. Il più semplice è quello di azionare il verricello e, quando il ferro tocca il fondo, continuare a filare la catena accompagnando il naturale allontanamento passivo della barca per effetto del vento e della corrente, magari accelerando la manovra con brevi innesti del motore a marcia indietro ed evitando che si formino grovigli.

A mano a mano che la catena si sfila dal pozzo e si corica sul fondo, è necessario contarne la lunghezza, leggendo il valore sull’eventuale display del salpancora o, più semplicemente, prendendo come riferimento le marche pitturate sulle maglie (di solito, una ogni 10 metri).

ancoraggio

Quando fermarsi? Fin qui l’argomento è stato appena accennato ma adesso è giunto il momento di approfondirlo partendo da un principio: l’affidabilità dell’ancoraggio non dipende in maniera così assoluta dalle caratteristiche (forma e peso) dell’ancora utilizzata su un determinato fondo; piuttosto, risulta assolutamente determinante il suo collegamento con lo scafo, cioè il più volte nominato calumo. Ciò è vero al punto che una pessima ancora dotata di un ottimo calumo è decisamente preferibile a un’ottima ancora dotata di pessimo calumo.

Catena e contametri
Catena e contametri

Come abbiamo detto e raccomandato, nella maggior parte dei casi si parla esclusivamente di catena zincata o inox (il carico di rottura è più o meno lo stesso), da filare a mare in misura proporzionata innanzi tutto al fondale e, secondariamente, all’altezza dello scafo sull’acqua.

Quest’ultimo fattore – quasi sempre dimenticato – ha una sua ovvia ragion d’essere, poiché è evidente che, in termini di trazione sull’ancora per azione del vento, un motoryacht dotato di flying-bridge risulta più energico di un basso open sportivo di pari lunghezza. Dunque, quando diciamo che, in caso di fondo buon tenitore, la quantità di calumo per un ancoraggio stabile deve essere pari a circa 5 volte il fondale (il cosiddetto picco medio), non dobbiamo dimenticare di aggiungere a quest’ultimo l’altezza dello scafo.

Per esempio, se l’ecoscandaglio indica 8 metri di profondità e la barca emerge per 2 metri, saranno i 10 metri risultanti dalla loro somma a dover essere moltiplicati per 5, al fine, appunto, di ottenere la prudenziale lunghezza di catena da filare. Ma perché tutti questi calcoli? Per spiegarlo in modo semplice basta tener conto del seguente assunto: per offrire il 100 per cento della sua tenuta, qualsiasi ancora deve essere sottoposta a una trazione orizzontale.

Questa, in ragione della curvatura naturale della catena in tensione (la cosiddetta catenaria), può essere ottenuta soltanto quando il rapporto tra calumo e profondità (più l’altezza dello scafo) è di 10 a 1. Ma poiché una tale quantità di catena potrebbe comportare problemi di altra natura (soprattutto quelli legati al campo di giro), si preferisce ricorrere a quel buon compromesso che è rappresentato dal rapporto 5 a 1, che garantisce un ragionevolissimo 70 per cento di efficienza.

ancoraggio

Come rifinire l’ancoraggio?

Terminata la calata, è bene stabilire un congruo periodo di controllo che permetta di accertare la buona riuscita della manovra. A tal fine, può essere utile prendere dei precisi punti di riferimento a terra, innestare la marcia indietro con il motore al minimo per mettere in tensione la catena, tornare in folle e verificare che, dopo qualche minuto, lo scafo torni più o meno nella stessa posizione iniziale.

ancoraggio

Se ciò non avviene – in quanto l’ancora ha arato sul fondo – e le circostanze lo consentono, è il caso di dare altri metri di catena e di ripetere il test. Se anche in questo caso l’ancoraggio non tiene, può essere consigliabile salpare e ripetere da capo tutta la manovra in un altro punto dello specchio d’acqua.

In questa fase di controllo e di verifica può anche sorgere il dubbio che i movimenti della barca possano esporla a qualche pericolo, cosa che capita, per esempio, quando nelle vicinanze ancorano altre barche, facendo sì che i relativi campi di giro possano sovrapporsi rendendo possibile una collisione.

ancoraggio

È uno dei casi in cui può essere presa in considerazione l’eventualità di tonneggiare, cioè portare un cavo a terra lungo la stessa direttrice della catena dell’ancora, tesandolo quanto basta per stabilizzare lo scafo. Proprio per questo, per non provocare l’aratura dell’ancora, è necessario mettere in preventivo un rapporto decisamente superiore al classico 5 a 1. A lavoro concluso, è doveroso segnalare il cavo di tonneggio (con una boetta o con un parabordo) in modo tale che, anche di notte, risulti ben evidente la sua presenza.

Altri due segnalamenti da esporre, per indicare che la barca è alla fonda, sono: di giorno, un pallone nero, in alto, a prua; di notte, una luce bianca fissa, visibile per 360 gradi.

Da spegnere invece le luci di via. Appena tutto è calmo, una rifinitura importante sotto diversi punti di vista è quella della bozza, quel cavo – preferibilmente tessile – che deve essere messo in forza tra calumo e scafo, scavalcando proprio il verricello, che non dovrebbe mai essere sottoposto a un eccessivo sforzo passivo. La sua utilità è duplice: nel caso di deragliamento della catena dal barbotin o per cedimento del verricello, ne mantiene comunque la trazione; soprattutto con vento o risacca, annulla il rumore della catena sul rullo , restituendo una ragionevole tranquillità soprattutto a chi occupa la cabina di prua.

Afforco
Afforco

Afforcare e appennellare

A titolo di curiosità, esiste un’altra manovra che, finalizzata anch’essa a ridurre il campo di giro, è però in grado – a differenza del tonneggio – di consentire allo scafo di adattarsi ai mutamenti di vento e di corrente.

Parliamo dell’afforco, che consiste nel calare due ancore (preferibilmente identiche), a una distanza tra loro che sia più o meno pari alla lunghezza prevista per i loro calumi. Perciò immaginiamo due Delta da 35 libbre, su un fondale di 5 metri (più due metri di altezza scafo), ciascuna con un calumo di 35 metri, poste a una distanza tra loro sempre di 35 metri.

ancoraggio

La scelta del posizionamento delle ancore non deve essere casuale, in quanto da essa dipende lo sviluppo e l’orientamento del campo di giro entro il quale la barca sarà costretta. Orbene, vuoi per la necessaria disponibilità di un’attrezzatura adatta, vuoi per l’oggettiva complessità della manovra sia in fase di allestimento sia in fase di salpamento, ne sconsigliamo il ricorso.

Sempre parlando di manovra a due ancore, ricordiamo che oltre ad afforcare si può anche appennellare, ma secondo una metodologia e con una finalità completamente diverse. Innanzi tutto, in questo caso si tratta di filare a mare due ancore in serie, lungo la stessa linea: l’ancora esterna (quella posta all’estremità) dotata di uno spezzone di catena (di lunghezza tra i 5 e i 10 metri) fissato sul diamante di quella interna, che è collegata direttamente con il calumo proveniente dalla barca.

Doppia ancora per afforco
Doppia ancora per afforco

Il risultato è duplice: da una parte, rispetto a un ancoraggio semplice e a parità di lunghezza del calumo, si ottiene una tenuta complessiva che, in linea di principio, è pari alla somma delle tenute delle due ancore; dall’altra, invece, immaginando l’esigenza irrinunciabile di un ancoraggio a picco corto (poniamo un rapporto calumo/fondale di 3:1 o anche inferiore), si sfrutta il peso dell’ancora interna al fine di ridurre l’angolo di trazione del calumo sull’ancora esterna. In tal modo, quest’ultima si trova a lavorare come se il calumo fosse più lungo anche del 30 per cento.

Appennellare
Appennellare

Ma non è tutt’oro quello che riluce: nella pratica, i vantaggi di un ancoraggio appennellato possono risultare ampiamente superati dai problemi, spesso combinati tra loro. Il primo di questi è rappresentato dalla più complessa e lenta manovra di salpamento, cosa che può diventare critica di fronte alla necessità di prendere il largo il più rapidamente possibile.

Ancore incrociate
Ancore incrociate

Il grippiale

Prima o poi capita a tutti – persino sulle navi – di scoprire che la propria ancora, al momento di salpare, è trattenuta dalla catena dell’ancora di qualche altra unità.

Per venirne fuori in un tempo ragionevolmente breve, è necessario ricorrere a un semplice sistema di prevenzione che deve essere allestito poco prima di dar fondo. Si chiama grippiale e consiste in un cavo (la grippia) annodato da una parte al diamante dell’ancora e dall’altra a un gavitello o a un parabordo.

grippiale
Grippiale

La sua lunghezza deve essere all’incirca pari alla misura del fondale, in modo tale che il gavitello galleggi proprio sulla verticale dell’ancora, segnalandone la presenza con maggiore precisione. In caso di necessità, l’operazione di recupero – che può essere condotta con l’aiuto del tender ma, talvolta, anche direttamente dalla barca – consiste innanzi tutto nel salpare il ferro per mezzo del grippiale (dunque, dalla parte che non oppone resistenza), quindi nello scollegarlo dalla sua catena per permettere che questa venga recuperata da bordo, sfilandola dal groviglio. Fatto ciò, si può smontare il grippiale e ricollegare il tutto.

Si tenga presente che il ricorso a questo sistema può rivelarsi molto utile anche quando si sospetta il possibile incaglio tra gli scogli: se ciò avviene, il grippiale aiuta a disincattivare l’ancora dalla sua trappola e a permetterne il recupero, senza la necessità di scollegare il calumo.

Grippiale
Grippiale

Il dormiente della catena

Visto che abbiamo parlato di smontaggio/rimontaggio della catena, cogliamo l’occasione per ricordare che mai – e sottolineiamo MAI – il suo primo anello (quello dalla parte dello scafo) deve essere fissato all’apposito golfare mediante un qualsiasi accessorio di ferramenta che non possa essere aperto istantaneamente, soprattutto se sottoposto al massimo sforzo, come può capitare a seguito del deragliamento della catena dal barbotin del verricello.

Ciò per consentire – senza alcuna perdita di tempo – la manovra che i vecchi marinai chiamavano filare per occhio, cioè liberarsi prontamente della catena e dell’ancora in tutti i casi in cui il salpamento risulti impossibile o comunque troppo lento in rapporto all’urgenza necessaria.

controllo con maschera
Controllo con maschera

Ovviamente, stiamo pensando a situazioni di pericolo che però – è bene sottolinearlo – sono tutt’altro che improbabili: per esempio, un incaglio notturno, avvenuto subito dopo un repentino cambio di vento, con immediato peggioramento delle condizioni del mare, a pochi metri da una costa diventata drammaticamente esposta.

Trovarsi intrappolati in quelle condizioni è davvero un problema serio, anche perché – come spesso accade per precisi motivi tecnici e non certo per sfortuna – può innescarsi una serie di eventi negativi che rendono tanto difficile la fuga verso il largo quanto impraticabile qualsiasi soluzione ad essa alternativa.

Dunque, la cosa migliore da fare è collegare l’ultimo anello della catena a un golfare dello scafo per mezzo di uno semplice stroppo di tessile, tale quindi da poter essere tagliato rapidamente con un coltello seghettato e ben affilato che, a questo punto, sarebbe bene conservare stabilmente nella stessa cala dell’ancora.

Controllo con maschera
Controllo con maschera

Guardia e allarmi

Premesso che uno sguardo mirato alla linea d’ancoraggio lo si può senz’altro dare in occasione del primo bagno e – perché no? – anche in quelli successivi, con maschera, boccaglio e pinne, è sempre bene controllare regolarmente la situazione prendendo come riferimenti tutti i punti cospicui e gli allineamenti che caratterizzano lo specchio d’acqua nel quale ci si trova e dei quali abbiamo già accennato.

Ma anche l’elettronica può fare la sua parte. Nel caso dell’ecoscandaglio, è quasi sempre possibile impostare un doppio allarme sonoro di acqua bassa/alta che entri in funzione ogniqualvolta la barca finisce su un fondale inferiore o superiore ai parametri impostati. Ovviamente, per fare in modo che il sistema risulti veramente utile, è necessario che i valori-limite tengano conto dei movimenti “fisiologici” dello scafo all’interno del campo di giro concesso dal calumo.

Quindi, per esempio, se entro quest’area il fondale varia dai 4 ai 7 metri, l’allarme di acqua bassa può essere impostato a 3 metri, mentre quello di acqua alta può essere impostato a 8 metri. Come si può ben comprendere, l’affidabilità di questo tipo di controllo è limitata dal fatto che non sempre l’arare dell’ancora comporta automaticamente una cospicua variazione della profondità. Tanto è vero che, in una zona dal fondale regolare e costante, può capitare che il cedimento non venga affatto segnalato.

AnchorApp
AnchorApp

Diverso – e mediamente più affidabile, in quanto basato sulle variazioni di posizione – è il comportamento dell’allarme-ancora di cui sono dotati alcuni plotter. In questo caso, infatti, l’avviso entra in funzione ogniqualvolta si esca da un’area circolare impostata in modo tale da farla corrispondere il più possibile al campo di giro. È quindi comprensibile che, per ottenere un buon risultato, si debba innanzi tutto fissare con precisione la posizione dell’ancora (cosa da fare convenientemente nel momento stesso in cui si dà fondo), mentre, per quanto riguarda il raggio, basta rilevare sullo stesso strumento il punto in cui la barca viene frenata dal calumo, una volta che questo è ben disteso sul fondo. Altri aiuti strumentali da non sottovalutare possono venire da alcune applicazioni per smartphone e tablet, anch’esse basate sulla tecnologia satellitare. Tra le tante, ricordiamo Anchor Alarm, AnchorApp, Anchor Watch e Anker.<p style=”text-align: center;”></p>

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