La costruzione dopo la Riforma della Nautica
Proseguendo nell’analisi del Codice della nautica nel suo testo riformato, dobbiamo compiere un balzo dall’art. 3 al 14. In effetti del corposo e complesso Capo II del Codice, dedicato alla progettazione, costruzione e immissione in commercio delle unità da diporto rimane solo l’art. 14 poiché i rimanenti da 4 a 13 sono stati abrogati nel 2016 con il d. legislativo n. 5 che ha dato attuazione alla direttiva 2013/53/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 novembre 2013, relativa alle unità da diporto e alle moto d’acqua. Su tale complesso intervento dell’UE abbiamo tracciato un agile sunto a suo tempo ma si avverte l’opportunità di tornare in argomento, forti dell’esperienza accumulata nei cinque anni di vigenza e magari con l’ausilio di soggetti che operano materialmente sul campo.
Ciò che preme comunque mettere in evidenza è che la direttiva del 2013 – recepita dal menzionato decreto leg.vo 5/16 – ha abrogato e sostituito dopo circa un ventennio di applicazione quella 94/25/CE (già modificata dalla 2003/44/CE) che rivoluzionò profondamente le modalità di costruzione delle unità da diporto conducendo tra l’altro all’insopprimibile necessità di emanare nel 2005 l’autonomo codice per il settore.
Certo, ormai la normativa europea ha avuto il sopravvento e il codice deve essere letto in parallelo con il d. leg.vo 5/2016 e con le direttive recepite di cui oltre al testo vero e proprio non sono da trascurare anche i vari considerando preliminari poiché da essi si desume il fine ed il perché delle scelte del legislatore. Per trattare di nautica in modo adeguato e approfondito non si può prescindere da una conoscenza dell’ormai complesso sistema delle direttive in materia partendo dal 1994.
Inoltre certamente si vedranno sviluppi e sicuramente la serie non si chiude con la 53 del 2013 dato che l’evoluzione tecnologica nel nostro campo è in deciso fermento e le nuove istanze di sicurezza umana e ambientale chiedono un costante riallineamento della disciplina. I cantieri navali hanno davanti un bel futuro ma dovranno tenersi al passo con i tempi per rimanere sul mercato.
Passiamo all’analisi dell’articolo 14 in rassegna: esso non possiede un suo autonomo e specifico contenuto dispositivo ma rappresenta una classica norma di smistamento poiché rimanda in modo esplicito ad altre, per di più contenute in testi legislativi estranei al codice: non per nulla è intitolato “Rinvio”.
La sua specifica configurazione poi fa perdere parecchio del carattere autonomo e autarchico che si volle imprimere al Codice nel 2005 in quanto si ammette che tale testo abbisogna dell’appoggio concreto del Codice della Navigazione, da cui in effetti ci si è voluti staccare, mentre non riesce a contenere le complesse prescrizioni tecniche di cui sono portatrici le direttive UE che, contrariamente alla scelta originaria, non son state incardinate nel codice ma in un testo esterno, il menzionato d. leg.vo 5/16.
Nell’articolo è previsto che alla progettazione e costruzione delle navi da diporto si applicano le specifiche disposizioni del Codice della navigazione (artt. 232 e segg.) e connesse del relativo regolamento. La disciplina dettata per le navi da diporto, divise ormai in maggiori, minori e storiche come abbiamo visto nell’art. 3, non si distacca da quella prevista per le navi mercantili datata 1942 e per certi aspetti bisognosa di adeguata integrazione.
Osserviamo a margine che ciò è simmetricamente correlabile col fatto che le navi da diporto sono comunque oltre i 24 metri di lunghezza f.t. che segna il limite di operatività del cosiddetto marchio CE e connessa disciplina comunitaria recepita dalla nazionale.
Dopo questo rinvio al codice della navigazione, contenuto già nel testo originario del 2005, il legislatore della I riforma del 2017 ha aggiunto coerentemente il comma 1-bis in cui si opera un altro rinvio ma questa volta volto in chiave sostanzialmente comunitaria. La nuova norma di raccordo, resasi necessaria dopo l’abrogazione degli artt. 4 – 13 e degli allegati da I a XV del nostro codice, in cui era contenuta buon parte della complessa disciplina tecnica relativa alle modalità di progettazione e costruzione delle unità munite di marchio CE – e quindi quelle tra i 2,50 e i 24 m di lunghezza f.t. – vuole che alla progettazione, costruzione e immissione in commercio delle unità da diporto, diverse dalle navi da diporto e dalle navi di cui all’articolo 3 della legge 8 luglio 2003, n. 172 (e cioè quelle adibite in navigazione internazionale esclusivamente al noleggio per finalità turistiche, iscrivibili nel Registro internazionale) siano applicate le disposizioni di cui al decreto legislativo 11 gennaio 2016, n. 5 sopramenzionato. Si è operata la trasposizione nel nostro ordinamento della direttiva 2013/53/UE per cui si può affermare che nel nostro Paese i mezzi nautici costruiti e commercializzati rispondono assolutamente ai criteri previsti nella suddetta disciplina che implica un costante e accurato controllo sia nella fase progettuale sia in quella costruttiva per ottenere i massimi livelli in materia di sicurezza e tutela dell’ambiente.
Ulteriori aspetti riguardano la commercializzazione delle unità per cui anche i rivenditori dovranno porre attenzione al prodotto che immettono sul mercato avendo in proposito una quota di responsabilità. Questo sistema è stato implementato in visione della tutela decisa e adeguata del consumatore finale sia esso l’acquirente/proprietario o il fruitore occasionale del mezzo nautico a livello di locazione/noleggio.
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