Come difendersi dai fulmini in barca
a cura dell’Arch. Francesco Baratta
L’imbarcazione da diporto, con i suoi numerosi impianti elettrici ed elettronici e, soprattutto, con il suo carico di persone, è un bene che va protetto dai potenziali gravi pericoli costituiti dai fulmini, sia in navigazione sia all’ormeggio. Sorge spontanea la domanda; ma la nostra barca è dotata di un impianto antifulmine? La risposta – almeno per ciò che riguarda i natanti e le imbarcazioni – è quasi sempre, purtroppo, no! L’eccezione è infatti rappresentata dalla categoria delle navi da diporto che, normalmente, seguono normative di progettazione assai più dettagliate e rigorose.
Vero è che la normativa non è molto chiara e su questo tema quasi tutti i cantieri sono alquanto superficiali, tanto da decidere di non installare alcun tipo di protezione. La norma IEC 60092-507 (par. 13.8), che non è presente nel regolamento RINA, tratta la protezione contro i fulmini facendo riferimento alla norma internazionale ISO 10134, prevedendo che le imbarcazioni con scafo non metallico debbano avere un sistema di protezione costituito da un captatore, che può essere costituito da un’asta metallica di opportuna lunghezza posizionata nel punto più alto dell’imbarcazione, da un conduttore di discesa e da una piastra di dispersione a contatto con l’acqua di mare. A confondere ancora di più sono i termini di massa, terra, Earth e i collegamenti alle piastre di massa.
Come si può ben immaginare, si tratta di un problema che deve essere affrontato caso per caso da uno specifico studio tecnico che si basi innanzi tutto sul materiale di costruzione della barca – metallo, vetroresina o legno – e poi anche dal tipo di unità, se a vela o a motore.
Le barche in metallo risultano di per sé più protette, mentre quelle in legno o in vetroresina hanno bisogno di maggiore protezione. I danni provocati dalla caduta (o risalita) del fulmine possono essere diretti (incendio, distruzione dell’impianto elettrico, fori passanti nello scafo, fusione di componenti metallici, folgorazione di persone) o indiretti, per il forte campo elettromagnetico che può avere conseguenze più o meno gravi a carico dell’impianto elettrico e dell’elettronica, compresa quella del motore. Tutto ciò può avvenire in navigazione ma anche all’ormeggio e, quindi, pure a nostra insaputa.
Per simulare la protezione di un’imbarcazione viene utilizzato il modello elettro-geometrico (metodo della sfera rotolante) ove si immaginano delle grandi sfere che rappresentano i fulmini (il cui diametro tra 20 e 60m dipende dalla classe LPS di protezione) che rotolando vicino l’imbarcazione si fermano sulle strutture metalliche collegate a massa, senza toccare altre parti dell’imbarcazione che, in tal modo, risulta protetta. Se tale simulazione non porta al risultato desiderato, significa che il fulmine potrebbe molto più facilmente attraversare l’imbarcazione e provocare danni.

Detto ciò, usciamo un po’ dalla teoria e vediamo che cosa possiamo fare per proteggere la nostra imbarcazione in attesa che un tecnico faccia le dovute indagini e realizzi un impianto adeguato:
1. Innanzi tutto, verifichiamo se, fortunatamente, la nostra imbarcazione sia già stata dotata di un impianto di protezione da scariche atmosferiche:
• chiedendo al cantiere costruttore o prendendo visione degli schemi elettrici, se disponibili;
• osservando se vi è un captatore (cd parafulmine) sulla parte più alta dell’imbarcazione (sul roll bar di una imbarcazione a motore o sull’ albero di una imbarcazione a vela);
• verificando se sull’opera viva ci sia più di una piastra di massa (che non deve mai essere verniciata) e seguendo poi dall’interno i collegamenti con eventuali parti metalliche poste sulla parte alta dell’opera morta o con l’albero.
2. Qualora le nostre indagini diano esito negativo, stabilendo che l’imbarcazione è priva di impianto di scarica fulmini, possiamo affrontare la realizzazione di una semplice installazione che, sebbene non possa garantire l’affidabilità di quella che faremo approntare da un tecnico, può comunque contribuire a contenere i danni eventuali.
a) Se l’imbarcazione in vtr o in legno è a motore, a terra sull’invasatura, possiamo procedere nel seguente modo:
I. applichiamo in carena, in una zona che sia sempre bagnata anche in navigazione, una piastra di massa di superficie minima di 0,25 mq. Tale piastra, all’interno, dovrà essere collegata con un conduttore in rame di adeguata sezione (minimo 25/70 mm2) posizionato a distanza quanto maggiore possibile da altri cavi. Tale cavo (o meglio treccia) che dovrà sempre avere collegamenti con morsetti isolati ben stretti, deve essere collegato ad un apposito captatore (in commercio ci sono vari tipi, consistenti essenzialmente in un tondino di rame da 12 mm simile a una piccola antenna alta 300 mm) o, in sua mancanza, all’alberetto metallico porta antenne in almeno un paio di punti (magari sfruttando i perni di fissaggio dalla parte interna, dopo averli ben puliti nel contatto con la base per diminuire la resistenza elettrica) mediante connettori a occhiello, a morsetto o a crimpare. Da tale cavo (che non dovrà passare vicino a parti facilmente infiammabili) possiamo quindi realizzare una o più diramazioni (sempre con lo stesso spessore) da collegare a parti alte metalliche dell’imbarcazione quali ad esempio il roll bar, il telaio del parabrezza, la battagliola perimetrale o altro.
II. acquistiamo uno scaricatore per antenne VHF per protezione da fulmini (su internet ne troviamo vari a poco costo, vedi foto), andiamo ad intercettare il primo connettore interno del cavo dell’antenna VHF – normalmente situato a poca distanza dall’antenna – lo svitiamo e inseriamo tale scaricatore tra i connettori esistenti. Con l’occasione verifichiamo anche la pulizia e l’efficienza dei contatti, magari utilizzando un ros/wattmetro. Lo scaricatore ha un ulteriore connettore che collegheremo al nostro cavo di massa. In tal modo se un fulmine colpirà l’antenna tale semplice apparecchio interromperà la linea diretta alla nostra radio (e all’ impianto della barca) e devierà la corrente del fulmine alla piastra di massa …. o almeno speriamo!
III. In ogni caso non dobbiamo tenere il cavo di alimentazione di banchina (230 V) collegato durante il temporale. Qualora lo volessimo collegare essendo privi di un trasformatore di isolamento dovremmo far inserire nell’ impianto uno scaricatore combinato.
b) Se l’imbarcazione in vtr o legno è a vela, a terra e sull’invasatura, possiamo procedere nel seguente modo:
IV. eseguiamo il lavoro come al precedente punto I ma installiamo il captatore in cima all’albero e colleghiamo quest’ultimo (se metallico), le sartie, gli stralli e tutto ciò che possiamo al nostro cavo di massa che a sua volta collegheremo alla piastra di massa che avremo montato in carena. Poi approntiamo il collegamento dell’antenna VHF come ai punti II e III.
c) Se l’imbarcazione in vtr o legno è in acqua, all’ormeggio, possiamo predisporre un sistema empirico molto semplice (ma di limitata protezione) realizzando due o tre cavi identici da almeno 25 mm2: un’estremità la colleghiamo ad una pinza-morsetto con un buon contatto; l’altra estremità la spelliamo per almeno un paio di metri e la chiudiamo a formare un anello, bloccandolo con un morsetto in ottone. Se si tratta di una barca a vela, applichiamo la pinza-morsetto di un cavo all’albero (sul perno di massa o ad altra parte, sempre se l’albero è metallico); gli altri due cavi li colleghiamo alle sartie e allo strallo. Lasciamo quindi pendere fuoribordo, ben immerse, le parti di cavo spellate facendo attenzione che la potenziale corrente di fulmine non passi vicino a parti e oggetti facilmente infiammabili. Se invece la barca è a motore, colleghiamo le pinze all’alberetto porta antenne, al roll bar, alla battagliola o ad altre parti metalliche alte ed esposte. Infine, stacchiamo il cavo di alimentazione elettrica di banchina e possibilmente anche il cavo antenna del VHF.
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