I grandi relitti del Mediterraneo: Britannic, discesa sul Gigante
Foto sub di Aldo Ferrucci
Nelle acque greche di Kea, giace in ottimo stato di conservazione uno dei relitti più ambiti dai sub. Ma le difficoltà burocratiche pareggiano quelle tecniche.
Se ancora navigasse, forse avrebbe un ruolo di primaria importanza come luogo di cura fuori dall’ordinario, vista la pandemia da Covid-19. Invece, riposa nelle profondità da molto tempo.
È considerato il relitto più importante del Mediterraneo e uno dei più rilevanti al mondo, per stato di conservazione, grandezza e storia che si porta dietro. Si tratta del Britannic, grande transatlantico di oltre un secolo fa, gemello dell’Olympic e, soprattutto, del Titanic, di cui subì la medesima sorte: affondò per una collisione imprevedibile e devastante, dopo un breve periodo di servizio. Il relitto dell’imponente liner inglese giace a una profondità di quasi 120 metri in acque greche, a circa 2 miglia dall’isola di Kea, nelle Cicladi.
Fu scoperto nel 1975 dal grande esploratore francese Jacques-Yves Cousteau, che tornò l’anno dopo sul posto, a bordo del “Calypso”, per realizzare un documentario e mostrarlo per la prima volta al pubblico, formulando l’ipotesi del siluramento come causa del naufragio.
Nel tempo, si sono susseguite altre spedizioni, tra le quali quelle di noti cercatori di relitti, come Robert Ballard e Paul Allen. L’esperto subacqueo italiano Aldo Ferrucci è sceso più volte sul Britannic, l’ultima nel 2018 (peraltro l’unica spedizione autorizzata per quell’anno). Insieme a un team di altri 6 esperti, ha svolto 3 immersioni nell’arco di tre settimane, utilizzando il rebreather: un sistema di respirazione con bombole a circuito chiuso.
I sub hanno esplorato lo scafo per circa mezz’ora, per poi affrontare quasi tre ore di risalita in decompressione. Dopo oltre 104 anni, il relitto si presenta in ottime condizioni, a parte il grande squarcio prodiero che lo fece affondare, dopo aver urtato un ordigno all’interno di un campo minato tedesco durante le Prima Guerra Mondiale.
Lungo 269 metri e largo 28, il Britannic era stato costruito a Belfast e varato nel febbraio 1914 per conto della White Star Line, con l’idea di chiamarlo Gigantic. Aveva una stazza di oltre 48.000 tonnellate, 4 fumaioli ed era spinto da un apparato motore in grado di sviluppare 50.000 cavalli per una velocità massima di 22 nodi. Un’eccellenza per l’epoca.
Dopo il tragico incidente al gemello Titanic, subì delle migliorie per motivi di sicurezza, con paratie stagne più alte (in teoria, per galleggiare anche con 6 compartimenti allagati) e una quantità maggiore di lance di salvataggio. Con l’avvio della Grande Guerra, venne subito requisito dalla Marina inglese per essere trasformato in nave ospedale (con l’acronimo HMHS, His Majesty’s Hospital Ship), disponendo di oltre tremila posti letto.
Perciò, dalla fine del 1915, navigò con la croce rossa dipinta sulle fiancate, avendo il compito di recuperare i feriti della campagna condotta nel Mediterraneo dalle forze dell’Intesa contro l’Impero Ottomano e gli alleati tedeschi. La missione fatale prese il via da Southampton il 12 novembre 1916 con destinazione il mare Egeo. Il giorno 21 di quello stesso mese, nel canale di Kea, la nave urtò una delle mine collocate da un U-Boot tedesco: nella parte prodiera della carena si aprì un imponente squarcio che portò all’affondamento in appena 55 minuti. Ad accrescerne la rapidità furono sia il notevole abbrivo della nave, che favorì l’imbarco d’acqua, e il fatto che molti degli oblò erano aperti.
Comunque, viaggiando senza pazienti a bordo, le perdite umane furono limitate. Delle 1.065 persone imbarcate, le vittime furono 30. Alcune perirono in maniera particolarmente cruenta pur trovandosi su due scialuppe che, ammainate incautamente, finirono tra le eliche della nave, ancora in movimento. Tra i superstiti, ci fu anche l’infermiera Violet Jessop, non a caso soprannominata “l’inaffondabile”: cinque anni prima era a bordo dell’Olympic, quando questo entrò in collisione con l’incrociatore Hawke e, nel 1912, era addirittura sul Titanic, che, com’è noto, affondò dopo aver urtato un iceberg. Una vera miracolata, insomma.
Nell’ultimo ventennio, intorno al relitto del Britannic sono stati sviluppati diversi progetti: dall’organizzazione di visite turistiche guidate, a bordo di un piccolo sommergibile, all’allestimento di un museo dedicato, nel quale esporre gli oggetti recuperati. Ma non solo. Nel 2000, la sfortunata nave ha ispirato il film Britannic, per la regia di Brian Trenchard-Smith, così come, negli anni successivi, diversi documentari televisivi. Nel 2020, ne sono stati tratti persino un videogioco (Britannic: Patroness of the Mediterranean) e un romanzo (The Deep, di Alma Katsu).
TECNICA E BUROCRAZIA
Scendere sul Britannic non è una passeggiata. Non solo per le notevoli difficoltà tecniche dell’immersione, ma anche per le formalità necessarie. Occorrono infatti le autorizzazioni della Britannic Foundation (che detiene i diritti sul relitto), del governo greco (Ministero dei Beni Culturali) e dell’autorità marittima. Una complicata burocrazia che può richiedere addirittura anni.
Tra gli obblighi, si prevede l’utilizzo di due barche-appoggio, la presenza a bordo di un funzionario ministeriale e di un operatore che, utilizzando un sottomarino a comando remoto (il cosiddetto ROV), gli permetta di controllare in ogni istante la regolarità dell’immersione. La quale deve svolgersi rigorosamente entro i giorni prestabiliti, nel rispetto dell’apposito avviso ai naviganti emesso dall’autorità marittima al fine di garantire che, nel corso delle operazioni, il traffico marittimo si tenga alla dovuta distanza. Non ultimo, è necessario sborsare un bel po’ di soldi: per i permessi, per il personale impiegato, per le attrezzature necessarie e finanche per i diritti relativi a immagini e video registrati sul relitto.<p style=”text-align: center;”></p>







