Credenze e tradizioni: la sfortuna non esiste… O forse sì?
La superstizione in barca, seppure in gran parte tramontata dietro l’orizzonte del sapere e della ragione, ha accompagnato per secoli la vita di chi va per mare. E tutto sommato, ancora oggi non sono pochi i marinai – professionisti o per diporto – che preferiscono non ignorare le possibili cause di sfortuna e i riti scaramantici che sarebbero in grado di combatterle.
Ovviamente nulla che attenga alla realtà dei fatti o alla loro spiegazione scientifica. Pur tuttavia, risalire alle ragioni di queste credenze legate alla vita quotidiana, alle usanze o ai problemi di navigazione e trasporto dei tempi antichi, rappresenta un viaggio interessante nella storia della marineria. Un elenco lunghissimo, quello sulle possibili cause di sfortuna, le cui origini si sono trasmesse verbalmente, perdendone, in alcuni casi, le tracce.
Ombrelli o bordo? Ma non scherziamo!
Che a bordo di un’imbarcazione, natante o nave che sia, non si debba assolutamente portare un ombrello, è un fatto acquisito e indiscutibile. E anche se pare che il divieto sia sempre più ignorato dalle nuove generazioni, senza conseguenze nefaste, i più tradizionalisti non prendono nemmeno in considerazione la possibilità di imbarcare un para acqua con manico e raggi.
Questo è proprio il caso di una delle superstizioni la cui origine si è persa nei tempi. A me è accaduto di invitare due persone a bordo che si sono presentate sul pontile di Procida con un enorme ombrellone giallo. Colleghi skipper, ormeggiatori, lavoratori delle società di charter e semplici diportisti hanno manifestato il loro disappunto con una tale fragorosa cascata di scongiuri partenopei da convincermi a far sparire l’innominabile oggetto in un ripostiglio.
Embargo per le banane
Molto più concreta è invece l’origine di una superstizione secondo la quale non si può, ancora oggi, imbarcare banane né confezionare piatti e dolci a base di questo frutto. Essa risiede nella difficoltà di conservazione durante i lenti trasporti via mare, ai tempi dei velieri a vele quadre, e nella facilità con cui andassero a male. Il processo di decomposizione produceva gas metano, molto tossico e pericoloso per l’equipaggio.
Nel Mediterraneo questa credenza è praticamente scomparsa ovunque ma pare che nella marineria inglese, su navi e imbarcazioni al comando di orgogliosi tradizionalisti, sia ancora in vigore l’assoluto divieto di consumare banane o cibi che ne contengano anche solo qualche traccia.
Solo il vento può fischiare
Non soltanto è vietatissimo fischiare a bordo ma anche la presenza di qualsiasi strumento a fiato è considerata causa di terribili tempeste. La spiegazione di questa credenza ha origini più rarefatte e meno concrete di altre, ma affonda le radici nelle ataviche paure di chi si esponeva ai rischi del mare affidando la propria salvezza alla protezione degli dei e alla difesa dalle ire del diavolo.
Secondo diverse fonti, il fischio sarebbe un gesto di superbia e di sfida nei confronti del vento e addirittura attirerebbe l’ira del diavolo. Interessante la versione della marineria francese, per la quale il fischio è ammesso in assenza di vento ma deve immediatamente cessare al suo sopraggiungere.
Al bando il colore verde
Il ripudio per qualsiasi cosa abbia tracce di colore verde è una delle superstizioni marinare maggiormente diffuse nel mondo. Le origini più accreditate di questa avversione sono due. La prima riguarda un pericolo reale rappresentato dalle muffe, di colore verde appunto, che aggredivano legni e tessuti compromettendone la tenuta durante le lunghe navigazioni. Più macabra la seconda interpretazione. Secondo alcuni, infatti, l’avversione al colore verde era generata dalla tonalità verdastra che assumevano i corpi degli ufficiali deceduti, i quali non venivano seppelliti in mare ma venivano conservati a bordo per essere riconsegnati alle famiglie dopo il rientro a terra dopo settimane o mesi di navigazione.
Menù senza coniglio
Non solo non si può portare un coniglio a bordo, né alcun altro roditore, ma nel caso in cui il comandante sia un incallito superstizioso, nemmeno se né può pronunciare il nome o inserirlo nel menù di bordo.
Anche in questo caso l’origine di quella che è diventata una fonte di presunta iattura, affonda le radici in problemi reali che si generavano a bordo quando per avere carne fresca si imbarcavano animali vivi. Nel caso dei conigli ci si accorse ben presto che, sfuggiti alle gabbie, avevano una predilezione per il legno e per il cordame, rosicchiandoli fino a causare ingenti danni. Naturalmente, lo stesso dicasi per i topi. Da qui l’avversione nei confronti di qualsiasi roditore.
Un nome per tutta la vita
Fra tutte le superstizioni, quella che ha origini e contromisure più suggestive si riferisce al divieto assoluto di cambiare il nome con il quale la barca è stata varata. Il problema sta nel fatto che esisterebbe un “Registro delle profondità” sul quale sono riportati i nomi di tutte le imbarcazioni, annotati con cura dal capo in persona, ossia Poseidone. Modificare il nome di una nave senza avvertire il dio del mare significa esporsi a terribili punizioni.
Secondo un’altra interpretazione, modificare il nome di una barca avrebbe potuto ingannare i marinai che, per sbaglio o perché offuscati da un eccesso di vino, di rhum o di birra, avrebbero potuto imbarcarsi su una nave sbagliata.
Ci si aggira nel fitto reticolo fra il sacro e il profano di cui sono intessute tante tradizioni popolari, quando si approccia un’altra spiegazione di questa credenza: quella che riguarda l’antica usanza di battezzare in chiesa l’ultima doga o, molto più spesso, la polena del veliero, attribuendo loro il nome dato alla nave. Nel caso della doga, la modifica del nome sarebbe stata un atto di mancanza di rispetto verso il sacro.
Le cose si complicavano nel caso della polena. La tradizione voleva che il nome di una nave civile fosse sempre femminile e che coincidesse con quello della polena, unica donna ammessa a bordo. Attribuire un altro nome femminile alla nave avrebbe potuto scatenare la gelosia e l’ira della prima donna, che, sentendosi tradita, avrebbe potuto scatenare tempeste terribili fino al naufragio.
In realtà, negli anni si sono consolidate procedure che consentirebbero il cambio del nome. Sono diverse e dipendono spesso dalla cultura del Paese d’origine della nave. La più accreditata impone di cancellare dalla poppa il nome originario e gettare qualsiasi oggetto che a bordo – dai salvagente ai bicchieri e portacenere – rechi inciso il vecchio nome. Una volta fatta pulizia, occorre fare rotta per poi accostare e tagliare il percorso seguito per sette volte.
La tradizione francese comporta qualche obbligo in più. Innanzitutto, la procedura deve essere applicata un solo giorno l’anno, ossia il 15 agosto. In quella data si deve fare un lungo bordo di bolina per poi puggiare scendendo in poppa simulando l’andatura di un serpente che si mangia la coda. Infine, se mettiamo insieme qualche altra regola pescata in giro per il mondo, come quella di far versare da una vergine un bicchiere di vino rosso sulla prora, di far benedire lo scafo o di inserire una moneta sotto la base d’albero, forse saremo abbastanza certi di tenere lontana la sfortuna dalla nostra barca.
L’elenco delle superstizioni è ancora molto lungo. A seconda delle diverse culture, sarebbe vietato regalare fiori a un marinaio, tagliarsi unghie e capelli in barca, poggiare le scarpe con la suola rivolta verso l’altro, salpare di venerdì. E tante altre ancora. Superate con la ragione le paure legate a queste credenze, al marinaio di oggi resta il piacere di ricordarle per mantenere vive vecchie tradizioni e antichi problemi oggi scomparsi.
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