La tradizione marittima in Danimarca: dalle parti di Amleto
La tradizione marittima in Danimarca

In Danimarca il concetto di entroterra è relativo, perché il mare che circonda le coste frastagliate dello Jutland non è mai troppo lontano. E non è un caso che la Maersk Line, compagnia di trasporto container con sede principale a Copenhagen, sia la maggiore al mondo.
Un itinerario dei luoghi che tramandano la tradizione marittima della Danimarca non può che iniziare dalla città di Helsingør (Elsinore), sull’isola di Selandia, un nome che nell’immaginario collettivo evoca la tragedia di Shakespeare. Qui, nel punto più stretto dell’Øresund, è collocata l’imponente fortezza del Kronborg slot, quella sui cui spalti si aggirava lo spettro del padre di Amleto.
La posizione della fortezza, che permetteva di tenere il traffico marittimo sotto la portata delle sue artiglierie, per più di 400 anni ha avuto un ruolo centrale nelle finanze statali. Per passare, infatti, le navi dovevano pagare un pedaggio al re di Danimarca, calcolato sul valore del carico dichiarato dal capitano. Per evitare le possibili “sottovalutazioni”, il sistema prevedeva che il re potesse acquistare il carico a quel prezzo.
Maritime Museum of Denmark
È probabile che di fronte alla sfida di costruire un museo al posto di un bacino di carenaggio dismesso – un’enorme trincea scavata nel terreno – la maggior parte degli architetti ne colmerebbe il volume con un edificio di diversi piani. A Helsingør, tuttavia, una simile struttura farebbe a pugni con le imponenti forme rinascimentali del vicinissimo Kronborg slot, che fa parte del patrimonio dell’Unesco. Così, per il Maritime Museum of Denmark, si è optato per una soluzione originale e si è lasciato intatto il volume del bacino, che viene attraversato da una passerella vitrea che lo sorvola a zig-zag.
Gli spazi destinati alle esposizioni sono stati poi scavati sottoterra, tutto intorno al bacino di carenaggio, sul quale si aprono ampie vetrate. L’effetto di una tale planimetria suggerisce l’immagine di una ciambella col buco. Le esposizioni sono state create con criteri innovativi, limitando il numero degli oggetti a quelli di maggiore valore e previlegiando presentazioni comprensibili dal largo pubblico.
E così la sezione dedicata alla navigazione mercantile espone, come in tutti i musei marittimi, degli imponenti modelli di navi. Ma qui, sotto ogni scafo, sono collocati i campioni del carico: una montagna di valigie per il transatlantico; barilotti di burro danese per il mercantile; una massa di carbone per la nave porta rinfuse. Nella sezione che presenta l’economia del mare si dimostra poi quanto sia vantaggioso il trasporto marittimo: in termini di Dollari Usa, il costo dall’Asia all’Europa di una scatola di biscotti è 0,05 $; di una bottiglia di liquore 0,15 $; di un’aspirapolvere 1 $; di una TV 10 $.
Alcuni modelli di navi, esposti con campioni del loro carico
Si sottolinea poi la valenza ecologica di questo trasporto, illustrando la distanza che può percorrere una tonnellata di carico a fronte dell’emissione di 1 chilogrammo di CO²: su un aereo può fare 1,9 km; su un camion 20 km; su un treno 41 km; su una nave container 54 km; su una nave da carico misto 73 km e, infine, su una nave porta rinfuse una tonnellata può percorrere ben 217 km. L’area che presenta il commercio internazionale ricorda come nel Settecento sia stato il consumo del thè, trasportato dai velieri, a innescare una prima globalizzazione, allora dominata dagli europei.
Da questa, col tempo, si è poi consolidata una vasta rete commerciale di beni provenienti da tutto il mondo. Tra le curiosità esposte c’è la riproduzione di un’antico laboratorio di tatuaggi, nel quale si può provare l’emozione di farsi tatuare, anche se solo con un raggio di luce. Per quanto riguarda certi fenomeni di costume, è esposta una coppia di cagnolini di maiolica cinese, che – si dice – le mogli dei marinai esponevano alla finestra per segnalare l’assenza dei mariti.
Un “porto del patrimonio”
Il canale di Nyhavn, in pieno centro storico di Copenhagen, per secoli è stato il porto della città, dove attraccavano i pescherecci e i velieri del Baltico e del Mare del Nord.
Nel dopoguerra, tuttavia, con l’incremento delle dimensioni delle navi, il canale ha perso la sua funzione commerciale, mentre il quartiere che lo fiancheggiava ha subito un notevoledegrado.
Negli anni Sessanta l’amministrazione comunale ha quindi messo in cantiere un “Nyhaven Project” per revitalizzare tutta la zona. L’ intervento urbanistico ha compreso il restauro e il risanamento delle case a schiera, dipinte a colori vivaci, che risalivano al Settecento o all’Ottocento e dov’è vissuto un personaggio come Hans Christian Andersen.
Negli anni Ottanta, infine, dopo aver pedonalizzato la zona, si è deciso che il canale dovesse ospitare delle imbarcazioni di valore storico, in ricordo dei tempi in cui questa parte del porto era animata da traffici e commerci. Il risultato è stato superiore alle aspettative: oggi, le forme di decine di vecchi velieri, pescherecci, yacht d’epoca e persino di una nave-faro si specchiano sulle facciate colorate delle case, costituendo così un esempio di “porto del patrimonio”. Tuttavia, se Nyhaven attrae oggi folle di turisti risultando una delle zone più fotografate della città, c’è chi ne critica gli eccessi di commercializzazione: troppo spazio è stato concesso ai dehors di bar e birrerie che fiancheggiano il canale, tanto da ostacolarne la vista.
Royal Danish Naval Museum
Sempre nel centro della città, sul canale di Christianshavn , è collocato il Museo della Marina Militare (Orlogsmuseet), una forza armata che è stata fondata agli inizi del Cinquecento. All’interno di un elegante edificio di colore giallo, esso espone tra l’altro tre unità navali dei tempi della Guerra Fredda, che sono visitabili: la fregata Peder Skram, la vedetta lanciamissili Sehested e il sottomarino Sælen.

Il museo fa risalire la sua storia alla fondazione della Royal Model Collection nel XVII secolo, quando divenne pratica comune costruire modelli di cantiere di navi da guerra. Oggi tale collezione è composta da diverse centinaia di modelli, grandi e piccoli, che presentano una notevole ricchezza di dettagli, in quanto fungevano da “archivio tecnico”, e sono quindi realizzati in scala accurata. Ѐ è poi esposto un vasto numero di armi, uniformi e strumenti di navigazione, oltre a opere d’arte che raffigurano vari momenti della storia navale.
Roskilde e il Vikingeskibsmuseet
La città di Roskilde ha oggi l’aspetto di un tranquillo centro di provincia, ma le sepolture di re e regine danesi nella sua imponente cattedrale gotica ci ricordano che fino al 1443 questa fu la capitale del Regno di Danimarca. Una delle ragioni di un tale rango era dovuta alla geografia: la città è infatti collocata all’estremità di un fiordo che penetra per qualche decina di chilometri all’interno del Paese e che ha sempre costituito un’importante via di trasporto. A differenza dei fiordi norvegesi, tuttavia, quello di Roskilde non è circondato da montagne e presenta dei bassi fondali sabbiosi.
Intorno all’anno 1070, per evitare un’incursione che minacciava la capitale, cinque scafi furono affondati come barriera nel punto in cui il fiordo era più angusto. Questi relitti, conosciuti come Navi di Skuldelev, rimasero poi seminascosti sotto sabbia e fango finché non vennero scoperti e portati alla luce negli anni Sessanta del Novecento, per esser poi esposti nel Vikingeskibsmuseet (1), edificato sulla riva del mare. Oltre ai resti dei cinque scafi ritrovati sul fondo, oggi il museo presenta un’intera collezione di copie di asce, trapani e strumenti dell’era vichinga, provenienti da tutta la regione nordica.
Negli anni Novanta, accanto al Vikingeskibsmuseet, è stato istallato un cantiere di archeologia sperimentale a cielo aperto dove, per la costruzione degli scafi, si utilizzano i metodi e gli attrezzi antichi. Le riproduzioni di imbarcazioni vichinghe o di barche tradizionali scandinave prendono forma sotto gli occhi dei visitatori, ai quali viene offerta l’esperienza di un vero e proprio “museo vivente”. Per noi mediterranei è particolarmente interessante osservare la tecnica costruttiva del clinker, nella quale dapprima prende forma il fasciame dello scafo, che solo in un secondo tempo viene rinforzato con elementi di struttura.
Questa tecnica, praticata da 2.000 anni, è talmente legata alla cultura marittima nordica che nel 2019 le nazioni scandinave hanno fatto domanda all’Unesco perché il clinker venga inserito nella lista del Patrimonio Intangibile dell’Umanità. Il porticciolo antistante il museo è destinato agli scafi qui allestiti e ospita una flottiglia che, nel suo insieme, offre una notevole varietà di esempi del “patrimonio galleggiante” della Scandinavia.

Qui nel 1999 fu costruita la Ottar, copia della Skuldelev I conservata nel museo: è una knarr di 15,80 metri di lunghezza che, apparsa nel film “The Norse: the Artic Mistery”, ancor oggi fa uscite in mare aperto. Questa knarr è più larga e pesante delle navi da guerra, dette dreki (o drakkar) ed era mossa da una vela quadra di 90 m². L’equipaggio era formato da 6-10 uomini che utilizzavano i quattro lunghi remi in dotazione per le manovre portuali.
L’imbarcazione, nonostante presenti forme in apparenza semplici, è di costruzione raffinata, con uno scafo dalla struttura elastica e particolarmente adatta alla navigazione nei mari nordici. ЀProbabile che le esplorazioni a lungo raggio dei vichinghi, fino alla Groenlandia e alle coste di Terranova, siano state realizzate proprio con questo tipo di navi, anche se di dimensioni maggiori.
Nel 2006, sempre presso il museo, è stata varata la copia della Skuldelev II, un’imponente dreki da guerra lunga ben 29,30 metri, battezzata Sea Stallion from Glendalough. La nave originale fu varata in Irlanda nel 1042 e trent’ anni dopo fu affondata nel fiordo di Roskilde. Se per il commercio e per le esplorazioni i popoli del Nord utilizzavano le knarr, per le navi da guerra come la Sea Stallion la propulsione principale, oltre a una vela quadra di 118 m², era costituita dai remi azionati da una sessantina guerrieri.
Lo scafo pesa solo 9 tonnellate, cui vanno aggiunte 5 tonnellate di zavorra e perciò, per prendere il mare, la dreki necessita di un buon numero di uomini di equipaggio, il cui peso ha una funzione stabilizzante. Queste navi veloci, manovriere e con pescaggi limitati potevano anche risalire i fiumi, fino a raggiungere le città dell’interno e sferrare violenti attacchi improvvisi, ai quali le popolazioni del tempo non riuscivano a dare una risposta organizzata. Divennero così il mezzo utilizzato per tante razzie e azioni di conquista che nelle isole britanniche interessarono l’Irlanda e la costa orientale, dove molte località ancor oggi portano nomi con suffissi scandinavi.
Per celebrare le sue origini, la Sea Stallion ha compiuto tra il 2007 e il 2008 una traversata di andata e ritorno tra Roskilde e Dublino.
Visto che il Vikingeskibsmuseet, il cantiere a cielo aperto e il porticciolo sono circondati da ampi prati che praticamente finiscono in mare, questi spazi si prestano a ospitare feste della marineria, come è avvenuto diverse volte per l’Atlantic Challenge, che nel 2016 ha visto la rappresentanza dell’Italia.
Maritimt Center Danmark
Danimarca, la vicinanza con il mare si esprime non solo con musei marittimi o con il restauro di imbarcazioni storiche, ma anche con strutture che si rifanno alla tradizione: A Svendborg, un magazzino portuale in legno del 1873, tutto dipinto a righe rosse e bianche, è stato trasformato in un moderno centro per conferenze, simposi e incontri: “The warehouse”. L’interno, sotto un soffitto di solide capriate in legno, è arredato con botti, vecchie vele e cavi di canapa, mentre larghe aperture si affacciano direttamente sul mare. Qui, ai visitatori viene offerta l’opportunità di arricchire una giornata di incontri o di conferenze con un’uscita in mare su un veliero storico.
La Jylland e la battaglia di Helgoland
La fregata a elica Jylland, varata a Copenaghen nel 1860 e conservata in perfette condizioni nel porto di Ebeltoft, nei pressi di Aarus, con la britannica Victory e l’americana Constitution rappresenta uno dei più interessanti velieri storici giunti fino a noi. La nave, lunga 95 metri fuori tutto, dislocante 2450 tonnellate e armata su due ponti con 44 cannoni ad avancarica, è stata un’unità di transizione dall’epoca della vela a quella della propulsione meccanica. Lo scafo in quercia portava un’attrezzatura velica di 1900 m² (a cui se ne aggiungevano altri 600 spiegando tutti i “coltellacci”), mentre l’apparato motore, costituito da due caldaie e da una macchina alternativa da 400 HP, poteva spingerlo fino a 12 nodi.
La visita della fregata permette di apprezzare il minuzioso lavoro di ricostruzione di tutti i particolari degli ambienti interni: dal salone del comandante al ponte di batteria, dalle cucine alla sala macchine. Visto che la nave è conservata in bacino, una porta è stata praticata nell’opera viva per permettere ai visitatori di uscire all’esterno e osservare le forme dello scafo anche dal basso.
Il motivo per cui la Jylland è stata ritenuta meritevole di conservazione, con la spesa di somme rilevanti, risale alla battaglia navale di Helgoland, uno scontro a noi poco noto. Nel 1864, per le pressioni di Bismark, l’Austria entrò in guerra a fianco della Prussia contro la Danimarca. La marina prussiana del tempo era però costituta da una flottiglia di navi costiere di scarso valore bellico, mentre la Danimarca poteva mettere in campo forze di gran lunga superiori. Per ovviare all’inferiorità dell’alleato, indebolito dal blocco navale danese delle sue coste, l’Austria decise quindi di inviare nel Mare del Nord le fregate a vapore Schwarzenberg e Radetzky, sotto il comando del capitano di vascello Wilhelm von Tegetthoff.

Il 9 maggio, al largo di Cuxaven, la squadra danese, costituita dalle fregate Jylland, Tordenskjӧld e Niel Juels e da due corvette, si scontrò con la squadra austriaca. La proporzione delle forze era a vantaggio dei danesi, che imbarcavano 116 cannoni contro 76. Dopo due ore di battaglia, la Schwarzenberg su cui era imbarcato Tegetthoff fu incendiata dal tiro della Niel Juels e dovette rompere il contatto, ma riuscì a riparare sotto l’isola di Helgoland, allora possedimento britannico.
Lo scontro, che aveva provocato 14 morti e 54 feriti da parte danese e 37 morti e 108 feriti da parte austriaca, fu combattuto con accanimento, a distanza di qualche centinaio di metri. Tegetthoff dette prova di notevole determinazione e di coraggio personale sotto il fuoco di un nemico ben addestrato, accrescendo così di molto la sua fama, subito riconosciuta con una nomina a vice-ammiraglio. Come spesso succede in scontri dall’esito incerto, la vittoria fu dichiarata da ambedue i contendenti: i danesi per esser rimasti padroni del campo e per i maggiori danni arrecati al nemico; gli austriaci per aver rotto il blocco danese e reso libero il Mare del Nord.
Se la battaglia si era conclusa con una sostanziale parità, sul fronte terrestre la guerra rappresentò invece un vero disastro per la Danimarca, con la perdita in favore della Prussia dello Schlewing-Holstein, di cui solo la parte settentrionale sarebbe stata recuperata dopo la Prima Guerra Mondiale. Oggi, quindi, la Danimarca ricorda la battaglia di Helgoland come un episodio glorioso, l’unico momento in cui riuscì a tener testa al nemico durante una campagna sfortunata. Da parte sua, grazie al prestigio acquisito quel giorno, Tegetthoff proseguì la sua carriera venendo nominato, due anni dopo, comandante della flotta austriaca, una carica accettata di buon grado anche dagli ammiragli più anziani di lui.
Molto si è scritto sulle divisioni e le rivalità che, nel 1866, nell’ambito della terza guerra di indipendenza italiana, portarono alla cosiddetta sconfitta di Lissa per opera della marina da guerra dell’impero austriaco. Ma si dimentica che il comandante della flotta italiana, Carlo Pellion di Persano, si trovò di fronte un Tegetthoff che, per quanto in inferiorità materiale, godeva di una solida considerazione tra i suoi equipaggi e aveva un’eccellente efficacia di comando, sia nella fase di preparazione sia in quella di scontro vero e proprio: “Soprattutto era positiva la situazione morale e lo stato d’animo della flotta austriaca. Piena fiducia era nutrita verso il Tegetthoff, diventato ammiraglio per il comportamento nella campagna danese, a soli 37 anni”. (2)
Va infine notato che le stesse motivazioni che hanno portato alla trasformazione in museo della Jylland trovano un loro equivalente oltre Atlantico, a Boston, dov’è attraccata la fregata pesante Constitution, che l’U.S. Navy mantiene operativa in perfette condizioni come “nave di stato”. Le ragioni sono dovute al suo contributo a un’altra campagna sfortunata, quella del 1812 contro la Gran Bretagna, nella quale gli americani colsero ben pochi allori, tanto che Washington fu occupata dalle truppe inglesi. In un tale contesto si distinse solo la Constitution, che batté più volte alcune fregate britanniche, in scontri che galvanizzarono un’opinione pubblica per altri versi assai abbattuta.
Ma questa è un’altra storia.
Insomma, sembra proprio che nella retorica della storia, l’enfasi che accompagna gli episodi eroici vada di pari passo con le sconfitte. Come diceva Bertold Brecht: “beato quel popolo che non ha bisogno di eroi”.
Note:
1) prs@vikingeskibsmuseet.dk
2) AA.VV. Storia della Marina Milano, Fabbri ed.1978, pag. 114, Vol.1.
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